CAPITOLO UNO
Capitolo Uno: Rumore.
"La vita è un'ombra che cammina, un povero attore che si agita e pavoneggia la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente. È un racconto narrato da un idiota, pieno di strepiti e furore, significante niente."- William Shakespeare
Shahrazād aveva un gran mal di testa, procuratole forse dall'accecante luce del Sole che prepotente le batteva sul viso.
Si diede della stupida per non aver tirato le tende, e sentì l'ansia sprofondare nel suo petto quando capì che si sarebbe dovuta recare al mercato con le pupille cerchiate di bianco.
L'avrebbero indicata e osservata come si fa con una bestia, sussurrando alle orecchie frivole dei loro accompagnatori che La Gatta era uscita dalla sua topaia.
Shahrazād aveva imparato in fretta che le attenzioni erano maligne, e quindi doveva privarsene.
Uscire solo la notte era il suo segreto per mantenere calmi gli animi di Città dei Peccatori; all'oscurità la sua malattia non si manifestava e di conseguenza non lo facevano le parole.
Ah, le parole! Quali maligne e inspiegabili forme di comunicazione erano, le parole. Non ne faceva molto uso lei, più per svogliatezza che per amor proprio.
A Città dei Peccatori, quel giorno, il Sole brillava alto nel cielo. Per gli abitanti era un segno positivo, e come tale doveva essere accolto.
Ma Shahrazād non era d'accordo con l'apparente felicità manifestata nei confronti di quell'enorme palla di fuoco, dopotutto lei non poteva vederla, solo sentirla.
L'avvertiva contro la pelle, contro i suoi occhi difettosi. Sentiva il suo calore bruciarle le braccia, il volto, il cuoio capelluto, eppure non ne ricavava il piacere consono alla situazione.
Shahrazād amava la pioggia, la sensazione che le lasciava addosso, come una minuscola impronta sulla pelle. Riusciva ad immaginarsela, la pioggia.
Si accovacciava sopra ai rimasugli d'acqua che si formavano per le strade dopo un temporale, e con le dita ne sfiorava la superficie, con la paura di poterla infrangere.
Suo padre l'aveva spesso ripresa, apprensivo.
Città dei Peccatori faceva parte delle Terre del Sud, e come tale il Sole era da adorare e non da rinnegare. Un tale insulto non solo non era tollerabile dagli Dei, ma anche dai popolani.
Lei aveva comunque imparato presto a nascondere le sue fonti di interesse, anche tra gli Stanchi.
Non era consono, per una peccatrice di accidia, avere interessi. Eppure lei ne aveva e non riusciva a spiegarselo.
Forse, e solo forse, Shahrazād non era una Stanca. Forse era solo un'anima persa alla ricerca di un'identità, tanto da assumerne una non sua.
Ma a Città dei Peccatori tale pensiero era considerato pericoloso perché, se non era una Stanca, allora cos'era? Quale era il suo peccato?
Tutti ne avevano uno, e i cittadini avevano bisogno di catalogare ogni individuo in una delle sette strutture per tenerli sotto controllo.
Shahrazād lo sapeva, non era stupida, eppure si crogiolava nella sua impotenza.
Alzarsi dal suo giaciglio fu per lei motivo di gran fastidio, mentre con le mani cercava a tentoni l'armadio contenente pochi abiti rammendati male.
Non sapeva come fossero, ma non le importava. Glieli aveva procurati una consorella anni addietro, e Shahrazād le era stata riconoscente.
Il mercato, comunque sia, era composto da qualche bancarella messa piuttosto bene per gli standard della città, quest'ultime offrivano cibo, gioielli e tanto altro.
Una volta a settimana si teneva, appunto, il mercato. Tutti gli abitanti di Città dei Peccatori vi partecipavano, esso faceva girare il commercio chiuso della città.
Shahrazād ne assorbiva i profumi, saggiava le forme degli oggetti che le si mostravano davanti agli arti e ne studiava la consistenza. Shahrazād vedeva attraverso le mani, gli odori e i rumori.
Era un mondo piccolo, il suo, eppure estremamente grande.
Non ne era a conoscenza, ma davanti a sé aveva un mondo inaccessibile a tutti gli altri.
