CAPITOLO QUARANTOTTO

capitolo quarantotto: anticipare la morte

Non esiste desiderio più grande del bisogno di un ferito di una nuova ferita.
-Georges Bataille

I primi due giorni del soggiorno di Shahrazād a Città dei Santi erano stati, a detta sua, piuttosto neutri. Sia lei che Kyà si erano aspettati grandi sconvolgimenti, attacchi dietro ogni angolo e chissà cos'altro.

Eppure nulla di tutto questo era accaduto. Quanto avrebbero dovuto aspettare, prima di poter toccare con mano la malvagità che si agitava sotto i suolo di Città dei Santi?

Shahrazād aveva deciso, assieme a un Kyà poco convinto e uno Styrkur piuttosto preoccupato, che aspettare non li avrebbe portati da nessuna parte. Se volevano ottenere e scoprire qualcosa, dovevano essere loro a cercare.

La rossa non aveva la minima voglia di aspettare col cuore in gola che qualcosa di orrendo accadesse, per questo preferiva esser lei ad andare verso il buio.

C'era un ché di poetico nel lasciarsi ingoiare dal buio, piuttosto che aspettare passivamente la sua venuta.

"Non troverai  molto, con quegli occhi lattiginosi." Il semi-gatto aveva strofinato il muso contro la propria coda, fissandola con l'aria di chi non era per nulla sicuro delle capacità dell'altro.

Il problema non era la poca fiducia che riponeva in Shahrazād, ma bensì la preoccupazione che ella potesse farsi male. E se la ragazza si fosse ferita- o se, ancora peggio, ci avesse lasciato le penne, lui ne avrebbe pagato le conseguenze.

Non era talmente stupido da credere che Styrkur gliela avrebbe fatta passare liscia.

"Per questo ho te, no? Puoi guidarmi con i tuoi occhi, e avvisarmi in caso di pericolo."

"Mi hai preso per un cane da guida?" Aveva soffiato con leggerezza, senza reale rabbia, mentre la vedeva sollevare gli angoli delle labbra. Chissà se sorridere era un peccato, per gli accidiosi.

"No, so che sei un gatto," e si era allungata  sul letto datole da suo padre, cercando Kyà a tentoni. Quando, finalmente, aveva sentito la consistenza morbida del pelo, si era rilassata.

Nonostante la ritrovata allegria, Shahrazād provava un cupo senso di angoscia. La consolava il pensiero di avere il mezzo felino, così come era contenta di poter parlare con Styrkur, tramite il link suo e di Kyà.

Portare a termine quella faccenda significava ricongiungersi alla Serpe, e forse era per questo che si sentiva fremere dal nervosismo.

C'era qualcosa, non avrebbe saputo dargli un nome, che ricopriva la città di lutto. Qualcuno aveva steso un invisibile velo nero sull'appezzamento di terra in cui ora alloggiava, eppure tutti le parevano tranquilli.

Le guardie che l'avevano scortata e il figlio del capo città si erano rivolti a lei con esitazione, mantenendo però una certa eleganza. L'astio era inevitabilmente dovuto alla sua provenienza, ma oltre a quello non era riuscita a percepire altro.

Possibile che fossero tutti ignari di quel che accadeva lì? No, era pressoché impossibile. Forse erano semplicemente delle  persone omertose, che dormivano assieme ai propri peccati proprio come lei e i suoi concittadini avevano fatto per anni.

La differenza, si era detta Shahrazād, era che loro amavano i propri sbagli e difetti, mentre gli altri li nascondevano.

"Dobbiamo cercare l'antidoto, se esiste, e permettere ai Quattro di giungere qui il prima possibile."

Kyà aveva annuito tacitamente, accoccolandosi sulle gambe congiunte della ragazza.

"Io potrei andare avanti per primo e perlustrare il posto, così da poterti guidare."

Non voleva esser percepito come amorevole- il solo pensiero gli faceva rivoltare l'intestino- ma non era riuscito a trovare parole più taglienti.

