CAPITOLO SEDICI

Capitolo Sedici: Rapito.

"Erano così tanti i demoni che la possedevano che quando tentava di spiegarsi non parlava, ringhiava."- Lucrezia Beha, on tumblr.

Molti anni fa, quando l'uomo regnava unito e incontrollato sul mondo, un bambino si aggirava per il giardino della sorella maggiore.

Gli alberi alti e verdi si innalzavano alti nel cielo, venendo colpiti dal vento leggero. Le foglie, quel giorno, erano di un bel arancione e le castagne ricoprivano il terreno umido per la pioggia.

Era la stagione delle foglie arancioni, così la chiamava il bambino.
Correva velocemente a piedi scalzi, percorrendo il perimetro della casa.

Quest'ultima era stata, molti anni prima, la dimora di un campagnolo. Come è quindi facilmente immaginabile nelle vicinanze si trovava un orto.

La sorella maggiore, però, non sarebbe stata in grado di coltivare nemmeno la lattuga, e quindi usava la magia.

Il bambino aveva quindi percorso diverse volte il giardino, lasciandosi poi cadere sfinito sul terreno erboso. I suoi fratelli, lo sapeva, l'avrebbero raggiunto di lì a poco.

E così fu, un bambino paffuto e con due rotondi occhiali gli si era parato davanti assieme al secondo fratello.

Erano tanti in famiglia, e a lui piaceva così.

"Ancora a correre, Pantera?" Gli aveva domandato il bambino con gli occhiali di un azzurro pastello.
Lui aveva annuito, brandendo un rametto contro le facce dei fratelli minori.

"E te ancora a leggere? Te che mi dici, invece, piccola vipera?"

I due fratelli minori si erano guardati, sorridendosi.
Aveva sempre avuto un buon rapporto con entrambi i fratelli, ma con la piccola vipera un po' di più. Lo seguiva ovunque, e lui era contento di addestrare il fratello.

"Non chiamarmi vipera, sai che non mi piace!" Aveva sibilato lui, facendo spuntare la lingua dalle labbra con fare giocoso.

"E te sai che non mi importa." Gli aveva fatto la linguaccia, tirandosi su con uno scatto felino, superando in altezza entrambi i fratelli.

"Andate ad aiutare nostra sorella, non fatele fare tutto da sola." Li aveva ammoniti, battendogli il bastoncino in testa.

Avevano riso entrambi, facendosi la linguaccia.

"E te non vieni?" Il bambino con gli occhiali aveva tirato su con il naso, inclinando la testa per vedere meglio il fratello.

"Non penso proprio, sto esplorando io!" E aveva ripreso a correre, sfrecciando tra l'erba alta fino ad entrare nel bosco.

Era veloce, forse il più veloce tra di loro. A soli dodici anni era già capace di correre per miglia e miglia solo per bearsi dell'aria contro il viso.

I capelli, tenuti ordinatamente in un codino, avevano iniziato ad ondeggiare nell'aria mentre saltava il fosse, atterrando a qualche centimetro dal fiume.

Sarebbe tornato in tempo per cena e avrebbe portato un fiore a sua sorella, come segno di scuse. Sapeva che teneva molto a lui, era il primo fratello del quale si era presa cura.

Era sempre stato un bambino precoce e sua sorella aveva fatto di tutto per istruirlo.

Il bambino si era fermato per qualche secondo, poggiando la schiena contro il tronco di un albero. Si sentiva libero, felice, in mezzo a tutta quella vegetazione.

Poi c'era stato un clic, appena percettibile alle orecchie ma che il bambino aveva riconosciuto con terrore. In pochi secondi si era trovato a testa in giù, a penzoloni dall'albero mentre con il viso sfiorava il terreno.

Si era dimenato ferocemente, ondeggiando avanti e indietro sperando che la rete si allentasse attorno al suo corpo.

"L'abbiamo preso!" Aveva sentito strillare il bambino, dietro di lui aveva percepito passi pesanti farsi sempre più vicini.

Cosa poteva fare? Sarebbe dovuto rimanere a casa, ad aiutare sua sorella ed i suoi fratelli. Era stato così stupido da entrare nel bosco da solo, per l'ennesima volta, e ora temeva di lasciarci le penne.

"Sicuro sia uno di quei mostri?" Davanti a lui erano spuntati due uomini alti, dal volto fine e scarno e con due profondi occhi grigi.