Shahrazād camminava lentamente, con le mani prolungate davanti a sé per evitare un possibile incontro con chiunque. Ma una parte di lei era pienamente consapevole che non sarebbe avvenuto alcuno scontro: gli abitanti di Citta dei Peccatori non la toccavano.
La credenza popolare, erronea, era che Shahrazād potesse passare la sua maledizione tramite il tocco. Era incredibile come tale pensiero effimero potesse germogliare nelle menti di un'intera città, eppure era così e Shahrazād nulla poteva contro una convinzione.
L'odore di arancio le aveva riempito le narici, facendole rilassare le spalle. Alla ragazza piaceva l'odore, o forse le riportava alla mente di quando suo padre aveva paragonato i suoi capelli a quel colore.
Shahrazād aveva potuto vedere sino ai nove anni, prima che la malattia le portasse via molto, ma non tutto. Ricordava i colori, la forma di qualche oggetto e il viso dei suoi concittadini; quella era la sua unica consolazione.
Sapeva che i suoi capelli erano rossi, cosí come le efelidi sparse per tutto il suo corpo, a formare costellazioni sulle sue gambe, braccia, busto e volto. Era forse l'unica sua peculiarità che a Città dei Peccatori non era mai stata sminuita.
Aveva visto, inoltre, il modo in cui la sua pupilla veniva resa bianca alla luce, e ne era rimasta terrorizzata. Avrebbe voluto aver perso la vista prima di vedere la malattia nei suoi occhi, perché le aveva lasciato un peso immenso nel petto.
"Hai degli splendidi capelli, ragazza, dovresti comprare un fermaglio per valorizzarli ulteriormente." Shahrazād aveva impiegato qualche attimo per capire che quelle parole erano rivolte a lei, e per qualche secondo ne era rimasta sorpresa.
Riusciva a vedere una debole ombra dinnanzi a lei, ma i particolari le erano ignoti. Shahrazād ci mise un po' a formulare qualche parola, spaventata che la sua voce uscisse troppo debole.
Aveva poi scosso la testa, sorridendo nel vuoto, abbandonando l'idea di parlare.
La bancarella di fermagli era gestita da una donna, facente parte dei Lussuriosi, che poteva avere sui trent'anni. A Shahrazād piacevano i Lussuriosi, non fisicamente parlando, perché quello era un ambito in cui lei non avrebbe mai potuto avventurarsi. No, a lei piaceva il modo in cui i Lussuriosi si ingraziavano le persone.
Era, ovviamente, a conoscenza del fatto che fossero tutte tattiche di marketing.
I Lussuriosi erano però creature adulatrici, e in quanto tali era impossibile resistergli.
"Va bene cara, passa se cambi idea!" La voce squillante della donna era riecheggiante nelle sue orecchie, e per un attimo Shahrazād si era detta che era un suono dolce, quasi materno.
Ma quella mattina l'obiettivo di Shahrazād non era quello di comperare alimenti o qualsivoglia oggetto, lei era diretta dalla cartomante.
Veniva chiamata Vårdande da tutti, nessuno conosceva effettivamente il suo nome, forse nemmeno lei stessa.
Vårdande non aveva un'età, o meglio: nessuno si era mai premurato di chiederglielo, perché a nessuno importava nulla di Vårdande se non di quello che aveva da offrire.
Ma la cartomante ne era consapevole e non se ne curava; anche per lei tutto ciò era solo una fonte di guadagno che, a seconda del cliente, poteva essere interessante o meno.
Ma non era di certo lì per contestare, anzi.
Vårdande non aveva una bancarella, bensì una carovana straripante di oggetti che, agli occhi dei suoi clienti, non avevano valore. La cartomante si teneva comunque ben in guardia dagli abitanti di Città dei Peccatori, nascondendo i suoi averi più preziosi per non stuzzicare i cittadini.
Shahrazād era stata in quella carovana anni addietro con sua madre, all'età di otto anni. L'obbiettivo ultimo di sua madre, all'epoca, era stato quello di domandare a Vårdande se ci fosse un modo per interrompere la maledizione che Shahrazād portava negli occhi.
Vårdande aveva riso in faccia alla madre di Shahrazād, sino al punto in cui era stata costretta a tenersi la pancia e a premersi una mano contro la bocca per trattenere la sua risata sguaiata.
