CAPITOLO TRENTADUE

Capitolo trentadue: Klaus

"Forse le nostre paure sono bambini perduti che non sono stati salvati. Si aggrappano a noi con troppo vigore-pensando di proteggerci- senza sapere che ci stanno trascinando di sotto, in luoghi in cui non siamo in grado di respirare.
Addio, piccolo
posso salvarmi
solo lasciandoti andare."- Nadine Tomlinson

"Trovato qualcosa di interessante?" Wyulma aveva allungato la testa in avanti, curiosa su cosa Sover stesse leggendo.h

Da quanto tempo si trovavano lì? Due o forse tre ore all'incirca e il dio ancora non accennava a muoversi. I suoi occhi bianchi, pallidi, erano bloccati sulla stessa pergamena da ormai dieci minuti facendolo sembrare in trans.

Cosa stava leggendo di così interessante?

"Penso di aver trovato la risposta al mio problema." Aveva mormorato lui, rivolgendo un piccolo sorriso alla sorella.

Un sorriso che non possedeva nemmeno l'ombra di un briciolo di felicità; pareva invece un misto tra tristezza e rabbia.

I lineamenti del dio s'erano fatti bui mentre sollevava cautamente gli occhi dalla pergamena, aveva aggrottato le sopracciglia e con la mano si era tirato indietro un ciuffo di capelli.

Certo, aveva trovato la risposta che cercava ma non gli era affatto piaciuta.

Doveva agire al più presto possibile, prima che tutto ciò in cui credeva andasse perduto per sempre.

"Ti prego, spiegati." A Wyulma non era mai piaciuto aspettare, ne tanto meno pregare qualcuno eppure eccola lì: inerme e bramosa anche lei di risposte.

"Conosci la leggenda del primo figlio di Död e Liv?" Si era morso il labbro inferiore, accarezzando con le dita la pergamena.

"Parli della pantera?"

"Esattamente." Si era preso il suo tempo, soppesando bene le parole da dire ed il modo in cui esporle.

Era un argomento difficile da spiegare, non poteva farci nulla.

"Dopo la morte della compagna della Pantera, Död si recò al villaggio in cui ella aveva abitato per anni e maledisse sua sorella e tutta la sua stirpe.

Penso fosse furiosa d'aver perso il consenso della Pantera e come vendetta fece un maleficio su tutti i componenti di sesso femminile della famiglia della ragazza: tolse la vista a tutte loro.

La maledizione consisteva, e consiste tutt'ora, nella manifestazione di una malattia che nel corso di pochi anni avrebbe portato loro la cecità."

Wyulma aveva sgranato gli occhi, sconvolta.
Come aveva potuto Död fare qualcosa di tanto orribile? Gli dei erano potenti, certo, ma maledire degli umani andava contro ogni valore morale.

"Shahrazād è una lontana discendente della compagna della prima Pantera, per questo anche lei ha contratto la malattia. Pare che sua madre, invece, sia stata benedetta alla nascita e che l'abbia scampata."

La dea aveva preso posto vicino al fratello, profondamente scossa. Era stata lei a benedire la madre di Shahrazād, molti anni prima, e mai avrebbe pensato fosse quello il motivo per il quale non si fosse ammalata come tutte le ragazze della sua famiglia.

"Ma non è tutto..." Sover aveva sorriso, chiudendo gli occhi come a voler ricordare qualcosa di importante.

"Shahrazād e Styrkur si incontrarono quando lei non aveva ancora perso la vista, erano dei bambini al tempo. Per qualche anno stettero assieme, erano entrambi tremendamente soli e chi meglio di una persona sola può consolarne un'altra?

A Liv andava bene, Shahrazād aveva la sua approvazione ma non quella di Död la quale, ancora rancorosa, non accettava che un altro dei suoi figli incontrasse la discendente della compagna della prima Pantera.

Sembra abbia cancellato loro la memoria, facendo dimenticare ad entrambi d'essersi mai visti."

Erano passati dei piccoli attimi di puro silenzio nei quali Sover aveva lasciato a Wyulma il tempo di elaborare la storia.

Riusciva quasi a vedere gli ingranaggi della sua testa mettersi in moto per processare il tutto nella maniera più chiara possibile.

"E questo come si collega allo stato in cui versi?"

Ora, s'era detto Sover, arrivava la parte difficile.