Il bambino aveva iniziato a singhiozzare mentre con il corpo tentava di spingersi indietro, di rompere la fune.

Sapeva benissimo chi erano quei tizi, sua sorella l'aveva avvisato di chi circolava in quella zona. Cacciatori di bambini con il dono, come lui ed i suoi fratelli.

Con il potere di trasformarsi e di assumere poteri inumani e mostruosi, potenti. I cacciatori di doni perlustravano la zona da poco tempo, da quando erano venuti a conoscenza di questi infanti speciali.

Sua sorella era stata brava a tenerli lontani, per tutti quegli anni, e a proteggerli. Non dovevano uscire dalla fattoria, dovevano stare sempre insieme.

Queste erano le regole, e lui le aveva infrante.

L'uomo dall'aspetto più consumato e stanco aveva estratto dalla tasca della giacca sporca una siringa, avvicinandosi al volto del bambino.

Quest'ultimo aveva soffiato come un felino, sentendosi i peli drizzarsi su tutto il corpo.

"Decisamente, guardagli gli occhi."

La siringa gli era quindi stata conficcata nel collo, lasciando che il bambino si sentisse andare a fuoco in preda ai dolori mentre pian piano le forze lo lasciavano.

Aveva sentito la voce di sua sorella in lontananza mentre strillava il suo nome, e a seguire quelle dei fratelli.

"Andate via!" Aveva urlato il bambino, sperando che il fratello con gli occhiali, Prätda, lo sentisse.

E poi aveva visto la sorella al limitare del bosco, i capelli scompigliati mentre gli correva incontro, innalzando le mani al cielo per evocare un qualche incantesimo.

Vårdande era sempre stata un'abile maga, ma nulla poteva contro i due uomini che, fulminei, avevano liberato il bambino sparendo tra gli alberi.

Aveva sentito gridare il suo nome, un 'Seth!' prima di perdere conoscenza.

Per giorni l'avevano cercato, senza mai sapere che fine avesse fatto, o peggio: cosa gli avessero fatto.


Prätda era nel suo studio, discutendo con Styrkur delle tattiche difensive che avrebbero dovuto adottare. L'avvertimento delle Dee non andava preso alla leggera, avrebbero quindi chiesto a Vårdande di produrre una barriera o qualsiasi cosa potesse tenere i nemici a distanza.

Styrkur, in realtà, era uscito dalla stanza solo per rimediare una medicina per Shahrazād quando Prätda l'aveva fermato, chiedendogli una riunione.

Lo studio del Falco era spazioso, decorato da mobili in legno e da una grande scrivania posto al centro della stanza.

Styrkur vi ci era stato poche volte, giusto lo stretto necessario, mentre Prätda passava lì dentro ore intere.

La porta dello studio, comunque sia, era stata aperta con uno scossone facendo voltare immediatamente i due.

Una guardia, dall'aspetto trasandato e con il respiro irregolare, aveva fatto irruzione nello studio senza chiedere un'incontro.

"Signore..." aveva boccheggiato la guardia, cercando di stabilizzare il respiro. Prätda aveva inarcato le sopracciglia, scocciato tanto quanto Styrkur.

"Sai benissimo che qui dentro non si entra senza permesso," aveva sibilato Styrkur, pronto a cacciarlo.

"Lo so, ma oh! Deve venire con me, in giardino.." la guardia non riusciva a stabilizzarsi, gli occhi colmi di terrore aveva incuriosito Prätda.

"Non vogliamo interruzioni immotivate." Aveva risposto glacialmente il Falco, grugnendo. Se da una parte era interessato dall'altra si sentiva stanco e intraprendere discorsi noiosi con una mera guardia lo infastidiva.

"La sua Scelta, in giardino..deve venire immediatamente!" La guardia si era inchinata a terra, consapevole dei rischi che stava correndo nel parlare così ad un suo superiore.

A Prätda si era gelato il sangue nelle vene mentre, come una furia, si alzava dalla comoda sedia. Aveva scambiato uno sguardo con Styrkur e, insieme, avevano preso a correre verso il giardino.

Nella testa di Prätda mille opzioni si erano fatte largo: che Cassidea si fosse ferita? Oh, se solo avesse saputo non avrebbe mai trovato il coraggio di giungere in giardino.

