CAPITOLO VENTIQUATTRO

Capitolo Ventiquattro: vendetta e nuovi incontri.

"No, non meriti di morire
meriti di essere usato
ancora e ancora e ancora
fin quando non saprai più di chi fidarti
e andrai in frantumi come vetro
proprio come me."

A T T E N Z I O N E: questo
capitolo contiene, nella prima parte, scene di violenza.

"Mostro, sei un mostro!"  Styrkur era stato colpito in volto da un sasso, poi da un calcio contro il costato.
Sopra di lui torreggiava un ragazzo poco più grande di lui, forse di sedici anni, che ghignava mentre osservava il suo spettacolare massacro.

"Dovrei tagliarti quella lingua da serpente che ti ritrovi, mostro." Il ragazzino aveva quindi afferrato un piccolo coltello che teneva nascosto nella tasca, regalatogli dal padre.

Styrkur era inorridito mentre, scalciando, provava a levarsi di dosso il ragazzo. No, non poteva farlo!
Aveva visto il coltello scintillare contro la luce del Sole, minaccioso e terrificante.

Styrkur conosceva fin troppo bene quel ragazzino, Tommaso non era un tipo tranquillo nonostante abitasse a Città dei Santi. Era feroce, spietato, ed ogni volta lo feriva.

Le volte in cui era dovuto andare dal medico di corte erano molte, troppe per un ragazzo di quindici anni.

Tommaso gli aveva quindi afferrato il mento, la presa salda e ferrea mentre tentava di aprirgli a forza la bocca.

"Vediamo se sarai ancora in grado di rispondermi quando te l'avrò amputata, maledetta serpe!"

I passanti lo guardavano, Styrkur aveva imparato a riconoscere quegli sguardi di pietà. Ma cosa potevano fare loro? Mettersi contro il figlio primo genito del capo era fuori questione, l'unica cosa che potevano fare era osservare.

Styrkur era riuscito a scorgere, tra la folla, il volto del fratello di Tommaso: Cameron.
"Aiutami!" Gli aveva gridato lui senza mai smettere di agitarsi. Pareva un serpente intrappolato che, con tutte le sue forze, tentava di sgusciare via.

Cameron l'aveva guardato, interdetto, facendo due passi avanti. Erano stati amici sin da quando suo padre l'aveva trovato, l'avevano fatto vivere assieme a loro, in cima alla piramide di potere della città.

Sebbene Cameron l'avesse accettato nel suo nucleo familiare non si poteva dire lo stesso di Tommaso. No, per lui Styrkur era solo un mostro, un abominio.

"Sei un aborto mancato, scommetto che non hai nemmeno una madre, e se la hai probabilmente ti odia. Mi hai capito? Tua madre ti ha abbandonato perchè sei un dannato mostro, uno scherzo della natura." Tommaso gli aveva assestato un pugno in pieno volto, vedendo Styrkur pietrificarsi sul posto.

"Fratello, lascialo andare." Aveva pregato Cameron, in pena.

Ma Styrkur era ormai fermo a terra, completamente immobile. No, sua madre lo amava, sapeva che Död lo amava, che lo proteggeva nonostante lo andasse a trovare di rado.

Ma le parole di Tommaso potevano mai essere vere? Styrkur aveva pianto, schiacciato contro il terreno polveroso aveva lasciato che le sue grida raggiungessero il cielo.

"Non sono un mostro, non sono un mostro, io non sono un mostro!"

Död, invisibile a gli umani, aveva passeggiato sino a trovarsi al fianco del figlio tanto amato. Non l'avrebbe mai ammesso, ma Styrkur era il suo preferito.

La Morte in persona si trovava ora tra gli umani, inginocchiandosi a terra aveva baciato la fronte del figlio, rivolgendo un ghigno terrificante a Tommaso.

Gli occhi le si erano spalancati, i denti erano divenuti zanne affilatissime e le mani, oh le sue mani possedevano dita lunghissime con artigli taglienti.

Styrkur l'aveva fissata, ammirato e mortificato al tempo stesso.
"Il figlio di una Dea che piange," la voce di Död era forte, autorevole, ma quella nota di materna dolcezza ancora era percepibile, "è inaccettabile."

Styrkur era stato riportato alla realtà da un colpo, l'ennesimo, fino a quando si era sentito tirare la lingua.

Död non aveva fatto nulla per fermare Tommaso, no: Styrkur si sarebbe salvato da solo. Con una spinta di gambe Styrkur aveva ribaltato Tommaso, non sapeva da dove venisse tutte quella forza, ma gli piaceva, lo entusiasmava.

