CAPITOLO TRE

Capitolo Tre: abduzione.

"Sono stordito dal niente che mi circonda."- Giacomo Leopardi.

Shahrazād aveva tremato, tra le coperte, nell'udire il suo pappagallo strillare. Aveva pensato ad una razzia degli Avari, ma cosa avrebbero mai potuto trovare in una catapecchia spoglia come la sua?

Nella città sapevano tutti della sua condizione di povertà, non che importasse a qualcuno ovviamente, ma in qualsiasi caso non avrebbero trovato nulla di valore nella sua casa.

Si era alzata lentamente, incontrando il pavimento freddo con i piedi. Non sapeva cosa fare, dove nascondersi, chi chiamare. Non le era mai capitato che qualcuno irrompesse nella sua bolla di solitudine, e di certo non era felice che stesse capitando proprio adesso.

La spilla che aveva comprato al mercato era ancora fissata lateralmente contro la sua chioma, e non si era cambiata d'abito, troppo stanca per ricordarsene. Shahrazād aveva un aspetto trascurato, le unghie erano sporche e sotto ai suoi occhi due profonde ombre violacee rispecchiavano la sua mancanza di sonno.

Le labbra le si erano screpolate a causa della mancanza d'acqua ed i suoi capelli avevano perso la lucentezza di un tempo.

Lavarsi, a Città dei Peccatori, era un qualcosa che non tutti potevano permettersi giornalmente. Per godere di un bagno bisognava giungere sino alle terme naturali distanti un chilometro dalla città, e non tutti sapevano come trovarle.

Shahrazād si recava alle terme due o tre volte alla settimana, per rilassare i muscoli e la mente.

Ma in quel momento non si sarebbe mai potuta rilassare. Con le gambe tremanti si era spinta fino alla porta della sua stanza, accostandola.

Il pappagallo aveva smesso di urlare e Shahrazād era rimasta ancor più confusa. Non era la prima volta che il volatile dava falsi allarmi, eppure una parte di lei le suggeriva che mai l'aveva sentito strillare cosí tanto.

"Raj?" Aveva sussurrato Shahrazād, chiamando il nome del suo animale. Raj era solito gracchiare in risposta, ma nulla era giunto alle orecchie della giovane.

Ma tutto ciò non fu in grado di sciogliere i dubbi che Shahrazād provava. Stette qualche minuto all'uscio della porta, cercando di trattenere il fiato mentre tentava di captare qualche suono.

Nulla, non aveva sentito assolutamente nulla.

Shahrazād aveva quindi rilassato le spalle, sorridendo mentre si dava della sciocca. Chissà come avrebbe detto sua madre nel vederla cosí in pena.

"Ti spaventi ancora per qualche rumore? Questa casa è vecchia, cade a pezzi, è normale sentire dei rumori. Stupida, stupida ragazza!" Le avrebbe detto proprio questo, se fosse stata li.

Shahrazād aveva scosso la testa, sospirando.
Il sentimento che provava per sua madre era mutato negli anni, e se prima aveva provato rabbia ora provava solo indifferenza.

Erano poche le cose che riuscivano a trasmetterle una qualche emozione, e in quanto Stanca ne andava orgogliosa. Presto, si disse, avrebbe provato disinteresse verso tutto e, in quel momento, si sarebbe finalmente lasciata andare all'efter.

La ragazza era tornata a stendersi sul letto, avanzando a tentoni mentre chiudeva le finestre. Solo per sicurezza, si era detta.

Intanto Styrkur, ancora vicino al corpo stanco di Raj, si era acquattato contro le pareti, per non farsi vedere o sentire. Tutta quella situazione lo aveva infastidito ed il fastidio non era mai una buona conseguenza per le sue vittime.

Si sarebbe divertito, eccome se lo avrebbe fatto.

Styrkur aveva ghignato, sgusciando come il serpente che era tra i pochi mobili, arrivando sino alla camera della sua vittima. Oh, quale incredibile emozione provava!