Appena uscito dalla struttura aveva quindi lasciato che le ali gli dilaniassero la schiena, spiccando il volo.

Styrkur, dal suo canto, aveva utilizzato la velocità da serpente, sparendo tra gli adepti e la lieve vegetazione mentre come un fulmine percorreva il giardino immenso.

Prätda si trovava a circa cinque metri dal suolo, cercando con la vista super sviluppata la sua Scelta.
E poi l'aveva vista, ferma a terra e con il volto pallido, gli occhi spenti e cerchiati di sangue.

Le ali gli si erano chiuse da sole, forse per lo shock, facendolo precipitare a terra. E nonostante l'impatto si era messo a carponi, strisciando convulsamente verso la donna.

Con le mani le aveva freneticamente toccato il volto freddo, sporco e appiccicoso mentre la scuoteva per le spalle.

"Respira dannazione, respira!" Aveva urlato lui, artigliandole il viso mentre avvicinava il viso al suo per capire se ci fosse un minimo segnale di respiro.

Nulla.

Styrkur era arrivato solo allora, accovacciandosi a qualche metro di distanza mentre osservava sconvolto ciò che era accaduto. Non aveva osato proferire parola, osservando le mani di Pratda percorrere il corpo senza vita di Cassidea.

Le aveva toccato il ventre, sentendosi mozzare il respiro.

Con gli artigli le aveva lacerato la veste, esponendo le ferite della donna. Il ventre le era stato completamente dilaniato, lasciando in esposizione gli organi e il sangue.

Sangue, c'era così tanto sangue.

Pratda, per la prima volta dopo anni, aveva preso a piangere. Si era chinato sul viso dell'amata, baciandole ogni centimetro di pelle. E poco importava che fosse sporca di sangue e vomito, non gliene fregava nulla.

Le aveva guardato gli occhi, così belli ed ora morti, chiedendosi il perchè non le avesse mai detto quanto li amava. Voleva che lei lo guardasse un'ultima volta, voleva sentire il suo petto innalzarsi ed abbassarsi, voleva..voleva svegliarsi da quello che doveva essere un incubo.

Le aveva afferrato la mano, portandosela alle labbra per baciargliela, paralizzandosi subito dopo.

Aveva osservato la scritta, affianco alla mano di Cassidea, sentendo il cuore fermarsi nel petto. Styrkur l'aveva seguito, inorridendo a sua volta.

"L'ha scritto lei," aveva sussurrato Pratda, lasciandosi cadere contro il corpo della donna.

"Era viva fino a poco fa. L'ho baciata questa mattina, avremmo dovuto cenare assieme." Aveva continuato ad accarezzarle il corpo senza vita, piangendo e baciandole le labbra fredde.

"Devi svegliarti, mi hai capito? Dobbiamo cenare insieme, ho già preparato tutto. C'è anche il tuo piatto preferito," Pratda aveva lo sguardo impazzito, e forse lo era davvero.

Forse era davvero impazzito.

"E' stato lui, è riuscito ad entrare." Styrkur aveva deglutito, distogliendo lo sguardo da Cassidea.

Pratda non gli aveva risposto, troppo occupato a sorridere maniacalmente alla donna che tanto aveva amato. "Svegliati, ti prego svegliati." Aveva iniziato a dondolare su se stesso, passandosi una mano tra i capelli per tirarseli.

Styrkur non aveva mai visto il fratello in uno stato del genere, non sapeva come agire. L'unica cosa a cui riusciva a prestare attenzione era la scritta sulla stradina.

Da quanto tempo non vedeva Seth? Ne aveva perso le tracce molto tempo prima, senza mai più rivederlo. Ricordava vagamente la forma del suo viso, ma chissà quant'era cambiato.

Non riusciva a capacitarsi di come Seth fosse entrato e del perchè l'avesse fatto. Ricordavano tutti il giorno in cui era mutato, in cui l'avevano cambiato.

Si era quindi alzato velocemente da terra, facendo un cenno alla guardia di chiamare i paramedici per scortare il corpo di Cassidea.

Avrebbero dovuto organizzare un funerale, ma prima bisognava che Prätda si riprendesse.

**

Capitolo un po' più corto rispetto agli altri, ho introdotto un nuovo personaggio ed ora state lentamente scoprendo la sua storia.
Spero vi piaccia :)

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