CAPITOLO SETTE

Capitolo Sette: introduzione.

"And sometimes I have kept my feelings to myself, because I could find no language to describe them in." - Sense and Sensibility, di Jane Austen.

Shahrazād era seduta sul suo letto, più morbido di quanto potesse immaginare, sottoposta a molteplici domande.

"Non ti ho ancora domandato qual'è il tuo nome." Styrkur si era stiracchiato, sfilandosi la casacca e lanciandola sulla prima sedia che gli era capitata a tiro.

"Shahrazād." Aveva detto lei, giocando con il fermaglio.

"È un nome complicato, o forse sono io che non l'ho mai sentito prima. Ma ti ci vuole un soprannome, mia dolce ragazza. Io opterei per Sherry, che ne dici?"

Dall'espressione di Shahrazād Styrkur aveva capito che la risposta era un gran bel 'no'.

"Puoi fare di meglio."

Styrkur aveva quindi roteato gli occhi, sedendosi a distanza da Shahrazād.

"Quanti anni hai?"

"Ventuno, e tu?" Shahrazād aveva poggiato la testa sul cuscino, fissando inconsapevolmente il soffitto.

"Ho perso il conto molti anni fa, ma la mia età umana si aggira attorno ai trenta." Styrkur non stava di certo scherzando.

Da quando si era reincarnato in uno dei figli di Död e Liv gli anni erano passati velocemente. Aveva dedicato tutto se stesso alla causa, alla struttura e al compiacimento delle Dee.

Quindi no, non aveva la piú pallida idea di quanti anni avesse.

Shahrazād aveva strabuzzato gli occhi, non sapendo come prendere quell'informazione.
Nella struttura degli Stanchi era stata informata del culto dei Quattro e, nonostante ritenesse la cosa piuttosto confusa, si era comunque sia meravigliata.

"E gli altri tre?"

Styrkur era rimasto piacevolmente sorpreso della curiosità della ragazza, quindi si era affrettato a risponderle prima che potesse cambiare idea.

"Nemmeno loro lo sanno, ma pare che Prätda sia il piú anziani e Wëskø il più giovane. Io e Terseo combattiamo da anni per il secondo posto."

Prätda aveva infatti un ruolo di gran valore tra i Quattro, proprio per il fatto che era il più grande. Era quindi lui a decidere le città da assaltare e i compiti da dare ad ognuno di loro. In assenza di Prätda era compito di Styrkur o Terseo prendere il comando.

"Cosa facevi nella tua struttura?" Styrkur non era riuscito a trattenere la nota di disprezzo nella sua voce. In un certo senso, per lui, era come se avessero deviato Shahrazād.

"Temo di non potertelo dire, è un segreto riservato agli Stanchi."

Styrkur aveva inarcato un sopracciglio, piuttosto offeso. "Capisco." Era stata la sua risposta, sibilata a denti stretti.

"Penso che ti lascerò dormire, ora. Se ti serve qualcosa sono nella stanza accanto."

Styrkur si era alzato lentamente, aspettando una risposta dalla ragazza.

"Non è questa la tua stanza?" Shahrazād aveva inclinato la testa di lato, osservando il viso di Styrkur.

Quest'ultimo si era chiesto come facesse.

"Certo che è la mia stanza, ma penso sia inopportuno forzarti a dormire con me il primo giorno. Ma non ti preoccupare, prima o poi verrò a riscaldare il letto con te!" Aveva sorriso, osservando la ragazza scuotere la testa.

"Buonanotte, Styrkur."

"Buonanotte, piccola volpe."

Vårdande aveva preso un respiro profondo, gli occhi chiusi e una sigaretta tra le labbra fini a lenire un po' del suo stress.

Era furiosa: quei quattro teppisti avevano, come promesso da Styrkur, distrutto anche Città dei Peccatori, ed ora lei si trovava con un'enormità di clienti in meno.

