CAPITOLO TRENTANOVE
Capitolo trentanove: la morte indotta.
"Che senso ha continuare a camminare
se i nostri passi conduco al nulla?" -sconosciuto.
Seth si era ripreso, ma questo non bastava.
Il pericolo che la sua seconda personalità, Gabriele, tornasse a controllare il suo corpo era abbastanza per intrappolarlo in uno stato d'ansia.
Styrkur stesso aveva riconosciuto che, nonostante adesso stesse fisicamente bene, non poteva farlo uscire da quel luogo.
Sarebbe stato troppo pericoloso averlo in giro e non poteva rischiare che Prätda lo vedesse. Sapeva come sarebbe finita: con Seth morto.
La Serpe avrebbe dovuto rendere il Falco partecipe di ciò che nell'ultimo mese era accaduto. Sperava che lo spirito saggio e neutrale di Prätda lo avrebbe aiutato ad accettare la situazione.
La vendetta, però, era parte integrante dei Quattro e rinunciarvici sarebbe stato difficile. Per questo non avrebbe rivelato la posizione di Seth, assicurandosi di tenerlo al sicuro.
Shahrazād, comunque sia, era seduta in un angolo con Kyà davanti a lei, entrambi immersi in una fitta conversazione.
Aveva un piano ma avrebbe preferito parlarne prima con il semi-gatto, il più imparziale, e poi con Styrkur.
Era convinta che lui non avrebbe approvato affatto, ma poco importava: non avevano altre soluzioni.
"Sei sicura?" Le aveva domandato Kyà, inclinando la testa di lato. L'espressione di Shahrazād era rimasta neutra, senza nemmeno un accenno di preoccupazione.
Vivere per anni senza provare nulla le era ora d'aiuto. Era certa che nessuno potesse mascherare i suoi sentimenti bene quanto lei.
C'era così tanto da fare, da sistemare, da lasciarla con una sensazione di nausea alla bocca dello stomaco. Aveva tempo, o almeno pensava di averne, ma in ogni caso voleva sbrigarsi e risolvere tutto il prima possibile.
Per farlo, però, avrebbe avuto bisogno di aiuto.
Shahrazād aveva avvertito uno spostamento d'aria al suo fianco, un movimento talmente repentino da farle trattenere il fiato per la sorpresa.
Era quindi arrivato l'odore familiare a rassicurarla.
Qualche mese prima avrebbe maledetto la sua cecità, autocommiserandosi. Il buio era tutto ciò che per anni aveva avuto, e per quegli stessi anni aveva creduto di non possedere altro.
L'olfatto, il tatto e l'udito erano sempre stati suoi alleati fedeli nonostante non li avesse mai riconosciuti come tali.
Solo in quel momento aveva realizzato quanto quei tre sensi le fossero indispensabili. Riusciva a riconoscere le persone dall'odore, le strade dal modo in cui le piante dei suoi piedi si piegavano e tutto il resto grazie all'udito.
Per questo non si era sorpresa nel confermare che a essersi seduto accanto a lei fosse Styrkur.
Lo aveva riconosciuto dai calli delle sue mani che, con movimenti lenti, le sfregavano le guance. C'era quindi stato il lieve solletico dei capelli di lui contro il suo collo, il ritmo familiare del suo cuore ed il respiro lento.
Era certa che non l'avrebbe mai confuso con qualcun altro.
"Voglio andare a Città dei Santi," aveva mormorato lei, sentendo le carezze di Styrkur fermarsi.
Sapeva che da parte dell'uomo avrebbe ricevuto una negazione, un no secco dal sapore dolce-amaro, simile alla preoccupazione.
La Serpe non l'avrebbe lasciata andare facilmente, non ora che finalmente aveva riacquisito i suoi ricordi, i loro ricordi.
Shahrazād, assieme alle memorie, aveva inoltre preso possesso e coscienza delle sue emozioni e Styrkur non voleva privarsi di uno spettacolo del genere.
Era forse un desiderio egoista, da parte sua, volerla tenere con se? Solo per sé stesso, così che nessuno potesse portargliela via.
L'uomo stava diventando paranoico.
Era convinto che tutti, partendo dai suoi fratelli, volessero qualcosa dalla sua Scelta, qualcosa che lui non era disposto a cedere.
Non voleva condividerla con nessuno.
Farla uscire dal suo territorio era quindi rischioso; non avrebbe potuto controllarla, confermare che stesse bene e che nessuno le facesse del male.
L'altra parte di Styrkur, quella più razionale, pensava di doverla lasciar andare.