Era stesa li, tra le lenzuola a coprirle solo parte del corpo, la sua vittima era perfetta. Stanca e assonnata forse nemmeno l'aveva sentito entrare, sarebbe stato cosí facile affondare il suo coltello nel collo lungo e cosparso di efelidi della donna.

Styrkur aveva avuto un fremito mentre con le punte della dita sfiorava la punta sottile del pugnale.

I capelli rossi di Shahrazād erano parzialmente sfuggiti dal fermaglio, ricadendole sul cuscino e sul viso.

Quanto sarebbe stato bello stringere il palmo della mano contro quella chioma rossa, tirandole le ciocche sino a piegarle la testa all'indietro. Il solo pensiero era stato motivo di totale euforia per lui.

Senza nemmeno rendersene conto si era accovacciato contro il giaciglio di lei, sorridendo nel notare la spilla.

Shahrazād aveva tenuto gli occhi ermeticamente chiusi, ma non si era addormentata affatto.

Lo sentiva, avvertiva il fiato di qualcuno contro il viso, il collo. Non sapeva cosa fare, ancora una volta, quindi era rimasta ferma, in attesa.

In attesa di cosa? Forse che il suo Dio la prendesse con se, o che quel fiato sparisse. Le si era accapponata la pelle, lunghi brividi le avevano attraversato la schiena mentre tentava disperatamente di regolarizzare il suo respiro.

Poi erano sopraggiunte le urla, disperate e dilanianti, e la puzza di fumo. Oh, quell'odore acre e fastidioso aveva invaso la sua abitazione solleticandole le narici.

Erano qui, loro erano qui.

Aveva sentito parlare tanto, troppo, della distruzione che stava invadendo il mondo. Non si parlava di altro, in paese. E nonostante Shahrazād odiasse i pettegolezzi non era riuscita ad ignorarli.

Bestie che solcavano le terre, i mari e le montagne per distruggere, saccheggiare e uccidere. Città dei Peccatori ne erano terrorizzata da quando la città a loro vicina, Città dei Santi, era stata distrutta.

Città dei Santi era il totale opposto di Città dei Peccatori, si intuiva perfettamente dal nome. Era una popolazione tranquilla, la loro, dedita al cristianesimo. Forse l'unica città ancora esistente a professare il credo cristiano.

In qualsiasi caso, la città era stata rasa al suolo. L'odore di carne putrefatta era arrivato sino a Città dei Peccatori, destando sospetti. Giorni dopo erano stati inviati degli Irosi ad ispezionare e quello che avevano trovato li aveva segnati nell'animo.

Corpi mutilati, bruciati e tumefatti occupavano il terreno. Grandi nuvole di fumo si innalzavano dalle loro abitazioni modeste ma ben messe, segni di morsi e di artigli erano ben visibili sui cadaveri e sui muri.

Shahrazād non riusciva a immaginarlo, nemmeno con l'ausilio della sua fervida mente. Lei, come tutti gli Stanchi, non era stata sorpresa della notizia. Era inevitabile una guerra, in un mondo come loro era all'ordine del giorno.

Ma la popolazione ne era rimasta sconvolta. La sera quasi nessuno usciva dalle strutture, e la minima visione di un estraneo dava inizio ad un ansia collettiva.

Shahrazād era, comunque sia, preparata alla possibilità di un attacco a Città dei Peccatori. I suoi genitori erano la sua unica preoccupazione.

Cosa ne sarebbe stato di loro? Di suo padre?

Lei avrebbe accolto la morte come si fa con una vecchia amica, l'avrebbe abbracciata e sarebbe stata lieta di essere reclamata dal suo Dio ma i suoi genitori no.

Sua madre avrebbe dato di matto, si sarebbe aggrappata con le unghie affilate alle spalle del suo aggressore, avrebbe scalpitato e urlato, graffiandogli la pelle con gli occhi sgranati e iniettati di sangue.