Era davvero una condanna, la sua.
Certo, il mondo era ancora gremito di città ma sapeva giá che con l'avanzare del tempo sarebbero state distrutte anch'esse.

Aveva notato che si tenevano sei attacchi all'anno, probabilmente durante gli altri sei mesi i Quattro si preparavano e studiavano un piano efficace.

Ma questo non cambiava le cose: Vårdande era ancora furiosa. Inoltre non riusciva a non pensare al futuro di quella povera creatura dai capelli rossi.

Avrebbe dovuto avvertirla, ma aveva fatto l'errore di non credere alle carte. La cartomante aveva quindi sospirato, gettando in aria una nuvoletta di fumo.

La sua carovana distava ancora qualche centinaio di metri dall'ex Città dei Peccatori, non si era mossa di molto perchè consapevole che i fratelli non l'avrebbero attaccata.

"A cosa pensi, strega?" Era stato il suo gatto a parlare mentre le si strofinava contro. Vårdande aveva riso, accarezzando il pelo bianco dell'animale.

"Kyá, pensavo avessi perso l'abilità di parlare! Devo forse riformulare il mio incantesimo?"

Vårdande non era una strega, o almeno: non una potente. Aveva poche abilità, oltre al saper leggere le carte, e una di queste era riuscire a leggere la mente di animali che portavano il suo segno.

Il segno di Vårdande era una foglia piccola e arrotolata su se stessa, per imprimere il segno su un qualsiasi animale necessitava una lozione definibile magica.

Poi, con uno stampino, applicava il segno sulla pelle dell'animale, lo strofinava con la lozione, e aspettava di sentirli parlare.

Kyá, il suo fedele gatto da quasi tre anni, era forse l'essere di cui Vårdande si fidava di più.

"Non cambiare discorso, vecchia. A cosa pensi?" Il gatto si era quindi sdraiato sulle gambe stese di Vårdande, osservandola attentamente.

"Questa tua lingua tagliente dovrò tagliartela, prima o poi. Pensavo alla ragazza, Shahrazād, che ci ha fatto visita due giorni fa. Rammenti?"

La cartomante aveva quindi preso ad accarezzare il gatto, prendendo grandi tiri dalla sua sigaretta. Non aveva paura di morire, dopotutto era al mondo da millenni, una sigaretta non l'avrebbe di certo uccisa.

"Oh si, la campagnola cieca dal futuro discutibile. Perchè pensi a lei?" Kyá si era quindi ancorato alla veste delle donna, allungandosi.

"Mio fratello l'ha presa come Scelta." Vårdande aveva lanciato uno sguardo alle carte disposte sul tavolo, maledicendole per una frazione di secondo.

Il gatto aveva piegato la testa, alzando la parte inferiore del suo corpo in aria, in posizione d'attacco.
"Shh, non c'è bisogno che ti preoccupi. Styrkur è lontano da noi, e non giocherà più con te." Aveva provato a rassicurarlo Vårdande, ridendosela di nascosto.

Durante gli ultimi anni, quando le era venuto a far visita, Styrkur aveva preso la fastidiosa abitudine di inseguire il gatto, di mostrargli i denti e di spalancare gli occhi: come un serpente pronto a divorare la preda.

Kyá ne era rimasto piuttosto infastidito, forse anche impaurito.

"Io non mi preoccupo, sciocca di una vecchia! L'unica che dovrebbe preoccuparsi è la ragazza."

Vårdande aveva annuito, sconsolata.
"Non è comunque affar nostro, dobbiamo muoverci velocemente, hai degli appuntamenti. La ragazza andrà incontro al suo futuro, come tutti gli umani, non puoi cambiare le cose." Kyá si era quindi alzato, strusciando il muso contro la guancia della cartomante.

Non era un gatto amichevole, ma Vårdande si sentì comunque rincuorata.

"Hai ragione, ma spero che Liv cambi idea e che abbia un po' di misericordia."

E con ciò aveva dato ordine allo stalliere di far partire i cavalli, trainando la carovana.