"Shahrazād è l'ultima discepola che mi rimane e nonostante i vostri adepti siano morti, nel mondo ancora regnano persone che peccano in nome vostro.

Vi sono ancora ladri, aggressori e quant altro, ma di accidiosi non ve ne sono più, o, almeno, non come quelli che vivevano a Città dei Peccatori.

Loro conoscevano la formula magica in grado di comandare la morte ed ora Shahrazād è l'ultima a poterla professare.

Il problema, cara sorella, è che un dio non può vivere senza qualcuno che lo preghi, senza persone che mettano in atto i suoi insegnamenti.

Questo vuol dire che quando Shahrazād morirà, io sparirò assieme a lei."

**

Styrkur non riusciva a credere alle proprie orecchie: possibile che Shahrazād gli stesse mentendo? Tutto ciò che gli aveva raccontato era assurdo, non aveva mai sentito parlare di un'arma tanto potente da scindere la personalità di un individuo in due parti totalmente differenti.

Una delle cose che l'aveva scioccato di più era stata sapere che Seth era stato rapito da degli uomini di Città dei Santi e che proprio in quest'ultima città era stato sottoposto ad indicibili torture.

Possibile che l'avessero rapito per vendicarsi di ciò che lui aveva inflitto a Tommaso? Avrebbe avuto senso, in effetti, eppure non completamente.

Avevano reso Seth un mostro obbediente, pronto ad uccidere per loro.

Con lo sguardo si era preso il tempo di analizzare il corpo febbricitante del fratello ritrovato, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare.

Kyá aveva confezionato un impacco d'erbe, stendendole sulla fronte del malato per aiutarlo a riacquisire le forze il più velocemente possibile.

Il semi-gatto non si era fatto problemi a dirgli che, con la sua apparizione indesiderata, aveva rallentato il processo di guarigione di Seth.

L'aveva anzi sgridato, bofonchiando un: "non vengo pagato abbastanza per fare da babysitter a tutta questa gente."

Styrkur era quindi giunto alla conclusione che Shahrazād non gli aveva mentito- anche perché, che motivo avrebbe avuto per farlo?

"Città dei Santi sta architettando qualcosa," aveva mormorato Styrkur, cauto.

Doveva capire ancora tante cose, prima tra tutte la motivazione che aveva spinto Seth, o meglio: Gabriele, ad uccidere Cassidea.

Era certo che fosse stato un ordine dettato da qualcuno che, ne era sicuro, conosceva benissimo.

"Quanto ci vorrà prima che riprenda i sensi?"

Averlo vicino a Shahrazād non lo tranquillizzava, non importava che ora Seth fosse al comando del suo corpo: rappresentava ancora un pericolo.

Non poteva permettere che Gabriele tornasse in possesso del corpo, avrebbe significato mettere tutti in pericolo e, nel caso in cui fosse successo, avrebbe dovuto ucciderlo.

Kyá s'era grattato il mento, perdendosi nei suoi pensieri per qualche attimo.

"Poco meno di un'ora, se non ti fossi messo in mezzo magari sarebbe già cosciente." Gli aveva quindi scoccato un'occhiata truce, mostrandogli la lingua.

"Quel maledetto gattaccio.." aveva mormorato Styrkur, stringendo la mano in un pugno. Avrebbe dovuto rispedirlo a Vårdande il prima possibile, era troppo impudente e sfrontato per i suoi gusti.

"Cosa pensi di fare?" Shahrazād gli aveva sfiorato il braccio con le punte delle dita, sentendosele afferrare subito dopo.

Aveva le dita lunghe e quasi scheletriche, probabilmente a causa della malnutrizione che aveva sofferto per anni, e le sue unghie erano cortissime.

Aveva preso la brutta abitudine di mordersele e torturarsele quando era soprappensiero ed ora il risultato erano due mani rovinate.

Styrkur si era detto che, con mani tanto sottili, sarebbe potuta essere un'ottima pianista.

"Lo porteremo dentro, lo farò sorvegliare da delle guardie e quando si riprenderà lo interrogherò."

Lei gli aveva sorriso, grata che non volesse lasciarlo lì fuori o peggio, che non volesse ucciderlo. Era rimasta piacevolmente colpita dal temperamento calmo di Styrkur, onestamente pensava avrebbe dato di matto.

