CAPITOLO TRENTATRÉ
Capitolo trentatré: potrei
"Caro dottore, come è triste essere vuoti dentro. Fuori c'è tanta musica, tanta aria da respirare e l'immobilità del cuore è la cosa più arida e inumana che esista."-Alda Merini.
CAPITOLO LEGGERMENTE SMUT VERSO IL FINALE, SIETE AVVISATI NEL CASO VI INFASTIDISCA
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Klaus aveva sempre avuto l'abitudine, sin da quando aveva incontrato Shahrazād, di parlare in rima. Lei lo ricordava come un bambino vivace, più in carne e in salute rispetto ai suoi coetanei.
Le sue gote erano sempre tinte di rosso e non vi era un momento della giornata in cui stava fermo, persino nel sonno si muoveva.
Si erano incontrati circa dieci anni prima e, nonostante non fossero realmente collegati da un legame di sangue, si divertivano a fingersi fratelli.
Erano fisicamente simili: gli stessi capelli rossicci, la stessa forma del viso ed un sorriso simile.
Shahrazād, più grande di Klaus di quattro anni, aveva recitato la parte della sorella maggiore e lui del minore fino al giorno in cui lui se ne era andato.
A pensarci Shahrazād aveva sorriso, malinconica: pareva che tutti se ne andassero dalla sua vita, ad un certo punto, per poi tornare a loro piacimento.
E nonostante fosse felice di vedere Klaus dopo tanto tempo non riusciva a non provare una punta di sdegno. Dov'era stato per tutto quel tempo? E cosa ci faceva lì?
L'ultima domanda l'aveva paralizzata sul posto, infondendole una strana sensazione allo stomaco e successivamente alla gola.
Cosa avrebbe fatto Styrkur se avesse visto uno sconosciuto nella sua, nella loro, stanza?
"Mi chiamarono tre anni fa per lavorare," aveva iniziato Klaus, alzando un dito in aria come a voler riflettere su ciò che era accaduto negli ultimi anni, "e quando ho saputo della tua presenza qui ti sono venuta a cercare."
Le aveva sorriso, afferrandole le mani con foga; ma Shahrazād non aveva tempo per perdersi in un perduto affetto infantile: voleva delle risposte e, sopratutto, voleva smettere di ricevere visite a sorpresa e di essere all'oscuro di tutto.
Per la prima volta dopo molto tempo voleva sapere.
Aveva quindi strattonato le sue mani, sfuggendo dalla presa di Klaus con un vago senso di colpa.
"Di quale lavoro parli?"
Klaus aveva boccheggiato nel perdere il contatto fisico con Shahrazād, esibendosi in una smorfia insoddisfatta.
Lei aveva quindi sospirato nel sentirlo muoversi, a disagio, mettendogli le mani sulle spalle per massaggiarlo.
L'aveva sentito rilassarsi un poco mentre iniziava a spiegarle.
"Conosci il primo fratello? Prätda, il Falco, quello meno bello!" Aveva ridacchiato e Shahrazād l'aveva seguito a ruota, sorridendogli.
"Come lo chiamano loro? Ah: sono un maggiordomo, ricevo anche moltissimo oro!" Aveva battuto le mani con una certa euforia mentre ripensava all'incontro con il Falco.
In quel periodo Klaus era un nomade, duemila anni prima gli avrebbero dato dello zingaro, e viaggiava assieme alla madre per commerciare spezie.
Il giorno del suo arrivo a Muella, un'ex città della periferia- specializzata nella costruzione di armi- si era trovato ad assistere al massacro di centinaia di abitanti.
Muella era stata, infatti, tra le prime città attaccate. Un primato per niente gradito visto la tragica fine dei suoi abitanti. Ma Klaus era solo un ragazzino, all'epoca, e lo presero quindi con se.
Shahrazād aveva annuito, pensierosa.
Il mondo, alla fine, pareva essere un luogo davvero piccolo.
"Non credo sia giusto che tu rimanga qua, dovresti andartene prima che si compia un'atrocità." Klaus aveva poggiato il mento contro il ginocchio flesso, osservando la ritrovata amica.
Da bambini avevano legato molto eppure ora, ne era consapevole, Shahrazād non lo vedeva più come un fratello minore, né tanto meno come amico. Era passato troppo tempo dal loro ultimo incontro ed i sentimenti, dopo un po', tendono ad affievolirsi e a morire.
L'aveva capito lavorando per il Falco; con lui aveva passato lunghe giornate e la sua freddezza lo aveva, in un certo senso, formato. Quando poi aveva visto Shahrazād camminare per i corridoi si era sentito raggelare.
Credeva fosse morta nell'attacco o che la sua malattia avesse avuto la meglio, uccidendola. Inizialmente non era stato certo che fosse proprio lei, l'aveva riconosciuta dalla sua cecità e dai capelli perché per il resto pareva esser molto cambiata.