"Maledizione, dici tu!" Aveva esclamato Vårdande, sulla soglia dell'isteria. Shahrazād lo ricordava perfettamente, la mano della chiromante si era posata sui suoi capelli e le dita sulle sue palpebre.
Le aveva sorriso con pena smisurata, intristita dalla convinzione della madre di Shahrazād.
"Questa malattia che tu chiami maledizione un giorno diverrà la tua unica fonte di salvezza." Le aveva detto Vårdande, sorridendole.
Non l'aveva più rivista dopo quel giorno, eppure non aveva mai dimenticato le sue parole, come se gliele avesse impresse a fuoco nella mente.
A dodici anni di distanza Shahrazād era tornata alla carovana della cartomante, forse più per curiosità che per bisogno. Aveva risparmiato i soldi guadagnati con la vendita di qualche nastro ereditato da sua nonna per poter pagare la chiromante, e ora aveva la tremenda paura di aver compiuto uno sbaglio.
Con le dita lunghe e affusolate, Shahrazād aveva toccato i cocci di vetro appesi all'esterno della carovana, facendo attenzione a non tagliarsi con essi. Poi aveva percorso i disegni che la decoravano, tentando di immaginarli nella sua mente.
Riusciva a sentirne i colori, scottanti contro le dita.
"Che sorpresa!"
Shahrazād era stata colta di soprassalto dalla voce improvvisa, sobbalzando e facendo saettare lo sguardo vitreo in qualsiasi angolo.
"Oh mi spiace cara, ti ho spaventata?" La voce era dura eppure confortante, calda contro le orecchie di Shahrazād.
Quest'ultima aveva annuito mestamente, sentendosi in preda ad un senso di colpa irragionevole. Vårdande l'aveva riconosciuta, per lei il tempo era un'unità di misura strana perché non lo percepiva, le scorreva tra le dita con rapidità assurda e quasi si sconvolse nel vedere Shahrazād così cresciuta.
Fu difficile, per la ragazza, entrare nella carovana con il solo ausilio dell'istinto, eppure ci riuscì. Era una piccola conquista per lei, le aveva regalato un minimo d'orgoglio.
Vårdande l'aveva fatta accomodare su uno sgabello mentre Shahrazād annusava curiosa l'odore della carovana, dell'incenso che le bruciava le narici e le distendeva i muscoli.
Qualsiasi cosa ci fosse, a Shahrazād non dispiaceva.
"Perché sei venuta da me, piccola Shahrazād?" Vårdande aveva premuto la guancia contro il palmo della sua mano, osservando di sbieco la ragazza alta davanti a lei.
Shahrazād aveva boccheggiato, sorpresa della memoria della cartomante.
"Non so da cosa sia dettata questa mia visita, se proprio devo essere sincera, ma so che il mio futuro è un'incognita e mi tormenta il non sapere cosa accadrà." La voce di Shahrazād era lieve, forse leggermente acuta alle orecchie della cartomante.
Vårdande era ammutolita, per niente sorpresa.
Dopotutto, che chiromante sarebbe stata se i suoi clienti l'avessero colta alla sprovvista?
"Capisco."
Quindi aveva disposto le carte sopra al tavolo con la cura di chi svolge lo stesso delicato procedimento da anni, sfiorandole solo con i polpastrelli.
Le aveva girate a faccia in giù, così che non potesse vedere dove le aveva disposte, e quando ebbe finito osservò soddisfatta il suo operato.
Vårdante amava quelle carte, e le adorava come si fa con un Dio. Erano ciò che per anni le avevano portato del sostentamento; le sue carte erano la porta del futuro, e lei le possedeva.
Shahrazād aveva seguito gli spostamenti d'aria con fervore, curiosa. Per la prima volta in dieci anni non si era sentita una Stanca, perché troppo vivace per esserlo.
"Stendi la mano davanti a te, e segui il flusso di energia che avverti. Devi toccare tre carte, solo tre, e una volta toccate non potrai cambiarle."
A Vårdande non piaceva ripetersi, quindi attese pazientemente che Shahrazād stendesse la mano, seguendo le sue indicazioni.
Alla cartomante venne da sorridere mentre osservava l'espressione corrucciata di Shahrazād che, con agitazione, oscillava la mano da un lato all'altro.