"Dove andiamo, questa volta?" Aveva domando Kyá, saltando con agilità sul tavolo di Vårdande. Probabilmente lo stallire pensava fosse pazza a parlare con il gatto.

"Questa volta, mio dolce felino, andremo a trovare i miei fratelli. Sono stato richiesti i miei servigi," la cartomante aveva quindi estratto dalla tasca del suo mantello una lettera ingiallita, aprendola per far sì che il gatto la leggesse.

Cara sorella,
ti prego di farci visita alla struttura principale. I miei fratelli versano in uno stato confusionale dopo l'assalto a Città dei Peccatori, Prätda pare non riuscire a mettersi in contatto con Död e Liv e vorremmo invocare il tuo aiuto. So che la situazione non è favorevole per i tuoi affari, ma verrai ricompensata se ci aiuterai a scoprire il volere delle Dee.
Spero quindi di vederti presto,
cordiali saluti
Wëskø.

Kyá aveva letto il tutto silenziosamente, lasciando che Vårdande gli accarezzasse la coda.

"È sempre stato il mio preferito, Wëskø. Eppure trovo strano che invochino il tuo aiuto, devono essere davvero in difficoltà." Kyá aveva soffiato, come se volesse ridere.

"Hai ragione, dopotutto lui pare essere il più tranquillo. Andremo lì solo per la ricompensa, gli diremo quello che vogliono sentirsi dire e poi potremo tornare a girovagare." Vårdande si era passata una mano sul volto, visibilmente stanca.

Da quant'è che non riposava?

Kyá non l'avrebbe mai ammesso, ma era in pena per la sua padrona. "Dormi, vecchia. Se accadrà qualcosa ti sveglierò."

E così fece.

Shahrazād non era riuscita a chiudere occhio, forse troppo agitata per dormire. Il materasso era morbido, certo, e non aveva sofferto particolarmente il caldo.

Eppure il sonno non era arrivato, lasciandola in uno stato di trans misto a stanchezza. Shahrazād era comunque sia abituata alla mancanza di sonno, a Città dei Peccatori era raro riuscire a dormire tranquillamente.

Ora si trovava quindi a rigirarsi tra le mani una forchetta, senza voglia di mangiare. Era tornata ad essere una Stanca, il senso di stanchezza e svogliatezza l'avevano completamente sommersa.

Era difficile uscirne, alla volte.
Non che a lei interessasse farlo, si intende. Ma qualche volta era un sollievo riuscire a provare qualcosa, ad avere la voglia di agire.

Non aveva mai incontrato uno Stanco che fosse completamente privo di volere, era raro. Solo gli anziani, e nemmeno tutti, riuscivano ad arrivare a quel livello.

"Non hai fame, piccola volpe?" Styrkur pareva quasi preoccupato mentre tamburellava con le dita sul tavolo.

Shahrazād aveva scosso la testa, senza prestargli troppa attenzione. Aveva una voglia immensa di stendersi sul prato e passare la giornata così, ad oziare e a pensare.

Quel giorno anche la voglia di parlare era svanita, rendendo Shahrazād una sorta di guscio vuoto, impalpabile.

Le succedeva spesso, in realtà, di rimanere in quello stato catatonico. Era una delle caratteristiche dei peccatori d'accidia.

Non avrebbe desiderato possedere nessun altro peccato, non avrebbe scambiato la sua accidia per nulla. Nonostante sembrasse sciocco a lei piaceva essere così vuota, così priva di ogni cosa.

Adorava la sensazione di sentire il suo corpo allontanarsi, di non riconoscerlo più come suo. La definivano "meditazione" e Shahrazād era bravissima.

Forse per il fatto che, per estraniarsi dal proprio corpo, bisognava addormentare tutti i sensi. E diciamocelo, lei partiva avvantaggiata.

"Stai per caso male?"
A quel punto Styrkur era decisamente infastidito. Forse il suo ego era rimasto ferito dalla mancanza di attenzioni, o forse era sinceramente preoccupato.

