CAPITOLO UNDICI

Capitolo Undici: Vendetta.

"Sotto questa maschera non c'è solo carne. Sotto questa maschera c'è un idea. E le idee sono a prova di proiettile."-V per Vendetta, il film.

Marthìn e Missnöjd, i genitori di Shahrazād, vagavano ormai da giorni per le città del Regno, cercando un posto in cui sostare. Tra di loro si era insinuato un pericoloso silenzio, carico di sensi di colpa e rabbia.

Era infatti proprio la rabbia a soggiornare nel petto debole di Marthìn, il quale non riusciva a scrollarsi di dosso la tremenda sensazione che quella fosse tutta colpa della moglie.

Non era mai stato un uomo particolarmente iroso o portatore di rancore, aveva peccato molto ma la sua anima risultava ancora debole e innocente. Marthìn aveva amato sua figlia con ogni fibra del suo essere, aveva lasciato che l'amore lo consumasse tentando di dare a Shahrazād un motivo per amarlo a sua volta.

Si era chiesto molteplici volte se sua figlia l'amasse a sua volta, oltre a quegli occhi malati si era mai celato un accenno di affetto verso il padre?

Erano tante le domande che affollavano la mente dell'uomo, e troppo poche quelle che risiedevano nella psiche della moglie.

Missnöjd non era mai stata una donna incline al sentimentalismo, quasi nessuno lo era a Città dei Peccatori. Camminava sbilenca, si era ferita ad una gamba durante il cammino e Marthìn non si era offerto di aiutarla.

Questo aveva smosso qualcosa in Missnöjd, una vaga tristezza non esternata.

Avevano quindi continuato a camminare verso Cittá dei Santi, lei zoppicando sul sentiero e lui inciampando nei suoi pensieri.

Esistevano due Città dei Santi, divise tra di loro ma comunicanti tramite dei condotti sotterranei. La prima Città dei Santi si trovava a pochi chilometri da Città dei Peccatori ed era stata distrutta dai Quattro.

La seconda era invece situata a qualche miglia di distanza dall'ex Città dei Peccatori. Per entrare bisognava passare per un cancello alto due metri, in acciaio, sorvegliato da due guardie armate di lance.

Era sorvegliata a meraviglia, questo a causa della paura che i Quattro avevano sparso per il regno.
A parlare alle guardie era stato Marthìn, il più persuasivo dei due.

"Buongiorno signore, siamo qui per chiedere ospitalità." Marthìn aveva abbassato la testa, guardandosi le scarpe logore. La moglie aveva storto il naso, senza replicare.

Le due guardie si erano guardate a vicenda, uno sguardo impietosito in volto mentre una delle due posava una mano sulla spalla di Marthìn.

"Da dove venite, e cosa vi è successo?" La guardia aveva fatto cenno al collega di tirare fuori una borraccia d'acqua, passandola a Missnöjd.

"Veniamo da Città dei Peccatori, siamo stati attaccati circa due settimane fa. Noi ci trovavamo ad una riunione e ne siamo scampati, ma ora non sappiamo dove andare. Vi prego di accoglierci."

Non era mai stato facile il rapporto tra Città dei Peccatori e Città dei Santi, proprio per la divergenza d'opinioni. Ma i Santi erano misericordiosi e tendenti all'empatia, per questo avevano fatto loro cenno di entrare.

Il cancello si era aperto con un rumore assordante, lasciando Marthìn e Missnöjd frastornati. Vagavano per quell'enorme città come dei mendicanti, feriti e sporchi, gli abiti logori ed il viso pallido e scarno.

Parevano dei morti viventi.

"Da quanto siete in viaggio?" La guardia aveva aiutato Missnöjd a camminare, offrendole il braccio che lei aveva malvolentieri accettato.

"Una settimana, signore." Marthìn era educato quanto bastava per intenerire l'interlocutore.

Città dei Santi era composta da tante piccole case tutte dipinte di bianco, e al centro si ergeva un'enorme palazzo con una cupola in cima. All'interno abitavano i cinque portavoce della città, che avevano il compito di prendere le decisioni e di ascoltare il popolo.

Senza dubbio era tra le città che riuscivano ancora a sostentarsi nonostante le condizioni in cui versava la Terra.

Marthìn era affascinato dal modo degli abitanti di vivere, tutti un buone condizioni, i bambini crescevano paffuti e correvano per la città senza preoccupazioni mentre i grandi lavoravano.

A Shahrazād non era mai stato permesso di correre indisturbata per la città, era troppo pericoloso per lei, lo era per qualsiasi bambino.

Missnöjd aveva annusato l'odore del pane, sentendo lo stomaco reclamarne un pezzo. Negli ultimi giorni avevano mangiato solo bacche ed insetti, bevendo acqua fredda di un torrente in prossimità di Città dei Peccatori.

Si sentiva quindi senza forze, completamente prosciugata e abbattuta. Missnöjd era sempre stata una donna dura, imperturbabile, ma ora si trovava in uno stato di smarrimento.