Vårdante aveva osservato curiosamente le efelidi di Shahrazād adornarle le gambe e si chiese come fosse possibile averne una tale quantità, ma non fiatò per non deconcentrare la giovane.
Shahrazād si era lasciata andare ad un sospiro, muovendo la mano con uno scatto dettato da un'emozione a sé stante che non seppe riconoscere. Con l'indice aveva quindi toccato una carta, poi un'altra più a sinistra e, infine, una posta agli antipodi del tavolo.
Vårdande aveva girato velocemente le carte, tutte assieme, osservandole taciturna.
"Gli amanti, l'appeso e il diavolo. È questo che dice il tuo destino." Aveva borbottato lei, deglutendo.
Shahrazād ignorava il significato di quelle carte e, trepidamente, aspettava una spiegazione, un qualcosa.
"L'amante rappresenta il desiderio d'amore, una prospettiva affettiva positiva. La carta è però quasi rovesciata, questo cambia il suo significato: amore possessivo, controllo sulla sfera emotiva, potrebbe anche simboleggiare un amore da te non desiderato. E poi vi è l'appeso." Vårdande aveva trattenuto il respiro, agitata.
"L'appeso rappresenta un sacrificio da fare, tassativamente, per il raggiungimento di un obiettivo. È necessario che tu faccia qualcosa, che tu compia un sacrificio per un successivo benessere. L'ultima carta da te scelta è il diavolo."
Shahrazād si era sentita percorrere da un brivido lungo tutta la schiena, le mani le erano tremate e istintivamente aveva serrato le labbra.
Vårdande era rimasta in silenzio, facendo saettare lo sguardo sulle tre carte, girandole e ispezionandole come se cercasse qualcosa di più, ed era proprio così.
"Cosa simboleggia il diavolo?" Shahrazād aveva atteso pazientemente una risposta, come solo una Stanca sapeva fare.
"Il male, ovviamente. Qualcosa di negativo incombe su di te, un pericolo prossimo, estremamente prossimo." Vårdande era scattata in piedi e aveva afferrato Shahrazād per il colletto del vestito.
"Devi uscire, andartene! Va' via, presto!" Vårdande era fuori di sé, non riusciva a guardare la giovane tanto era agitata e in pena per lei.
I tarocchi non mentivano mai, mai, e Vårdande per la prima volta in vita sua aveva sperato di aver sbagliato.
Oh, povera ragazza! Aveva pensato la cartomante mentre osservava Shahrazād uscire velocemente dalla carovana. Nella fretta si era dimenticata persino di pagarla, ma alla cartomante non importava.
Non riusciva a pensare ad altro se non a quelle tre carte scorrerle davanti agli occhi, come dei pezzi di un puzzle desiderosi d'esser messi insieme.
L'aria, al di fuori della carovana, si era fatta pesante, fredda contro il viso. Vårdande sentiva le articolazioni dolerle a causa del cambiamento climatico e pensò che fosse il minimo dei mali.
Quanto si sbagliava.
**
Al mercato vi erano stati dei furti, ovviamente protratti dagli Avari, cleptomani ormai affermati in Città dei Peccatori.
La gente sbraitava, si aizzavano l'uno contro l'altro ma, alla fine, nessuno si era sorpreso dell'esito di quella giornata. Era impossibile, dopotutto, organizzare un qualcosa senza che venisse intaccato dai peccati dei cittadini.
Shahrazād era ancora scossa per la sua seduta dalla cartomante, ma decise di darsi un contegno. Probabilmente la sensitiva aveva parlato della sua malattia e, per quanto riguarda la carta degli amanti, Shahrazād ci credeva poco.
Non era fatta per l'amore, lei che non l'aveva mai ricevuto. Ma non era un fattore di tristezza per lei, dopotutto una Stanca non aveva bisogno di nessun altro se non del misericordioso Dio Sover.
Shahrazād se l'era ripetuto numerose volte, più per convincere se stessa che gli altri.
Il mercato, comunque sia, stava iniziando a placare la propria ira, e Shahrazād ne era riconoscente.
Tenne le mani aperte dinnanzi a lei, sperando di non incappare in qualche bancarella perché, in quel caso, era certa che gliel'avrebbero fatta pagare cara.
"Oh, sei di nuovo tu, bei capelli!"