Era convinto che la ragazza fosse intelligente, astuta, e a provarlo era il fatto che avesse vissuto da sola con l'unica compagnia del buio.
Non avrebbe dovuto preoccuparsi, giusto?
Eppure lui conosceva Città dei Santi, aveva vissuto lì, e il solo pensiero di mandarla dal demone che amministrava quel luogo lo innervosiva.
"I miei genitori sono lì, l'antidoto per Seth anche." Aveva continuato lei, ferma sul suo piano.
"È pericoloso."
Breve e diretto, quella era la ragione principale per la quale non voleva che se ne andasse. Aveva ripensato agli anni spesi in quella città, alle angherie che aveva dovuto subire, al fatto che proprio lì avesse ucciso la sua prima vittima.
I suoi pensieri erano quindi stati direzionati verso Seth: avevano fatto degli esperimenti su di lui, a Città dei Santi, probabilmente tramite una tortura mentale. E se avessero fatto lo stesso a Shahrazād?
Il pensiero di vederla tornare con un'altra personalità lo terrorizzava. Era certo che avrebbero fatto di tutto per mettergliela contro; e di motivi ne avevano moltissimi.
Styrkur era un assassino, un uomo dalle sembianze da rettile, deforme, sadico e possessivo. Di difetti ne aveva, quindi, molti.
Ma la ragazza li conosceva già tutti, eppure si trovava ancora lì, con lui, permettendogli di avvicinarla. Perché non era semplicemente scappata? Il pensiero di essere accettato, voluto, da lei era strano.
Non sarebbe riuscito ad ammetterlo ad alta voce per il semplice fatto che, alle sue stesse orecchie, sarebbe parso irreale.
"Kyà verrà con me, in forma felina ovviamente. Ho bisogno di qualcuno che mi guidi, lui sarà i miei occhi. Inoltre ha un'immensa conoscenza della magia, potrebbe avvisarti in caso di pericolo."
I miei occhi; aveva continuato a ripetere quella frase più e più volte nella sua testa fino a sentirsene nauseato. Era lui i suoi occhi, lui e nessun altro.
Styrkur si era sentito scuotere il petto da un ringhio animalesco, più simile a quello di un leone che di un serpente, mentre lanciava un'occhiata infastidita al semi-gatto.
Era geloso.
Perché portare Kyà quando c'era lui? Era sicuro che l'avrebbe protetta molto meglio; dopotutto era più forte e più agile, quindi perché non lui? Le aveva afferrato il polso, giocando con i braccialetti d'oro appesi ad esso per calmarsi.
Non voleva sembrare, ai suoi occhi, un bambino petulante ma come poteva nascondere un sentimento così grande? Voleva che lei lo scegliesse, desiderava essere la sua unica opzione.
Sapeva, però, che non era né sana né fattibile come cosa.
La sua mente era così tanto offuscata dalla gelosia da non permettergli di comprendere la motivazione che si celava dietro le parole della ragazza. Eppure era così semplice.
Shahrazād aveva poggiato la guancia sulla spalla di lui, tastando il pavimento per cercare la sua mano. Non era infastidita, in realtà non credeva di esserlo mai stata, solo confusa.
"Ti riconoscerebbero, Styrkur. Non sarebbe sicuro per nessuno dei due, non credi?"
Si era sentito così stupido nel constatare che aveva ragione. Perché non ci aveva pensato prima? Aveva abbassato lo sguardo, mortificato dalla sua stessa ignoranza.
Non poteva permettere che i suoi sentimenti intralciassero Shahrazād, anche se sarebbe stato difficile nasconderli.
"Non hai di che preoccuparti, a me piacciono le bionde." Aveva azzardato Kyà in un tentativo di sciogliere il ghiaccio.
In realtà trovava la situazione piuttosto ironica e, al tempo stesso, fastidiosamente smielata. Lui stesso non aveva voglia di recarsi a Città dei Santi, principalmente a causa del lungo cammino.
Il fatto di poter tornare alla sua forma da gatto, però, lo aveva reso felice. Non capiva come facessero gli umani a camminare con solo due zampe per così tante ore!
A lui, dopo circa un'oretta di camminata, cedevano le ginocchia. Forse sarebbe persino riuscito a contattare Vårdande; da quanto non la sentiva?
Era passata qualche settimana, di questo era certo, e sperava che stesse bene. Sapeva che la sua ex padrona bramava la pace eterna, eppure non riusciva ad accettarlo.
L'aveva sempre trovata petulante, lenta e alle volte noiosa ma le voleva bene e le era fedele.