Il suo pensiero volgeva verso la figlia scomparsa, ed una parte di lei pregava fosse ancora viva.

"Qua risiede il capo, chiedete a lui ciò che vi occorre, sono certo che vi ascolterà." La guardia aveva sorriso ad entrambi, indicandogli una porta in legno.

Marthìn aveva sentito il sangue venir pompato più velocemente nel suo organismo mentre lanciava uno sguardo alla moglie.

Cosa gli avrebbero chiesto?

Vendetta, avrebbero chiesto vendetta.

Nora e Shahrazād sedevano su delle sedie in metallo, tra di loro un piccolo tavolo rotondo sul quale erano poggiate due tazze contenenti del tè.

Il sole aveva iniziato ad arrossare la pelle di Shahrazād, colorandole di rosso il naso e le goti. Nora, dalla carnagione olivastra, godeva di quella fonte di calore mentre osservava la sua signora.

"Le ha dato i fiori?" La curiosità aveva avuto la meglio sulla giovane cameriera che si era sporta in avanti, lo sguardo sognante.

"Si." Shahrazād aveva inclinato la testa, tentando di guardare Nora con scarsi risultati.

"Avevo ragione, allora! Deve nasconderli, se non vuole che la Serpe sospetti qualcosa." Nora si sentiva onorata di poter condividere quel segreto con Shahrazād, vedeva infatti la rissa come un'amica.

Forse la prima che avesse mai avuto.

"Cosa dovrebbe sospettare?" La rossa aveva preso un sorso di tè, lasciando che la bevanda calda la scaldasse.

Era una bella giornata, quella.
Da quanto non aveva una bella giornata?

Nora aveva sbuffato, sorridendo con fare sornione subito dopo. Alle volte non capiva se Shahrazād fosse ingenua o troppo furba.

"Sospettare un'interesse amoroso del Lupo verso di lei, mia signora!" Nora aveva bisbigliato, sopprimendo la voglia di urlare. Tutta la tenuta, anzi tutta la città dei Quattro aveva orecchie pronte a riferire la qualsiasi.

Nora di certo non voleva mettere in difficoltà Shahrazād, ma al contempo stesso desiderava parlare ancora e ancora di ogni novità.

Shahrazād aveva quindi inarcato un sopracciglio, schiudendo le labbra per formare una smorfia tra il divertito ed il confuso.

"Tu sogni troppo, Nora. E non darmi del lei, mi mette piuttosto a disagio."

A Città dei Peccatori si dava del lei solo agli anziani ed ai gestori delle strutture, non si sarebbe mai abituata a sentirsi parlare in quel modo.

Nora aveva bevuto a sua volta il tè, tutto d'un fiato e velocemente, tanto da bagnarsi i pantaloni con esso.

"Va bene, farò un'eccezione al protocollo. Ma insisto sul fatto che no, non sto sognando troppo. Il Lupo ti ha dato dei fiori, Shahrazād, e ti invita spesso nel giardino con lui. Ma stai attenta, puoi fare ciò che vuoi ma ti prego di non far sapere nulla alla Serpe, nessuno vuole tensione tra i Quattro."

Nora le aveva toccato una mano con fare dolce, dandole una sorta di approvazione che a Shahrazād non serviva.

Il vento aveva iniziato a scompigliare le chiome delle due, cullandole con dolcezza.
"Non c'è spazio per l'amore, nel mio corpo. Non è cosa per me, quindi non hai di che preoccuparti Nora." Shahrazād aveva sorriso, guardando altrove.

L'amore, che buffa emozione era agli occhi di Shahrazād. Lei aveva amato poche persone nella sua vita, ma in silenzio.

Un'amore sincero ma non dimostrabile a fatti.
Aveva amato suo padre e le sue consorelle, ma nulla più. A cosa le sarebbe servito l'amore? A nulla, questa era la risposta.

"Ora parli così, ma ti assicuro che troverai spazio a sufficienza per amare qualcuno. Una vita senza amore è una vita sprecata, no?"

Nora si era sentita vagamente triste nel guardare Shahrazād, così atona e a tratti assente da sembrare un sogno. Poteva sfuggirti dalle mani in un secondo, e in ogni caso i suoi pensieri sarebbero rimasti un mistero per chi le stava vicino.

"La vita è tante cose, per te è amore ma per me è il nulla assoluto. Ma ti darò il beneficio del dubbio, magari un giorno cambierò idea."

Non lo pensava davvero, ma al contempo stesso non voleva dar pena a nessuno.

Nora aveva quindi spalancato le labbra per rispondere, interrotta da in fruscio alle sue spalle. Era stato lieve, appena percettibile, ma aveva cambiato completamente l'atmosfera.

"Cosa ci fai qui, piccole volpe?" Styrkur si era posizionato alle spalle di Shahrazād, poggiando il mento contro la testa di lei, gli occhi fissi su Nora come un tacito avvertimento.