Anche adesso che l'aveva lì con lui le pareva una sconosciuta, una persona totalmente diversa da quella che aveva incontrato anni prima. Se possibile, Shahrazād gli pareva più atona ed estraniata dalla realtà, si chiedeva se lo stesse realmente ascoltando o se fosse persa nel suo piccolo mondo.
"Cosa intendi con atrocità?" Non era rimasta particolarmente colpita dalla parola, né dal significato nascosto che la frase di Klaus conteneva. Il fatto è che Shahrazād era cresciuta circondata dalla miseria, da terribili avvenimenti e da cattiverie ingiustificate; la parola atrocità aveva quindi perso di significato, per lei.
Klaus aveva roteato gli occhi, annoiato dalla poca reattività della ragazza. Avrebbe voluto scuoterla per le spalle ed imporle di reagire con più vigore, di agitarsi e di comportarsi da umana.
Per lui, la struttura dell'accidia e tutti i suoi adepti l'avevano rovinata.
"Cosa pensi che facciano i Quattro alle loro compagne? Quando smettono d'esser utili, se ne liberano senza troppe lagne." Aveva indurito lo sguardo, arrabbiato.
Shahrazād era sicura che quella fosse una falsità: aveva assistito alla miseria di Prätda, dopo la morte di Cassidea, e non pensava che avesse finto.
"Loro vivranno per centinaia d'anni ancora, mentre per i Quattro la nostra vita ha l'equivalenza di un'ora! Non puoi pensare di affiancarlo per molto, invecchierai e tutto ciò che hai costruito verrà totalmente sconvolto. Sei qua da pochi mesi e guarda il tuo volto sconvolto, pare quasi che ti sia abituata ad esser stressata."
Aveva sospirato ancora, preoccupato.
Non aveva nessun diritto, aveva pensato Shahrazād, di dirle come affrontare la situazione. Aveva perso quell'opportunità quando era sparito, non le importava che non fosse stato lui a scegliere di farlo.
Si sentiva arrabbiata, in effetti.
Era consapevole che sarebbe morta, chi meglio di lei poteva accettare la morte come un semplice dato di fatto? Il fastidio derivava forse dal fatto che Klaus le stava velatamente dicendo che doveva andarsene.
Ma andare dove? Non aveva un posto in cui vagare, i suoi genitori erano chissà dove ed era cieca, abbandonata al suo perenne buio.
Riusciva a muoversi per la villa dei Quattro e nel giardino solo grazie a settimane e settimane di pratica costante. Aveva imparato come spostarsi, i percorsi delle scale, le increspature nei muri ed i rialzi del terreno.
Grazie a tutto ciò riusciva ad orientarsi; se fosse uscita si sarebbe certamente persa.
Ed una non-vedente sola e persa era la preda ideale in tempi tanto difficili.
Klaus aveva abbassato lo sguardo sulle sue mani, torturandosi le pellicine attorno alle unghie.
Lo odiava, forse?
No, Shahrazād non aveva mai odiato nessuno.
Lo trovava fastidioso?
Si, quella sarebbe stata la definizione ideale e Klaus ne era consapevole. Ma era andato da lei per un motivo ben preciso, per metterla in guardia ed aiutarla in onore di una vecchia amicizia.
"Il falco è impazzito ed ora ti punta il dito. Pensa che tu sia coinvolta nell'assassinio della ragazza, questa è l'idea che nella tua mente impazza. Temo la voglia vendicare, ti prego quindi di non farti abbindolare.
Questo luogo non è sicuro, violenza e morte sono qua delle costanti, non credo tu abbia bisogno di convivere con situazioni tanto aberranti."
Shahrazād aveva inarcato nuovamente un sopracciglio in un gesto che, ormai, era divenuto abituale.
Prätda pensava che lei fosse coinvolta nell'assassinio di Cassidea, ma perché? Come avrebbe fatto ad uccidere la ragazza se a malapena riusciva a camminare da sola?
Certo, avrebbe potuto usare la formula che le avevano insegnato nella struttura dell'accidia ma nessuno oltre a Vårdande era a conoscenza di questa sua abilità.
Nemmeno Styrkur lo sapeva, era quindi impossibile che Prätda avesse scoperto il suo segreto.
Aveva preso dei bei respiri profondi, dicendo a se stessa che la sua abilità fatale era completamente al sicuro e che non doveva preoccuparsi di quello.
Ma Prätda era, in qualsiasi caso, un membro dei Quattro e quindi potenzialmente pericoloso.
Sover solo sapeva cosa sarebbe successo se avesse deciso che Shahrazād era una minaccia. Era sicura di non aver fatto passi falsi, di non aver dato motivo a Prätda di ritenerla pericolosa.