Con il pugno destro lo aveva colpito alla mascella, e poi ancora e ancora. Tommaso, preso alla sprovvista, aveva lasciato che il pugnale entrasse nel braccio di Styrkur.

Per qualche secondo tutto si era fermato, c'erano solo loro due ed un pugnale che, con stupore di tutti, non aveva affatto perforato il corpo di Styrkur.

Quest ultimo glielo aveva strappato dalle mani, osservando la casacca scucita. Il suo braccio era ricoperto di squame verdi, impenetrabili.

Styrkur si era rigirato il pugnale tra le mani, alzando gli occhi giallognoli sulla madre.
Le avrebbe dimostrato che era degno d'essere suo figlio, e avrebbe dimostrato a tutta quella città chi era davvero.

Tommaso tremava sotto di lui, gridando a Cameron di intervenire, di sottrarlo dalle mani di quel maledettissimo mostro.

Ma Cameron non si era mosso, non abbastanza velocemente per lo meno. Styrkur aveva reciso il primo dito di Tommaso, poi il secondo ed infine il terzo.

"Non sarai più in grado di toccarmi." Gli aveva sibilato lui, osservandolo gridare mentre le dita cadevano a terra. Sangue, c'era così tanto sangue.

Lo amava, amava l'odore ed il color del sangue. Si stava gustando lo spettacolo, e le grida di Tommaso: oh le sue grida erano musica per le sue orecchie.

Si era pulito il pugnale contro il pantalone, preparandosi ad infliggere il secondo colpo. Con la mano sinistra gli aveva tirato le palpebre, osservando quegli occhi azzurri che per anni lo avevano guardato con odio.

Styrkur, a gli occhi di tutti, pareva una bestia.
La sua lingua biforcuta era in bella vista, si muoveva a destra e a sinistra con veemenza, con eccitazione.

Si era abbassato, sino a toccare con essa il naso di Tommaso.
Gli occhi erano sbarrati, la pupilla gli si era assottigliata, maligna. Doveva vederlo, dovevano vederlo tutti.

Se era il mostro che volevano, lui gli avrebbe dato un mostro da ricordare, da temere.

Död aveva osservato silenziosamente il figlio, orgogliosa e senza intervenire. Liv si era quindi manifestata al suo fianco, abbracciandola.

Quello era uno spettacolo da ricordare.

Styrkur aveva affondato il coltello in quella sfera azzurra, recidendogli di netto il nervo ottico mentre Tommaso gli artigliava le gambe, pregandolo di smetterla.

Anche Styrkur l'aveva pregato, per anni, di smetterla, di lasciarlo stare. Aveva sorriso, leccandosi le labbra.
No, le sue preghiere erano vane.

Tommaso aveva spalancato le labbra, gridando. Gli abitanti non si erano mossi, tenuti sott'occhio da Styrkur. Non riuscivano a guardarlo, a sostenere il suo sguardo.

Quando si era ritenuto soddisfatto del suo lavoro aveva abbandonato il pugnale a terra, alzando la mano. Non aveva reciso completamente il nervo ottico, no: non gli avrebbe dato quella soddisfazione.

Aveva abbassato la mano, entrando con due dita nel piccolo spazio per poi allargarlo a forza di spinte. Aveva quindi afferrato la piccola sfera, tirandola con forza.

Un getto di sangue lo aveva colpito in viso, non sentiva più le urla, i lamenti, i pianti. C'era solo lui e la sua vendetta, lui e gli anni di sofferenze, di derisione e di abusi.

Aveva osservato l'occhio, portandolo davanti al volto di Tommaso che, sconvolto, lo guardava con l'unico occhio rimastogli.

"Ti piace? Penso che lo terrò come souvenir." Gli aveva detto Styrkur, ficcandoselo in tasca.
Il volto di Tommaso era deformato dalla stanchezza, dal dolore e da tutto quel sangue che placidamente gli macchiava il viso.

Styrkur se ne era bagnato le dita, assaggiandolo sotto gli sguardi nauseati della città.

"Tira fuori la lingua," aveva ordinato Styrkur, senza mai abbandonare il suo ghigno.

Dente per dente, occhio per occhio.

Tommaso aveva ripreso a piangere, scuotendo la testa come meglio poteva.
"No, no ti prego no, basta!"

Styrkur si era fermato per osservare meglio Tommaso. Avevano convissuto per molti anni assieme, in realtà Vårdande aveva trovato Styrkur quando ancora era un pargolo ma, sotto ordine delle Dee, aveva dovuto lasciarlo agli umani.

L'obbiettivo era farlo crescere tra di essi, così che imparasse a cavarsela da solo.