"Volevo passare del tempo con Nora," aveva sbrigativamente detto la rossa, inclinando la testa all'indietro, sentendo le labbra di Styrkur premerle contro la fronte.

La Serpe aveva annuito, facendo un cenno della mano a Nora, intimandole di andarsene.
Aveva addestrato tutto il giorno i novizi, scortandoli da una parte all'altra per concedergli familiarità con il luogo.

Era stanco, non lo avrebbe mai ammesso ma tutto ciò che desiderava era stendersi e bearsi della luce del Sole.

"Io vado, mia signora." Nora aveva lanciato uno sguardo a Shahrazād, come per confermare che la cosa fosse okay, per poi girare i tacchi ed andarsene.

Styrkur si era quindi seduto dinnanzi alla sua Scelta, esalando un sospiro di sollievo nel sentire i muscoli distendersi. Erano rimasti in silenzio per attimi lunghissimi, entrambi troppo concentrati nei loro pensieri per portare avanti una conversazione.

A Shahrazād, dopotutto, andava bene cosí.
Parlare non le andava, tanto meglio rimanere in silenzio.

"Hai parlato con Vårdande?" Il silenzio era stato interrotto dalla ragazza, colpita dalla curiosità.

Styrkur si era preso il suo tempo per rispondere, osservando il modo in cui gli occhi di Shahrazād diventavano completamente bianchi al sole.

Era come guardarle dentro, senza però trovarvici nulla. Si era chiesto quale fosse stato il suo colore degli occhi quando la sua malattia ancora non si era sviluppata.

Castani, forse?

Se li immaginava marroni, come la corteccia di un albero. Un marrone dolce, non uno scuro, che al sole avrebbe brillato di dolcezza.

"Domani sera si svolgerà il rito. Vuole che tu vi partecipi, in quanto mia Scelta." Styrkur aveva contratto la mascella, stringendo i pugni mentre malediceva mentalmente Vårdande.

Shahrazād non era pronta a diventare parte integrante del loro culto, o forse era Styrkur a non essere pronto. Avrebbe significato cambiarla, toglierla dalle proprie serene giornate per catapultarla in un modo ancora più nuovo ed impegnato.

"Non so se sia opportuno," aveva borbottato lei, sorseggiando la sua calda bevanda.

"Perchè?" Styrkur la pensava nello stesso modo, ma voleva conoscere le ragione della ragazza.

"Non sono le mie Dee, perchè dovrei tenere un colloquio con loro?" Le parole le erano uscite freddamente dalle labbra arrossate, Styrkur pensò che con un tono del genere persino l'inferno si sarebbe raggelato.

Shahrazād era devota al suo Dio, lo era sempre stata, e nonostante la sua apparente apatia non avrebbe mai rinnegato il suo credo.

Styrkur aveva sbattuto velocemente le ciglia, leccandosi il labbro con aria pensante.

"Non devi riconoscerle come tue Dee, solo ascoltarle." Avrebbe voluto che la ragazza la pensasse diversamente, che abbracciasse il suo credo.

Shahrazād non rinnegava l'esistenza delle Dee di Styrkur, pensava che tra i cieli regnassero una moltitudine di divinità, tra cui Död e Liv ovviamente, e che ogni umano aveva la facoltà di sceglierne uno a cui dare la propria facoltà.

Lei aveva scelto Sover, l'amorevole Dio che concedeva la morte cosí come concedeva la vita.
Se ne era innamorata sin da subito, aveva pregato assiduamente, meditando con le sue consorelle nella ricerca di una risposta.

E l'aveva ricevuto: si era sentita abbracciare, baciare la guancia mentre piangeva dall'emozione. Le sue consorelle e i suoi confratelli l'avevano invidiata e acclamata: era riuscita ad attirare l'attenzione di Sover!

Avrebbe voluto vederlo, toccarlo e dirgli che l'amava e che lo adorava con ogni fibra del suo essere, e invece si era lasciata abbracciare da quel Dio tanto misericordioso.

"Verrò." Aveva infine detto lei, con un piccolo sospiro.

Styrkur si era quindi aperto in un sorriso di gratitudine, nonostante non volesse coinvolgerla troppo una parte di lui desiderava che lei vedesse il suo mondo, che lo capisse.

Vi era mai stato qualcuno in grado di capirlo? Forse nemmeno le Dee avevano mai capito realmente chi fosse.

E, al contrario, Shahrazād non aveva mai compreso nessuno. Aveva assecondato tutti, ma non era mai riuscita a capire profondamente qualcuno.

O forse ci era riuscita, forse anche troppo, stigmatizzando però tutti gli umani in un'unica, nefanda, categoria.
Non vi erano distinzioni, per lei tutti erano malvagi e quindi non meritevoli di fiducia.

Styrkur le aveva quindi preso la mano, sorridendole nonostante lei non potesse vederlo.

"Grazie."

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