"Prima di andare, però, io e Kyà ci assicureremo di creare un link. Sembra che sia una specie di collegamento, creato con la magia, il quale serve a tenere due persone in contatto.
In questo modo saprai sempre dove sono e come sto, lo stesso varrà per me."
Il libro che Vårdande le aveva lasciato era colmo di incantesimi e di processi per costruire apparecchi all'avanguardia, ma non avevano tempo per passare a rassegna ognuno di essi.
Dovevano quindi scegliere il più semplice da svolgere, facile da creare ma duraturo ed efficace.
L'incantesimo necessitava una certa dose di attenzione: non poteva quindi sbagliare.
Se ciò fosse successo, il link sarebbe stato debole e la sua durata breve.
Aveva rivolto un piccolo sorriso nel punto in cui avvertiva la presenza di Styrkur, allungando una mano in avanti per cercare il suo viso.
Con i polpastrelli gli aveva toccato una guancia, avverto la solita increspatura che si creava quando sorrideva.
Oh, quanto avrebbe voluto vederlo!
Senza rendersene conto aveva sorriso anche lei, emulando, per poi toccargli le labbra con il pollice.
La Serpe le aveva quindi schiuse, lasciando qualche piccolo bacio umido sul dito di lei, mordendo con leggerezza la pelle.
Shahrazād aveva sentito le guancia andarle a fuoco mentre le sue pupille, visibili grazie alla mancanza di luce, si espandevano.
Styrkur aveva sorriso vittorioso nel notarlo, senza dirle nulla.
"Ci sono anche io, comunque. Potreste smetterla? Mi sento violato." Aveva sbuffato il gatto, ottenendo l'attenzione di entrambi.
All'uomo non importava, fosse stato per lui avrebbe continuato per ore senza curarsi della presenza altrui.
Ma Shahrazād non la pensava allo stesso modo e, in imbarazzo, aveva scostato la mano.
"Andiamo, micetto, sei per caso timido?" Il petto di Styrkur si era gonfiato di ilarità mentre adocchiava il semi-gatto, beffandosi di lui.
Si era quindi chinato verso il viso della sua Scelta, rendendo la sua presenza nota con un piccolo soffio contro la guancia di lei.
Aveva di nuovo la sua attenzione.
Senza riflettere aveva inclinato la testa di lato, mostrandogli involontariamente il collo. Lui si era quindi piegato di altri due centimetri, mordendole il
lobo dell'orecchio.
"Stare con Vårdande era molto più tranquillo, lei non aveva di certo degli spasimanti." Aveva bofonchiato Kyà, a disagio.
I tre avevano sorriso all'unisono, lasciando riempire la stanza di un silenzio confortevole, rotto solo dal respiro agitato di Seth.
La Serpe aveva quindi abbassato lo sguardo, rimpiazzando l'espressione serena con una curiosa.
Aveva ancora una domanda da porre alla sua Scelta, una domanda che per qualche giorno aveva tenuto per sé.
Non era certo, comunque sia, che la ragazza gli avrebbe risposto.
"Piccola volpe, ricordi ciò che Sover ti ha detto? Parlava di una formula da tramandare; a cosa si riferiva?"
Shahrazād si era immobilizzata sul posto mentre tratteneva il respiro, incerta su cosa rispondergli.
Era un qualcosa di intimo e segreto, difficile da spiegare.
"Ogni struttura, a Città dei Peccatori, aveva lo scopo di insegnare qualcosa ai propri adepti. Ognuno cresceva con capacità diverse, legate al peccato che più ti si addiceva.
A noi Stanchi veniva insegnato a morire."
Riusciva a ricordare l'odore della sua struttura, le parole tenere e rare delle sue consorelle e le carezze comprensive dei confratelli.
Si era chiesta come stessero nel regno di Sover, dove tutto era placido e tranquillo.
"Esiste però una formula legata a un meccanismo mentale che ci veniva tramandata. Ad alcuni ci vollero anni per imparare ad usarla correttamente; io impiegai quattro mesi.
La formula consiste in una frase che, se combinata ad una forte meditazione, stimola qualcosa nel cervello di chi l'ascolta.
La vittima, quindi, inizia a sperimentare un forte senso d'ansia e di depressione. In pochissimi secondi il cervello viene invaso da sostanze che mangiano ogni tuo pensiero o ricordo positivo, annullandolo.
A quel punto, senza nemmeno rendersene conto, il sistema circolatorio della persona si arresta completamente. Chiamavamo questo fenomeno arresto fisico o morte indotta."