Non era coinvolta nell'omicidio di Cassidea, ma come poteva provarlo? Accusare Seth, o Gabriele, era fuori questione.
Dopo tutto lo sforzo che avevano fatto per convincere Styrkur della sua parziale innocenza non poteva permettersi di rovinare tutto, gettando il povero ragazzo nelle braccia del Falco.
Se Prätda avesse scoperto che nascondeva l'assassino di Cassidea, l'avrebbe certamente fatta giustiziare.
Magari sarebbe stato lui stesso ad ucciderla, e lei non poteva permetterlo, non ora.
"Prätda non ha di che preoccuparsi," aveva iniziato Shahrazād con tono lento, "io non sono coinvolta in ciò che è successo a Cassidea e comunque-" si era sporta verso Klaus con un ghigno mal celato in viso, "devo forse ricordarti che la morte e la miseria sono sempre state presenti nella mia vita? Non mi preoccupano e non dovrebbero preoccupare te.
Ti ringrazio di avermi parlato delle idee di Prätda ma non credo che la tua presenza sia necessaria qui; desidero che tu esca da questa stanza e che non vi ci metta più piede.
Non dirò a Styrkur della tua presenza qui solo in nome del nostro vecchio legame, ora ti prego di andartene."
Klaus l'aveva fissata a bocca aperta, non sapendo se sentirsi offeso o meno. L'aveva avvisata di un possibile pericolo, per Liv! Eppure lei era rimasta impietrita sul posto, trattandolo come se quelle informazioni non la toccassero minimamente.
Era, in un certo senso, ferito.
La Shahrazād che aveva conosciuto lui, molti anni prima, l'avrebbe ringraziato e magari abbracciato, chiedendogli di fare nuovamente ritorno.
Ora fissava invece un guscio vuoto, lo spettro di una ragazza che ora era morta e che era stata sostituita con la nuova versione.
Si era alzato lentamente dal pavimento, regalandole un sospiro mentre apriva la porta.
Sperava che lo richiamasse per offrirgli di nuovo la sua amicizia, ma non fu così.
"Se dovesse mai serviti un amico sappi che io-" era stato bruscamente interrotto dalla mano di lei che con velocità s'era alzata in aria, zittendolo.
"Non ho bisogno di amici."
Si era concentrata sullo sbattere della porta e poi di nuovo sul battito calmo e lento del suo cuore.
C'erano troppe cose in ballo, troppe incognite e troppi pericoli alle porte; non sapeva come gestire il tutto.
Non era abituata a tutto quel movimento, tanto meno ad essere al centro di faide. Aveva deliberatamente deciso di supportare Seth e di aiutarlo, questo significava mettersi però contro Prätda.
E pareva che quest ultimo fosse incline a volersi liberare di lei, schierarsi contro di lui non era quindi saggio.
Si era chiesta come si sarebbe sentita se fosse morta proprio in quel momento o, magari, il giorno dopo.
Avrebbe sentito le braccia di Sover avvilupparsi attorno a lei per stringerla in un abbraccio caldo, quasi paterno, e l'avrebbe trascinata con lui nell'efter.
Riusciva ad immaginarsi la calma che la morte le avrebbe regalato: niente più ansia, dubbi, pericolo. Niente di niente, solo lei e le sue consorelle ed un'immensa distesa di niente.
Chissà cosa avrebbe fatto Styrkur.
Se l'era domandata un paio di volte prima di abbandonare quel pericoloso pensiero.
Non era consono pensare ai vivi quando si prospettava la propria morte, perché i vivi avevano, ed hanno tutt'ora, la strana abitudine di ancorare gli altri a terra, di impedirgli di andare oltre e di morire.
Si era sentita toccare la fronte da qualcosa di ruvido e umido: un paio di labbra. Ne aveva percepito l'odore fresco e pungente, il taglio verticale sul labbro inferiore che premeva contro lo spazio tra le sue sopracciglia.
Styrkur era tornato e lei aveva, ancora una volta, perso la cognizione del tempo.
"Come stai?" Le aveva sussurrato lui tra i capelli, massaggiandole lo scalpo con le dita callose.
Shahrazād si era inclinata in avanti, lasciando che la sua testa si scontrasse con la spalla di lui, sorreggendola.
Avrebbe dovuto parlargli di ciò che era successo ma non ora, non in quel momento.
"Stanca." Quella parola l'aveva fatta sorridere, i ricordi si erano malinconicamente affacciati nella sua mente, ricordandole la sua vita a Città dei Peccatori.
Non la rimpiangeva eppure le mancavano le sue consorelle ed i suoi confratelli. Era sicura di averli amati tutti, a modo suo, e di aver provato un sincero affetto per ogni membro degli Stanchi.