Shahrazād aveva riconosciuto la voce della Lussuriosa oltre la sua spalla, e si compiacque che ella le avesse rivolto nuovamente parola.
"Volevo comperare un fermaglio." Fu la risposta sussurrata di Shahrazād. In realtà lei non aveva nessuna intenzione di comprare un fermaglio, eppure desiderava protrarre una qualche conversazione con la donna della bancarella.
Voleva rilassare i nervi tesi dopo l'incontro con Vårdande, e se una conversazione era ciò di cui aveva bisogno allora l'avrebbe fatto.
"Hai cambiato idea, quindi. Ne sono felice." La Lussuriosa le aveva sorriso, osservandole la chioma rossastra come si fa con qualcosa di esotico.
Shahrazād li aveva ereditati dal padre, e ne era stata felice.
"Come ti chiami, bei capelli?" La Lussuriosa era curiosa, affascinata dalla ragazza davanti a lei. Non era una novità per Shahrazād che una Lussuriosa le prestasse attenzioni.
Dopotutto erano esseri in cerca di compiacimento, amavano adulare gli altri ma i loro veri Dei erano loro stessi.
"Shahrazād, e tu?" Non sapeva se era la scelta giusta quella di intraprendere una conversazione, sua madre non ne sarebbe stata affatto felice.
Oltretutto, continuando a stare al mercato, Shahrazād stava dando sfoggio della sua malattia, alimentando le voci cittadine. Ma aveva bisogno di distrarre i pensieri dalle carte, dal cattivo presagio di Vårdande e dal suo futuro.
"Io sono Lola."
A Shahrazād piacque quel nome, ma non glielo disse. Non per cattiveria ma perché non intraprendeva una conversazione da molto tempo e, anche volendo, non sarebbe stata in grado di formulare una frase di senso compiuto.
Lola aveva poi afferrato un fermaglio verde, lucente, con la forma di un serpente a dare un tocco di pericolosità all'oggetto. Lo aveva squadrato attentamente, percorrendo con le dita i piccoli rilievi dove vi erano state attaccate delle pietre color topazio, decidendo infine che era il fermacapelli adatto.
"Tieni." Lola aveva allungato la mano, porgendo a Shahrazād il fermaglio. Aveva impiegato qualche secondo a trovare la mano della Lussuriosa, andando a tentoni, ma alla fine era riuscita a stringere nel palmo il piccolo e delicato oggetto.
Shahrazād ebbe paura di romperlo mentre con i pollici percorreva la superficie del fermaglio, le sopracciglia aggrottate per lo sforzo mentre tentava di figurarselo nella mente.
"Puoi descrivermelo?" Shahrazād aveva provato un moto di vergogna nel domandarglielo, ma la curiosità era forte.
"Ha la forma di un serpente, è piuttosto sottile in realtà. Una di quelle serpi che si trovano nelle campagne: veloci e guizzanti. E vicino sono incise sette pietre, tutte gialle." Lola aveva fatto del suo meglio nel descriverle l'oggetto, e Shahrazād le fu grata per questo nonostante bramasse di più.
"Ti piacciono i serpenti?" Le aveva poi domandato, inclinando la testa con aria curiosa.
A Città dei Peccatori i serpenti erano animali comuni e significativi, in quanto rappresentavano la tentazione, di conseguenza molte ninna nanne e leggende erano basate su di loro.
Il mito più conosciuto, riguardante il serpente, si basava sulla costruzione della città. Ai piccoli si narrava che molti anni prima un serpente si era innamorato di una donna sola e senza casa che, per la disperazione, si era tolta la vita. Il serpente, accecato dal dolore e dall'ira, aveva stretto le sue spire attorno alla terra plasmandola sino a creare Città dei Peccatori.
Il serpente, secondo la leggenda, giace sotto la città, in attesa che la sua amata torni da lui per offrirle ciò che in vita non aveva avuto.
Shahrazād aveva sorriso a Lola, estraendo dalla sua borsa in tessuto il suo portamonete. "Sì, mi affascinano." Era stata la sua risposta mentre pagava il fermaglio alla Lussuriosa.
Sopra i tetti della struttura degli irosi, intanto, una figura longilinea osservava il mercato con occhi di scherno e derisione.
Styrkur era pronto ad attaccare.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
A T T E N Z I O N E
*Vårdande: Premurosa, in svedese.
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