Shahrazād avrebbe giurato fosse la prima opzione.

Ancora una volta si era limitata a scuotere la testa, annoiata. Suo padre le avrebbe lasciato un soffice bacio sulla fronte, l'avrebbe stesa sul letto e avrebbe accesso un bastoncino d'incenso.

Lo faceva ogni qual volta Shahrazād cadeva in uno stato di trans, forse per farla rilassare.

Già, suo padre. Chissà se stava bene, se l'era chiesto spesso nell'arco delle ultime ore.

Era, dopotutto, l'unico essere umano per il quale aveva provato amore. Suo padre era stato il suo eroe, il suo punto di riferimento sin da quando ne aveva coscienza.

Avrebbe voluto domandare a Styrkur se, per caso, sapeva qualcosa di suo padre, ma ci aveva ripensato subito. Di certo non poteva dirgli che i suoi erano vivi, sarebbe stato come fargli notare una falla nel suo piano distruttivo.

"Pensavo di farti incontrare le compagne di Terseo e Prätda, ti andrebbe?" Styrkur non aveva rinunciato ad avere un dialogo, forse ne aveva più bisogno lui di lei.

Shahrazād ci aveva pensato su, aggrottando le sopracciglia con aria pensosa. Voleva incontrarle? Nella sua mente la risposta era un secco 'no' ma da una parte era curiosa.

Loro magari le avrebbero detto cos'era una Scelta e come funzionava quella strana setta. Aveva quindi annuito, accennando un lieve sorriso.

Styrkur aveva sorriso a sua volta, un sorriso più largo e di certo più spontaneo di quello della ragazza.
"Perfetto, davvero perfetto! Sono sicuro che ti piacerà avere una giornata tra donne."

A Shahrazād era venuto da ridere a sentire l'ultima frase dell'uomo. Non aveva mai avuto una giornata tra donne, dopotutto a Città dei Peccatori era difficile che qualcuno le parlasse.

Solo nella sua struttura era riuscita a passare il tempo con qualche sua consorella, ma solo a scopo di meditazione.

Shahrazād aveva sentito il rumore di una sedia strusciare contro il pavimento e poi il respiro caldo di Styrkur.

"Vado immediatamente a chiamartele, vedrai: saranno felici di fare la tua conoscenza!" E così era sparito, senza aspettare una risposta.

Lei, comunque, dubitava dell'apparente gioia delle altre due donne nel rimanere in compagnia sua. Non era particolarmente dell'umore per parlare o per interagire in qualsiasi modo, ma avrebbe fatto uno sforzo.

Era rimasta quindi seduta, allontanando il piatto da davanti a lei per poi tracciare i contorni del suo abito. Non le piaceva, la sensazione che le metteva addosso era di ruvidità. Era quasi certa che il vestito fosse vecchio o malridotto.

Shahrazād aveva sospirato, quasi indispettita, tornando al suo stato di calma quando aveva sentito il rumore di passi lungo il corridoio.

Non aveva nemmeno cercato di sistemarsi meglio sulla sedia, non le importava di mostrare anche solo la minima parvenza di rispettabilità.

Si era chiesta come avesse fatto Styrkur a raggiungere le due dame così velocemente e, con ancor più velocità, a raggiungerla. Forse era solo lei ad aver perso la cognizione del tempo, il suo cervello la stava forse ingannando.

Shahrazād aveva percepito le loro presenze nella stanza, aveva ascoltato silenziosamente i loro respiri bloccarsi ed i loro occhi posizionarsi sul suo volto scarno.

"È un piacere incontrarti." Aveva sentito la voce di una delle due avvicinarsi, era forte e profonda, quasi mascolina avrebbe osato dire.

Non vi erano dubbi: quella donna era la Scelta di Terseo.

La seconda donna aveva invece esitato ad aprire bocca, l'aveva avvertita mentre la squadrava con diffidenza e curiosità.