"Ne parlerai con Prätda?" Kyá era curioso di sapere se l'avrebbe fatto. Nonostante fosse Styrkur, ora, al comando c'era da ricordare che Prätda era il maggiore e che aveva il diritto di sapere cosa accadeva.

"Si." Aveva borbottato lui, mordendosi l'interno guancia. Non sapeva come avrebbe reagito suo fratello, dopotutto era passato relativamente poco tempo dalla morte di Cassidea e chissà quanto tempo ci avrebbe messo per riprendersi.

Sembra se si fosse ripreso.

Dall'altro canto conosceva abbastanza bene Prätda per considerarlo una persona matura, era certo che se gli avesse parlato della situazione avrebbe fatto del suo meglio per studiare il tutto da un punto di vista totalmente obiettivo.

Si era quindi alzato, trascinando con se la ragazza e tenendola ferma con le mani.

Aveva quindi lanciato un veloce sguardo a Kyá e poi al corpo di Seth, elaborando velocemente le informazioni che i suoi occhi stavano percependo.

"Porterò Seth dentro, sono più veloce di te-" aveva iniziato lui mentre Kyá apriva la bocca, pronto a rispondere per le rime, "-tu accompagna Shahrazād nella sua stanza, l'hai trascinata in giro abbastanza per oggi." Il suo tono si era fatto più duro: non avrebbe accettato una risposta negativa.

Così si era sporto in avanti, sfilando il corpo di Seth dalla presa di Kyá per caricarselo in spalla e sparire, nel giro di qualche secondo, tra la folta vegetazione.

"Sono più veloce di te, gne gne gne, accompagna Shahrazād, gne gne gne, l'hai trascinata in giro abbastanza per oggi, gne gne gne." Kyá gli aveva fatto il verso non appena era stato sicuro di non poter esser sentito.

"A chi pensa di star parlando?" Si era voltato con le sopracciglia aggrottate verso Shahrazād, furioso. Non gli piaceva prendere ordini, tanto meno da Styrkur.

Lei aveva sorriso in risposta, sinceramente divertita dalla sua reazione.

"Andiamo, micetto." L'aveva preso in giro, voltandosi per iniziare a camminare in avanti con le braccia tese, pronta a scontrarsi contro qualcosa.

Kyá aveva spalancato le labbra, a corto di parole.
Perché diamine lo prendevano tutti in giro? Prima o poi se ne sarebbe andato davvero e a quel punto l'avrebbero pregato di restare, ne era certo.

"Micetto..." aveva borbottato lui, sempre più incredulo. Tanto valeva mettergli un collare e chiamarlo batuffolo! Si era ritrovato a pensare lui mentre prendeva sottobraccio Shahrazād.

Nonostante tentasse di negarlo non voleva che andasse a sbattere, ne tanto meno che si ferisse nel tentativo di muoversi da sola.

A piccoli passi avevano quindi iniziato a dirigersi verso il punto in cui si innalzava la barriera, ognuno immerso nei propri pensieri.

Shahrazād aveva, comunque sia, avuto un dubbio.

"Come farà Seth a passare oltre la barriera? Credevo che nessuno proveniente dall'esterno potesse superarla."

Wëskø le aveva spiegato che solo gli abitanti del complesso potevano uscire e rientrare dalla barriera, così da prevenire attacchi esterni. Eppure Styrkur aveva assicurato che avrebbe portato Seth al sicuro, ma come?

Kyá si era stretto nelle spalle, scansando un ramo da davanti il viso della ragazza.

"Credo che, se attaccato a Styrkur, Seth sarà in grado di entrare."

O almeno ci sperava. Conosceva abbastanza bene le abilità di Vårdande da essere sicuro che la barriera fosse ben fatta, ma per quanto avrebbe retto?

La magia, dopotutto, non era eterna e anch'essa aveva un tempo di durata ben definito; sperava che avrebbe retto ancora un po', che li avrebbe protetti dai nemici esterni.

Si era dato, comunque sia, dello stupido.
Aveva portato Shahrazād fuori con lui senza pensare troppo ai pericoli che si insidiavano al di fuori della barriera. Styrkur aveva ragione ad avercela con lui: aveva messo la ragazza davanti ad un potenziale pericolo.

Non aveva pensato abbastanza lucidamente e s'era lasciato trascinare dall'iniziale sensazione di euforia che la vista della pantera gli aveva dato.