Styrkur aveva ridacchiato, sollevandola da terra per portarla sino al letto. Sotto le dita riusciva a sentire la forma delle sue costole e contro il suo sterno aveva sentito premere l'anca di lei.
Com'era possibile che fosse ancora così magra?
Le aveva accarezzato una coscia, facendola sdraiare sul lato sinistro del letto, stringendo la presa per saggiarne la morbidezza.
Shahrazād aveva lentiggini ovunque, piccoli schizzi di fuoco contro la pelle chiara. Styrkur l'avrebbe paragonato al cielo della fine del mondo; era così che se lo immaginava.
"Te come stai?" Non sapeva il perché le importasse tanto, dopotutto non era consono che si preoccupasse per lui.
Styrkur si era sfilato la camicia e gli scarponi per poi sdraiarsi davanti a lei, naso contro naso in uno scambio intimo di pensieri.
"Frustrato."
Lei non aveva risposto, non era riuscita a formare una frase di senso compiuto e quindi gli aveva accarezzato le spalle, il collo e il busto.
Era una sensazione tranquilla quella che emanava Styrkur, eppure era un assassino.
Non era normale rimanere tranquilli e indisturbati dinnanzi alla presenza di un simile essere. Ma lei era rilassata, il respiro lento come al suo solito e lo sguardo vitreo, perso, puntato chissà dove.
"Non sono riuscito a fargli oltrepassare la barriera, Vårdande dev'essersi davvero impegnata per renderla così sicura."
Shahrazād aveva annuito, invitandolo a continuare mentre lui scendeva a baciarle la mascella.
"C'è un bunker a circa dieci chilometri dalla barriera, l'ho rinchiuso lì." Styrkur l'aveva sentita irrigidirsi contro di lui, non di paura ma di confusione.
Con la mano destra aveva quindi tracciato segni invisibili sulla schiena di lei, tentando di farla rilassare nuovamente.
Non gli piaceva renderla ansiosa o agitata, avrebbe preferito vederla in un costante stato di calma. Ma era impossibile e di certo non poteva rinchiuderla in quella stanza a vita, giusto?
Aveva lasciato un piccolo e scherzoso morso sotto al suo orecchio, sentendola sorridere contro la sua fronte.
"Ho pensato fosse meglio rinchiuderlo nel caso in cui, sai, Gabriel o Gabriele-non ricordo il nome- dovesse riprendere il controllo del corpo."
Non era convinto che il suo piano avrebbe funzionato, nemmeno un po' in effetti, ma era l'unica idea che aveva trovato.
Con le labbra aveva continuato il dolce e morbido attacco al collo pallido di lei, lasciando qualche morso di tanto in tanto senza mai farle male.
Per qualche secondo l'aveva sentita irrigidirsi, le sue mani gli avevano afferrato le spalle e le sue labbra si erano lievemente socchiuse.
Consapevole di ciò, Styrkur aveva continuato.
Lo soddisfava il pensiero di poterla ridurre in uno stato del genere, che solo lui potesse farle provare una sensazione simile.
Non avrebbe lasciato che altri prendessero il suo posto: darle sollievo era un suo compito e non l'avrebbe ceduto a nessun altro.
Le aveva baciato lo spazio tra i due seni, spostandosi sul punto in cui l'orlo del suo vestito copriva il tutto. Con l'indice aveva fatto sì che la spallina destra le ricadesse sul braccio, scoprendole metà petto.
"Fermami se ne senti il bisogno," lo aveva sussurrato piano, ben consapevole d'esser stato udito; lei non aveva risposto, chiudendo gli occhi.
Si sentiva leggera, ignorare il fatto che sopra di lei vi fosse un assassino era improvvisamente facile.
Non riusciva a pensare, il suo cervello era totalmente disconnesso e lui amava averla sotto di lui, amava farle perdere il controllo e la ragione.
Le aveva accarezzato un fianco, salendo verso le guance ed il naso, pizzicandoglielo.
Amava il ritmo veloce e agitato del suo cuore, il respiro smorzato ed il sussulto occasionale delle sue gambe.
Per Liv, gli pareva di star morendo, d'esser sommerso di adrenalina.
L'aveva baciata con forza, issandosi meglio sopra di lei; quindi aveva flesso il ginocchio, infilandolo tra le gambe di lei per tenerle separate e premendolo nello spazio vuoto tra le sue cosce.
Shahrazād si era ritrovata ad inarcare la schiena e a schiudere le labbra, permettendo a Styrkur di accarezzarle il palato con la lingua.
"Penso che potrei amarti," aveva borbottato Styrkur, affogando di nuovo nell'odore dolce della pelle di lei.
A T T E N Z I O N E
Ehilà! Per chi fosse interessato a nuove letture: ho pubblicato un nuovo libro, The Cursed King, passate a fare un'occhiata se ne avete voglia (:
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