Riusciva a immaginarsela.

Ma i suoi genitori erano, fortunatamente, partiti in spedizione per tenere un comizio con altre città vicine. Si tenevano ogni anno, ci si aggiornava sulle condizioni delle città vicine mandando dei rappresentanti per diffondere poi le notizie nelle città.

Shahrazād aveva sentito la lama fredda farsi strada sulla linea del suo collo, il respiro del suo aggressore si era fatto pesante, come quello di chi sta pregustando una scena assolutamente soddisfacente.

Styrkur non aveva mai osservato sangue più bello di quello che macchiava il collo della giovane.

Aveva spingo in diagonale il coltello, con un po' più di irruenza a manovrare i suoi movimenti, lasciando che dalla ferita uscisse un rivolo di sangue.

Shahrazād aveva stretto le labbra in una linea sottile, puntando gli occhi sul soffitto senza realmente vederlo, decidendo finalmente di aprire gli occhi.

Styrkur si era accostato al taglio, ne aveva osservato il rossore e la mancata profondità, saggiandone il sapore con la lingua. Shahrazād, questa volta, non era riuscita ad evitare di piangere mentre si dibatteva con quanta più forza possibile.

La morte non le faceva paura, affatto, ma a spaventarla era il suo aggressore.

"Ti ho scelta." Le aveva sussurrato Styrkur, prima di raccogliere il sangue rimanente contro la lama del coltello, leccandolo e chiudendo gli occhi, come a volersi beare della sensazione.

L'aveva scelta.

Shahrazād aveva continuato a chiedersi cosa fosse una scelta, cosa significasse per l'uomo che l'aveva ferita. Ma aveva deciso di tenere per se i suoi pensieri, restia. Era da un lato grata di esser stata scelta, qualsiasi cosa significasse, perchè le aveva impedito di morire.

Styrkur l'aveva strattonata leggermente, tenendole il polso mentre Shahrazād andava a tentoni, la mano libera davanti a se per evitare di sbattere contro qualcosa.

"Dove mi stai portando?" Shahrazād era, per natura, piuttosto permissiva. Non per mancanza di volontà, ma per un passivo senso di stanchezza, di noia.

"A casa." Le aveva risposto velocemente lui, Shahrazād era riuscita a percepire una nota di divertimento nella voce dell'uomo.

Casa.

Shahrazād aveva aggrottato le sopracciglia, confusa.
"Casa mia è dietro di noi, signore." Aveva borbottato lei, mordendosi la lingua subito dopo. Cosa le era passato in testa? Parlare cosí ad un uomo tanto pericoloso, oh che stupida era!

"Ne avrai una nuova, æjèl."
Shahrazād non aveva compreso il significato dell'ultima parola, ma era ben distante dall'idea di chiedere spiegazione.

Riusciva a sentire l'odore di bruciato, e iniziava a darle il voltastomaco. Non sapeva se la sua totale assenza di dispiacere per i suoi concittadini fosse una buona cosa.

Non aveva nessun legame con loro, e mai ne aveva voluto uno.

Non parleranno più di te.

Si era detta, sorridendo a stento.

Si dispiacque nel rammentare la donna che le aveva venduto la spilla: le era sembrata una persona per bene, e dopotutto non le aveva rivolto brutti epiteti.

Styrkur, dal canto suo, era euforico, fuori di se dalla gioia. L'aveva trovata, aveva trovato la sua scelta! E la spilla che indossava la ragazza, oh quale segno più nitido di quello poteva esistere?

Era certo di non aver commesso errori nella sua scelta, i suoi fratelli lo avrebbero indubbiamente invidiato. Quel pensiero fu fonte di una scarica in più di divertimento.

"Dove sei stato? Ti aspettiamo da ore." Erano state le parole che Shahrazād aveva udito. Era stato il Lupo a parlare, forse in pena. L'Orso aveva accennato un cenno della testa, lanciando successivamente uno sguardo a Shahrazād.