Vårdande non sarebbe stata affatto fiera di lui.

Aveva quindi sbattuto velocemente le palpebre, imponendosi di tornare presente al mondo reale ed evitando altri pensieri.

"Siamo arrivati." Aveva mormorato Kyá, incredulo. Perdere la cognizione del tempo non era qualcosa che gli capitava spesso ed ora, mentre fissava la porta in legno della stanza di Shahrazād, si chiedeva se gli sarebbe capitato di nuovo.

Lei aveva annuito, lasciando che la sua mano vagasse alla ricerca del pomello per entrare. Avvertiva una sensazione strana contro le spalle, l'avrebbe definita come una sorta di macabra pesantezza.

C'era qualcosa di strano in camera, ne era sicura, eppure Kyá pareva non captare nulla. Che fosse frutto della sua immaginazione? No, impossibile.

Lei riconosceva quella sensazione, quelle ondate di pure elettricità che le scuotevano il corpo.

Aveva rafforzato la presa contro il pomello, il respiro bloccato in gola e gli occhi spalancati in una disperata ricerca di qualcosa.

Se solo avesse avuto la vista, si era detta, sarebbe stato tutto più semplice.

"Vorrei rimanere da sola," aveva mormorato lei con espressione assente, senza aprire la porta.

Il semi-gatto era rimasto sorpreso ma non infastidito, concedendole un veloce 'va bene' per poi dileguarsi.

Avrebbe fatto bene a rimanere solo anche lui, per riflettere sul da farsi o magari per rovinare le invitanti tende del soggiorno.

Shahrazād aveva stretto gli occhi in due piccole fessure mentre avvertiva un formicolio alle dita, come se qualcosa oltre la porta la stesse invogliando ad aprirla.

E così fece, scivolando all'interno per sentirsi sommergere da quell'immensa scarica dolce che tanto conosceva.

"Cosa può essere abbattuto se vien ceduto?"

"Un segreto."

Aveva chiuso gli occhi lasciando che il dolce suono di una risata le rinfrescasse le orecchie mentre poggiava la schiena contro la porta.

"La mia bambina è divenuta un'indovina!" La voce s'era fatta più acuta e carica di emozione mentre si avvicina all'orecchio di Shahrazād.

Ricordava di aver passato l'infanzia a risolvere i suoi indovinelli, pensando per ore ad una risposta adeguata, ad una soluzione convincente.

Era come esser stata catapultata indietro nel passato, dove i suoi indovinelli e le sue frasi costantemente in rima occupavano le sue grigie giornate.

"Cosa ci fai qui, Klaus?" Aveva sempre pensato che il suo nome non gli si addicesse, per Klaus sarebbe andato bene un nome più leggero e bonario.

Le sue orecchie avevano percepito un forte tonfo proprio davanti a lei, o meglio: davanti ai suoi piedi. Klaus si era seduto con uno sbuffo, battendo la mano a terra per due volte, invitandola ad imitarlo.

Si era quindi lasciata scivolare davanti a lui, allungando nuovamente le mani alla ricerca del suo viso. Ricordava il suo aspetto di bambino, i suoi folti capelli rossi ed i suoi occhi, oh i suoi magnifici occhi grigi spesso oscurati dalla sua chioma ribelle.

E ricordava, eccome se ricordava, la sua unica fossetta, posta sulla guancia sinistra, il naso che si allargava verso la parte finale e le sottili labbra costantemente screpolate.

Toccandolo aveva scoperto quanto, negli ultimi cinque anni, fosse cambiato. La sua mascella pareva essere più delineata e i suoi zigomi più affilati, con il pollice e l'indice gli aveva pizzicato una guancia trovandola paffuta.

Klaus l'aveva lasciata fare con un brillante sorriso in viso, contento di ciò che stava accadendo mentre lei gli sfiorava i capelli, trovandoli più corti di quanto si fosse aspettata.

Si era chiesta come avesse fatto ad entrare e come le guardie non l'avessero scoperto. Era certa che Styrkur avesse assunto, se così si poteva dire, altre cinque guardie per sorvegliare la sua stanza.

Nonostante sapesse quanto Klaus fosse agile era sorpresa di trovarlo lì, dopotutto erano anni che non si vedevano.

"Oh che sbadato, ti dirti la motivazione mi son dimenticato! Non ti pare bello vedere finalmente tuo fratello?"

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