In qualsiasi caso, Tommaso aveva reso il soggiorno di Styrkur a Città dei Santi un inferno, ironico vero?

E per quanto Styrkur si sforzasse proprio non riusciva a provare pena per lui. Aveva subito abbastanza, no?

"Vediamo se sarai ancora in grado di rispondermi quando te l'avrò amputata," Styrkur aveva usato le stesse parole di Tommaso mentre con forza inumana gli spalancava a forza le labbra, afferrandogli la lingua con le dita.

Aveva spinto il ginocchio contro la gola di Tommaso, per far sì che annaspasse per un po' d'aria mentre con un colpo secco gli recideva la lingua a metà.

Sentiva la consistenza umida e viscida contro il palmo della mano e la cosa non lo disgustava affatto.

Forse era davvero un mostro, aveva pensato, perchè provare piacere nel tortura qualcuno non era definibile 'normale'.

Ma a Styrkur non importava più, non gli importava degli sguardi pieni di terrore degli altri, non gli importava che Tommaso stesse soffrendo né che Cameron lo stesse giudicando.

Era giusto così, quelle persone non avevano fatto nulla per lui, di conseguenza non doveva niente a nessuno.

No, il mostro non era lui.
Erano loro i mostri.

Loro lo avevano visto mentre veniva fustigato da Tommaso e da suo padre per espiare le sue colpe. Avevano visto la pelle della sua schiena aprirsi sotto i colpi di frustra, l'avevano visto sanguinare, avevano udito le sue grida e non avevano fatto nulla.

L'avevano osservato mentre lo appendevano sulla croce, lasciandolo senza cibo ne acqua per giorni.

Erano pazzi, folli, portavoce di un Dio che voleva la rimozione dei suoi peccati tramite il dolore.

Era la sua anima ad essersi incrinata, ad aver sofferto fino a spezzarsi.

Erano le sue lacrime che avevano bagnato il terreno, era stato il suo corpo a tremare di notte, non il loro.

Styrkur aveva tirato su con il naso sentendo le cicatrici sulla schiena bruciargli al solo ricordo.

Cameron, che osservava la scena, vomitò a terra. Era così debole, non avrebbe mai potuto affrontare Styrkur.

Quest ultimo si era girato a guardarlo con la lingua di Tommaso ancora in mano e "non hai protetto me, non mi aspetto che tu lo faccia con tuo fratello", gli aveva detto.

Cameron era rimasto muto, scappando più lontano che poteva dallo sguardo deluso e accusatore di Styrkur.

Guardando la sua opera la Serpe si era compiaciuta, sorridendo a Död e a Liv come un figlio che mostra il suo più bel disegno.

Loro avevano annuito, soddisfatte, poi Liv gli si era seduta vicino, chiudendo gli occhi di Tommaso.

"Ascoltami bene, bambino. Corri verso i cancelli, non fermarti e non guardarti indietro, va' fino al ruscello delle Terre di Mezzo. Ad aspettarti ci sarà una donna, tu seguila e sta con lei, va bene?" Liv gli aveva accarezzato il volto sporco e mal messo per le botte, vedendolo annuire.

Si era quindi alzato, facendo una piroetta per osservare gli abitanti della città. Poi, con uno strambo sorriso, si era piegato a metà facendo un profondo inchino.

Aveva quindi rafforzato la presa sul pugnale esclamando un allegro "spero che lo spettacolo sia stato di vostro gradimento" per poi voltarsi nuovamente verso il palazzo centrale dove alloggiava il capo: il padre di Cameron e Tommaso.

Sapeva che lo stavo guardando, e la cosa lo riempiva di gioia. Aveva allargato le braccia al cielo, grondava sangue ed il suo sorriso era tremolante, il sorriso di un folle.

"Che ne dici vecchio, ho espiato le mie colpe adesso?"

E la sua risata era riecheggiata nelle orecchie degli abitanti, spezzandoli. A distanza di anni nessuno avrebbe mai dimenticato quel suono, quella visione così maniacalmente sbagliata.

Död gli aveva sorriso, orgogliosa, facendogli segno di allontanarsi dal corpo martoriato di Tommaso.

Non si era guardato indietro nemmeno una volta, non voleva più vedere quelle città ed i suoi abitanti dall'anima falsamente pura.

Il cancello di Città dei Santi pareva risplendere man mano che si avvicinava, come a simboleggiare la sua vittoria.

Aveva spintonato il cancello, oltrepassandolo.
Le spalle gli si erano rilassate, gli sembrava di essersi lasciato dietro un grande peso.

La strada per il ruscello delle Terre di Mezzo la conosceva, si era recato lì qualche volta con Cameron per pescare. Distava circa due o tre miglia a piedi, da quanto ne sapeva gli umani delle città vicino lo usavano come fonte termale.