"È un piacere anche per me..." aveva appositamente lasciato la frase in sospeso, aspettando che la rossa la terminasse.

"Shahrazād, e tu sei?" Le ci era voluto molto per aprire la bocca senza sembrare troppo forzata.

"Il mio nome è Cassidea." Quest'ultima aveva sorriso a Shahrazād, sedendosi velocemente dinnanzi a lei: il suo osservare era finito.

"Vi siete già presentate, tocca solo a me allora! Mi chiamo Matilde." E così, si era seduta anche lei.

"Posso?" Aveva domandato Shahrazād, allungando una mano verso i loro volti. Voleva vederle, dare una forma a quelle due ombre.

Perchè per lei, parlare con due macchie nere, era la più grande maledizione che potesse ricevere.

Cassidea aveva intuito subito, spostando la sedia per sedersi più vicina a Shahrazād, lasciando che le toccasse il volto.

Le dita della rosa aveva quindi iniziato il loro viaggio sulle spalle di Cassidea, trovandole minute e strette. Con le dita aveva avvertito le clavicole, sporgenti quanto le sue. Aveva quindi dedotto che Cassidea fosse della sua stessa costituzione.

Era poi passata al collo, trovandolo piuttosto corto ma fine, con il pollice era poi andata incontro ad una sporgenza: un neo.

E poi c'era il mento, ben delineato e dalla forma a 'V'. Il naso era alto, largo verso la fine e le labbra sottili, quello inferiore era forse più grande. Gli occhi di Cassidea aveva invece una forma sottile, allungati verso le estremità.

Shahrazād aveva quindi distaccato le mani, sorridendo. Era certa che Cassidea avesse un viso tagliente, gli occhi duri ma con della labbra da bambina. Nella sua testa era quindi una bella donna, dall'aspetto un po' austero ma decisamente piacevole.

Si era poi fatta avanti Matilde, senza aspettare che Shahrazād le dicesse nulla, guidata dall'impeto del momento.

Shahrazād aveva quindi inclinato la testa, inarcando leggermente le sopracciglia, iniziando poi con il suo studio.

Le spalle di Matilde erano più larghe, e così anche le braccia. Shahrazād non avrebbe detto che era grassa, quello no, ma avrebbe giurato che avesse delle forme vistose. Inoltre aveva dedotto fosse più alta di lei.

Il collo di Matilde era robusto, ma aveva trovato la sua pelle estremamente soffice. Le aveva quindi lasciato una lieve carezza, toccandole in mento.

Aveva incontrato due piccoli buchi, se così poteva definirli, sul mento di Matilde. Era rimasta confusa, inizialmente, capendo subito dopo che si trattava di due fossette.

"Adoro le fossette, vorrei averle anche io." Le aveva rivelato Shahrazād, continuando il suo assalto.

Matilde er rimasta piacevolmente lusingata, tentando di nascondere il suo sorrisetto.
Il naso della donna era piccolo, con la punta vagamente all'insù affiancato da due zigomi piuttosto alti.

Shahrazād aveva poi notato una lieve cicatrice sotto al sopracciglio, decidendo però di non farne parola. Aveva trovato gli occhi di Matilde piuttosto piccoli, incorniciati però da ciglia folte: era riuscita a sentirle contro le dita.

Nella sua mente aveva elaborato il tutto, giudicando Matilde una donna dal viso dolce ma dalla corporatura imponente.

"Siete entrambe delle belle donne." Aveva dichiarato, tornando a poggiare la schiena contro il retro della sedia.

Matilde e Cassidea si erano guardate, sorridendo.

"Anche te sei bella, molto bella, eppure i tuoi tratti non sembrano del posto." Aveva esclamato Cassidea da buona osservatrice.

"Mio padre ha origini Russe, viveva a Città di Ghiaccio quando era piccolo. Ho preso da lui."

Le due avevano annuito, dando inizio a quella che sarebbe stata una lunga conversazione.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

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