"E lei, lei chi è, fratello?" Aveva chiesto il Falco, tentando di sorridere. Gli altri due erano rimasti in silenzio, aspettando anche loro una risposta.

Styrkur aveva sorriso, o almeno: ci aveva provato. Il suo era sembrato più un ghigno mal formato.

"Lei, cari fratelli, è la mia Scelta."

Vi era stato qualche istante di incredulo silenzio, dettato dalla curiosità e dallo sconcerto dei tre. Il Lupo era stato il primo ad avanzare, sorridendo.

Shahrazād si era sentita toccare la mano, quella del Lupo era fredda ma morbida, il contatto non le era quindi dispiaciuto. Si era però chiesta come mani tanto gentili potessero compiere opere tanto orribili.

"È un piacere incontrarti," le aveva detto, sfiorandole leggermente il palmo con le labbra. Shahrazād aveva quindi ritratto la mano, aggrottando le sopracciglia.

Wëskø era rimasto piuttosto spiazzato dal fatto che la ragazza stesse guardando al di là delle sue spalle piuttosto che nei suoi occhi. Che avesse paura?

Oh, poco ne sapeva lui.

Ora che il buio impestava la città la malattia di Shahrazād era totalmente celata, ma tra una manciata di ore, quando il Sole sarebbe sorto, sarebbero giunti i problemi.

Cosa avrebbe usato come scusa? Il pensiero la terrorizzava.

L'Orso aveva fatto, a sua volta, un pesante passo in avanti, grugnendo come un vero e proprio animale.
Shahrazād aveva inspirato l'odore dell'uomo, sapeva di fango, di terreno bagnato. Non le piaceva.

"È lei, la tua scelta?" Il tono era stato duro, poco convinto forse del fatto che quel minuscolo essere potesse affiancare suo fratello.

Styrkur aveva comunque sia annuito, passandosi la lingua biforcuta sulle labbra. Piú guardava la ragazza e piú si convinceva d'aver fatto la scelta giusta.
Nonostante però l'espressione della ragazza non lo convincesse: troppo atona, distante, quasi come non fosse realmente lì.

Shahrazād si sentiva alienata, totalmente in balia della sua cecità. Mai nella sua vita si era sentita così tanto immersa nell'oscurità, impotente.

Aveva vissuto nella struttura sino a conoscerne ogni angolo, e poi in città e nella sua casetta. Quelli erano posti sicuri per lei, affidabili in quanto ne conosceva le fattezze grazie all'esperienza datale dagli anni.

Ma ora non sapeva dove si trovava, cosa la circondava o, con piú esattezza, chi la circondava. Non sapeva se esserne spaventata, dopotutto lei era nuova a tali emozioni.

Non aveva mai provato la paura, se non qualche sporadico dettaglio di essa, ed ora non sapeva riconoscerla.

"Fratello, sicuro non sia muta?" Aveva domandato Prätda, il Falco, con un accenno di sorriso sul viso. Trovava divertente l'espressione smarrita della giovane, si sarebbe certamente divertito.

Shahrazād non era comunque del suo stesso avviso perchè lei, di quella situazione, non trovava nulla di comico.

Non sono muta, sono cieca.

Avrebbe voluto dirlo, con tutta se stessa, per puntualizzare un dettaglio a lei sola noto. Era una questione di principio, aveva pensato. Sua madre l'aveva rimproverata molto, negli anni prima, a sentire la parola "cieca".

"Tu non sei cieca, sei maledetta, una creatura dannata senza l'approvazione degli Dei. Sciocco da parte tua dare la colpa ad una malattia, saranno forse le parole di quel curatore ad averti deviato la mente?"

Era questo che le aveva risposto sua madre.
Maledetta, dannata, senza l'approvazione di un Dio. Era davvero tutto questo? Se l'era chiesta per molto tempo, e la sua unica consolazione era dare un motivo a tutto quello: una malattia. Che fosse davvero malata o maledetta non aveva importanza.