Aveva storto il naso, osserva i propri vestiti sporchi e logori. Sperava che la donna di cui Liv gli aveva parlato avesse un cambio, non voleva la puzza di quel porco di Tommaso addosso.

Styrkur aveva quindi fatto due saltelli, concentrandosi. Död gli aveva insegnato ad usufruire dei suoi poteri da serpente, ma ancora non era molto pratico.

Doveva essere veloce, voleva arrivare alla fonte il prima possibile. Si era quindi messo a correre, sfrecciando sul terreno vuoto ed umido per la pioggia.

Si sentiva libero mentre il vento gli accarezzava i capelli, o forse era Liv a farlo. Aveva saltato un burrone e si era fermato due minuti, riprendendo la sua corsa, senza mai fermarsi, senza mai guardarsi indietro.

Riusciva a captare l'odore dell'acqua, delle rocce umide. Era vicino!
Quanto ci aveva impiegato? Poco, ne era sicuro.

Ed eccolo lì, il famoso fiume che in tutta la sua bellezza scorreva placido tra le rocce. L'acqua era pulita, limpida, ma della donna ancora non c'era traccia.

Aveva rallentato, limitandosi ora a camminare. Era una bella fonte, quella. Tutto pareva calmo, privo di minacce.

Ad occupare la fonte c'era solo una persona, o meglio una ragazzina. Nuotava indisturbata,
l'acqua le arrivava al collo nonostante si fosse messa in posizione eretta, e con le mani creava increspature nell'acqua.

Styrkur si era mosso male, sbadatamente, andando contro un masso piuttosto grande e ritrovandosi a gambe all'aria in acqua.

Si era dato dello stupido mentre con una spinta di braccia si issava a riva. Ma non gli era andata bene: la ragazzina era ora proprio davanti a lui, a fissarlo come si fa con un uccellino ferito.

Lui era rimasto immobile, in imbarazzo.
Quanti anni poteva avere quella ragazzina?
Lui, la sua età, non la conosceva. Död gli aveva spiegato che i Quattro invecchiavano diversamente. Da gli otto ai diciassette anni passavano, in media, vent'anni. Questo per permettere alla loro parte animale di evolversi nel modo giusto.

A Styrkur mancavano quindi due anni, se tutto fosse andato bene, prima di poter iniziare ad invecchiare normalmente.

"Chi sei?" Gli aveva chiesto la ragazzina, muovendo le gambe per stare a galla. Styrkur si era portato una mano ai capelli bagnati, ancora più imbarazzato.

"Sono Kur, quale è il tuo nome?" Aveva abbreviato il suo nome, decidendo di mentire almeno su quello. Poi aveva guardato la ragazza, aspettandosi che scappasse via. Dopotutto stava parlando con qualcuno più grande di lei, sporco di sangue e con le pupille in verticale.

Perchè non scappava?

"Shahrazād."

Lui aveva annuito, sedendosi in acqua sino a lasciare fuori solo il volto. "Ti sei fatto male?" Aveva continuato lei, bagnandosi i capelli.

Aveva gli occhi che saettavano da una parte all'altra sul volto di Styrkur, che fosse preoccupata? No, si era detto, io sono un mostro, chi si preoccuperebbe mai di un mostro?

"Non è il mio sangue."
Shahrazād non aveva fiatato, limitandosi anche lei ad annuire. "Allora dovresti pulirti il volto, gli abitanti di Città dei Peccatori si spaventerebbero a vederti."

Era stato un consiglio che aveva preso alla sprovvista Styrkur. Quella ragazzina faceva parte di Città dei Peccatori, e perchè continuava a non temerlo?

"Non ti faccio paura? Potrei ucciderti proprio qui, per quanto ne sai."
Shahrazād si era stretta nelle spalle, alzando le mani a coppa per versargli dell'acqua sul collo. Styrkur era sobbalzato, deglutendo.

"Non è la prima volta che vedo del sangue, e poi sembri te quello spaventato, qui."
A Styrkur era parsa come una rassicurazione mista ad una presa in giro.

Si era quindi fatto aiutare a pulirsi il viso ed i capelli, estraneo a quel tocco così delicato. Era stato abituato a tocchi forti, impetuosi, dolorosi, non di certo alle mani morbide di una ragazzina.

"Da dove vieni?" Lo aveva fatto girare di spalle, dicendogli di fare il morto a galla per lavargli a dovere i capelli con un "tieniti al terreno, non vorrei che cadessi di nuovo."