Styrkur era rimasto a bocca aperta mentre ascoltava attentamente le parole della ragazza. Com'era possibile che esistesse una formula del genere?
E se davvero erano esistiti centinaia di Stanchi con questo potere, perché non l'avevano mai usato?
Se sfruttato nel modo giusto, avrebbero potuto battere ogni nemico. Invece, lo ricordava bene, erano morti senza dibattersi.
"La morte della vittima avviene in circa due minuti. Nessuno, però, ha mai voluto usarla contro qualcuno. La morte era considerata una benedizione, un dono, e non uno di noi è mai stato abbastanza misericordioso da concederla a qualcuno.
Gli Stanchi erano soliti isolarsi in un angolo, magari con uno specchio davanti, e borbottare le parole.
Non lo abbiamo mai considerato un vero e proprio suicidio, solo un sollevamento dai dovere terreni.
Nessuna della altre strutture ha mai saputo dell'esistenza di questa formula, tu sei l'unico, oltre a me e a Sover, a essere a conoscenza di questo."
Sperava di aver fatto bene a fidarsi di lui.
Ricordava ancora il giorno in cui Vårdande le aveva intimato di non rivelarlo a nessuno perché troppo rischioso.
Nonostante questo aveva fiducia in lui.
"Pensi che potresti usare questa formula, in caso di pericolo?"
Styrkur sperava gli dicesse di si.
In quel modo avrebbe potuto considerarla al sicuro anche a Città dei Santi.
Ma Shahrazād aveva lentamente scosso la testa, mortificata. Non era una cosa semplice da fare e nemmeno piacevole.
"Andrebbe contro il mio credo, ma devo tramandarla a qualcuno così che Sover non si dissolva. Non posso condividerla oralmente, è troppo rischioso, penso che dovrò scriverla.
È comunque impossibile imparare a dominare una formula del genere in qualche giorno."
La Serpe si era limitata a grugnire, non condividendo affatto il discorso di lei. Voleva che fosse in grado di proteggersi, non importava con cosa o a quale prezzo.
Aveva schiuso le labbra per ribattere quando, alle loro spalle, Seth aveva rilasciato un forte grugnito.
Nonostante Wyulma lo avesse guarito, era ancora debole. Per questo lo aveva forzato a dormire, svegliandolo solo per per farlo bere e mangiare.
Sembrava stare molto meglio rispetto a prima.
Le occhiaie gli erano quasi completamente svanite del tutto e il suo colorito era tornato quello di un tempo: abbronzato e brillante.
Styrkur non gli aveva ancora rivolto parola, limitandosi ad interagire con lui solo fisicamente. Con tutta sincerità, non avrebbe saputo cosa dirgli.
Erano passati anni dal giorno in cui Seth era stato rapito e i due non avevano quindi avuto modo di crescere assieme.
In verità Seth non aveva avuto affatto il tempo di evolversi come uomo, di sviluppare passioni e credi.
Aveva semplicemente osservato la sua vita venir vissuta da qualcun altro, incapace di reagire.
Tra la Pantera e Shahrazād c'era stato qualche scambio di parole, diverse rassicurazioni e molte scuse.
Nei momenti di lucidità Seth era sommerso dai sensi di colpa e da un senso di sconfitta enorme.
Aveva ripreso possesso del suo corpo, certo, ma non poteva cancellare ciò che Gabriele aveva fatto.
Non riusciva a smettere di ricordare l'assassinio di Cassidea, le sue grida disperate e lo sguardo di terrore nei suoi occhi.
Se Prätda l'avesse ucciso, non l'avrebbe biasimato.
Il dolore che doveva aver provato era sicuramente inimmaginabile e lui, o almeno il suo alter-ego, ne era il diretto responsabile.
Da quello che Shahrazād gli aveva detto, sapeva che lei e qualcun altro si sarebbero dovuti recare a Città dei Santi.
Per questo si odiava.
Era colpa sua, due persone stavano per rischiare la vita a causa sua.
Come avrebbe mai potuto convivere con se stesso? Se fosse successo qualcosa alla ragazza, avrebbe perso anche Styrkur.
Forse lo aveva già perso.
In altri momenti, invece, Seth pensava a Vårdande.
Come stava? Quella domanda lo perseguitava costantemente.
Sapeva che la donna era probabilmente l'unica persona sulla faccia della Terra ad amarlo ancora, ad accettarlo nonostante fosse un mostro.
Doveva fare qualcosa.
Doveva parlare con Prätda.
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