"Penso che dovresti tenere i tuoi pensieri per te, Prätda." Styrkur era stato diretto, e Prätda non aveva fatto nulla se non annuire alle parole del fratello.

Aveva un carattere irascibile, ne era consapevole, quindi aveva deciso di rimanere in silenzio.

Shahrazād aveva seguito il breve scambio di parole con muto interesse, leccandosi le labbra secche. Non beveva da molto, ora che ci pensava.

Si era poi sentita toccare la mano, la destra per la precisione, ed era saltata in aria, colta di sprovvista. I suoi occhi erano saettati in tutte le direzioni, non sapeva dove guardare quindi aveva deciso di abbassare lo sguardo.

La mano di quello che presupponeva fosse Styrkur si era stretta un po' di piú contro la sua, aveva avvertito il respiro di lui contro il naso e se ne era scoperta incuriosita.

"Guardami." Le aveva detto lui, pizzicandole il naso. Shahrazād era entrata nel panico, dove avrebbe dovuto guardare? Aveva quindi trattenuto il respiro, e aveva pensato ancora con lo sguardo fisso al suolo.

Il respiro di Styrkur era contro il suo naso, questo voleva dire che gli occhi di lui si trovavano alla stessa altezza della fronte di lei. Aveva sorriso, provando un minimo di orgoglio per se stessa, e poi aveva alzato gli occhi dove, all'incirca, pensava si trovassero gli occhi del suo rapitore.

Il risultato era stato buono nonostante qualche indugio nel quale Shahrazād aveva cambiato la direzione del suo sguardo. Styrkur aveva aggrottato le sopracciglia, fronteggiandola.

Non si spiegava come lei riuscisse a fronteggiare i suoi occhi serpentini, se solo avesse saputo, al tempo, che Shahrazād non li vedeva affatto.

Era quindi facile per lei non rimanere terrorizzata davanti a tale spettacolo.

"Hai dei begli occhi." Shahrazād l'aveva sentito forte e chiaro, aveva dovuto trattenere con i denti il labbro per non permettersi di sorridere divertita.

Ancora qualche ora, aveva pensato, e lui avrebbe cambiato idea. Magari si sarebbe sbarazzato di lei, o più semplicemente l'avrebbe uccisa.

Si scoprì disinteressata al pensiero, solo una domanda ronzava nella sua mente: ho dei begli occhi? Oh, quanto aspettava il mattino! L'uomo si sarebbe certamente chiesto cosa diamine non andasse in lei; ti piacciono anche adesso i miei occhi? Glielo avrebbe chiesto il mattino, quando il colore cerulo, malato, dei suoi occhi si sarebbe mostrato grazie alla luce.

"Anche te." Aveva infine risposto Shahrazād, inclinando leggermente la testa di lato. Da quella prospettiva pareva che lei lo guardasse piú in profondità, con piú vigore, ma in realtà percepiva solo l'ombra poco definita del naso di lui e delle palpebre.

Non avrebbe, comunque sia, saputo cosa rispondere. Doveva forse ringraziarlo? Ringraziare il proprio rapitore sarebbe stato strano, invece lusingarlo le avrebbe dato la sua simpatia. A Città dei Peccatori era sempre stato questo il modo per risolvere piccoli problemi.

Non che Shahrazād se ne facesse molto della simpatia di Styrkur, non sarebbe durata molto.

Styrkur era comunque rimasto senza parole mentre si passava la lingua contro il palato, premendola contro i canini come ad assaporare qualcosa.

E nella sua testa, a ripetizione, un unico pensiero: ho dei begli occhi?

Poi si era girato verso i fratelli e aveva ghignato con espressione vittoriosa.

"Ho fatto davvero una buona scelta, non pensate cari fratelli?" E caricò Shahrazād sul suo cavallo.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

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