Styrkur aveva ridacchiato all'ennesima presa in giro, senza sentirsi offeso.
"Da Città dei Santi," Shahrazād aveva arricciato il naso, disgustata, mentre continuava a massaggiargli i capelli per eliminare ogni traccia di sporco.

Styrkur l'aveva osservata mentre di esibiva in un'espressione di disgusto, chiedendosi se fosse riferita a lui.
In realtà non sapeva nemmeno il perché si fosse fermato lì con la ragazzina, ne il perché lei sembrasse così calma ed ospitale.

"Mia madre dice che a Città dei Santi c'è gente cattiva," era una cattiveria però diversa da quella di Città dei Peccatori.

Sua madre le aveva detto che a Città dei Santi nascondevano la loro cattiveria, che erano lupi travestiti da agnelli.

Styrkur aveva annuito, trovandosi a concordare con la ragazza.

"Penso che tutti siano cattivi, in questo mondo." Aveva ribattuto Styrkur, lanciandole uno sguardo. Eppure Shahrazād non gli sembrava cattiva.

Lei aveva scosso la testa, iniziando a bagnargli il volto incrostato di sangue.

"Lo penso anche io, ma puoi decidere quanto essere cattivo e con chi. Suppongo sia questo il libero arbitrio."

A Styrkur lei pareva così piccola, come poteva parlare in quel modo? Come poteva parlare come un'adulta?
In un angolo, vicino un albero, sedeva Liv. Lo osservava con il mento poggiato sul palmo della mano, non pareva arrabbiata mentre si alzava per avvicinarsi ai due.

"Lei è tua madre?" Gli aveva bisbigliato all'orecchio, puntando lo sguardo sulla Dea. Styrkur aveva trattenuto il respiro per qualche secondo, "puoi vederla?"

Shahrazād si era messa a ridere, annuendo.
"Certo che posso, non sono mica cieca."
Ma nel suo tono Styrkur aveva captato qualcosa di strano, una nota triste. L'aveva per caso offesa?

Liv si era seduta a terra, a circa tre metri di distanza da loro, per osservare meglio. Shahrazād l'aveva guardata a sua volta, passando in rassegna ogni suo tratto, poi si era accostata di nuovo all'orecchio di Styrkur.

"Hai una mamma davvero bella!"

Liv aveva sorriso, compiaciuta.
Si chiedeva dove diamine fosse finita Vårdande, ma dopotutto Styrkur non stava aspettando da solo e quella creaturina non le pareva minacciosa.

"Come ti chiami, bambina?"
Shahrazād si era sentita percorrere la schiena da un lungo brivido mentre mormorava il suo nome. Liv aveva annuito, pensando che prima o poi avrebbe dovuto fare qualcosa per ricompensare la marmocchia.

Poi la Dea aveva guardato Styrkur, mormorandogli un quasi impercettibile "ti piace?"

Lui ci aveva pensato, non capendo esattamente il senso di quella domanda. Certo, la ragazzina pareva amichevole e simpatica, ma gli piaceva?
Si, gli piaceva come umana.

L'aspetto, aveva pensato lui, di certo non era dei migliori. Shahrazād gli sembrava denutrita, con due profondo occhiaie. Le sue mani erano sottili, tutto il suo corpo lo era.

Ma quei puntini rossi sulla sua pelle gli piacevano, era certamente meno graziosa delle ragazzine tutte bionde di Città dei Santi, ma a lui piaceva di più.

Liv aveva quindi annuito a sua volta, sorridendo e battendo le mani come se fosse eccitata all'idea.

"Sta arrivando."Aveva poi mormorato lei, puntando lo sguardo oltre gli alberi, dove dei passi si facevano più vicini.

Styrkur l'aveva percepito a sua volta, issandosi lentamente in piedi.

"Devi andare?"

La Serpe aveva annuito, felice e dispiaciuto al contempo stesso. Si era quindi inchinato davanti alla ragazzina, in segno di ringraziamento. Lei l'aveva dismesso con un cenno della mano, sorridendogli.

"Fai buon viaggio!" Con una bracciata si era tirata indietro, rimanendo però in acqua. Styrkur si era chiesto per quanto tempo avesse intenzione di rimanere immersa. Non aveva freddo?

"Se vuoi qualche volta puoi tornare qui, potremmo giocare insieme!" Shahrazād aveva battuto le mani, sorridendo.

Non aveva mai avuto dei veri e propri amici, lei. Tutti sapevano che sarebbe divenuta cieca di lì a poco, e nessuno voleva avere a che fare con una malata, nemmeno sua madre.

Styrkur aveva sgranato gli occhi, sbigottito, guardando poi Liv.

"Perché no, sembra interessante."

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top