Inoltre, era stancante dover costantemente seguire la ragazza. A causa delle passate trasformazioni in umano, il semi gatto si era abituato a camminare su due gambe.

E poi, gli arti umani erano decisamente più lunghi dei suoi.

Nonostante i vantaggi, però, sapeva di non potersi tramutare in uomo. Era certo che lo avrebbero ucciso, se fosse successo.

"Saresti in pericolo."

"Ma se andassimo entrambi, saremmo in pericolo in due. Meglio un solo martire, no?"

Shahrazād non lo aveva trovato divertente, e quindi si era stretta nelle spalle, pensierosa.

Desiderava che finisse tutto al più presto. E poi? Cosa avrebbe fatto, dopo?

Certo, lei e Styrkur si sarebbero potuti ritirare vicino al mare, loro due soli, e magari avrebbe potuto portare Kyà con sé.

Ma poteva davvero ridursi tutto a quello? Non sapeva cosa ne sarebbe stato dei suoi genitori, dei tre fratelli della Serpe e della congrega.

Avevano portato tutta quella distruzione per...niente. Forse Terseo avrebbe mandato avanti la baracca.

"La tua biscia di strada sarà connesso costantemente a me, quindi non preoccuparti," Kyà l'aveva presa in giro, leccandole una piccola porzione di pelle, "è tardi, forse dovresti riposare. Domani ci penseremo."

Lei aveva annuito, per niente contrariata.

Ora che il gatto glielo aveva fatto notare, poteva sentire la stanchezza lavarle il corpo e avvolgerlo in una calda pelliccia.

Quando dici qualcosa ad alta voce, questa diventa reale.

La sua consorella maggiore era solita dirglielo, di tanto in tanto, per ribadire un concetto che all'epoca non era riuscita a capire.

Per spogliarsi le ci era voluto un po' e scivolare dentro la vestaglia era stato ancor più arduo. Forse Styrkur l'aveva viziata troppo, abituandola a vedere tramite lui.

Aveva sbuffato, calciando contro il muro una scarpa.

"Ho rotto qualcosa?" Aveva sussurrato lei, tra il frustrato e l'impaurito.

"Un cuore." Kyà aveva riso, per quanto un gatto potesse permettersi di fare, nel guardarla tutta corrucciata e confusa.

"Un cuore?"

Lui aveva annuito, dandosi subito dopo dello sciocco: lei non poteva vederlo.

"Si, proprio quello." Aveva aspettato che si sdraiasse per premere il muso contro l'organo cardiaco.

C'era stato un tempo in cui il battito di lei era stato visibile da sotto la pelle, tanto era magra e denutrita. Ma ora non vi era nulla se non pelle morbida e quasi abbronzata.

Shahrazād stava fiorendo dopo anni di perenne appassire.

"E come ripari un cuore che hai rotto?" Aveva immaginato il volto di Wëskø sotto le dita, capendo a cosa Kyà stesse alludendo.

Non si era mai considerata stupida, di conseguenza sapeva di aver ferito il tenero sentimento che il ragazzo provava per lei.

Ma non sarebbe stato egoista, da parte sua, mentirgli?

"Non puoi. Ricucire un cuore non è mai compito di chi lo ha rotto." L'aveva vista sbattere le palpebre, pesanti per il sonno, mentre si accoccolava sotto le coperte di velluto.

"Ora dormi, il Sole muore oggi per rinascere domani."

**

Styrkur non riusciva ad assopirsi, e i miagolii di Kyà che gli rimbombavano nelle orecchie di certo non lo aiutavano. Avrebbe certamente preferito sentire il respiro pesante di Shahrazād mentre dormiva.

Si era passato una mano sul viso, chiudendo gli occhi a forza. Forse era lo stress a tenerlo in piedi o, forse, semplicemente l'insonnia. Ai Quattro non era mai servito dormire, avevano una resistenza di ferro, ma i postumi di una notte insonne si sarebbero comunque presentati.

Le debolezze umane, insomma, erano rimaste a dispetto delle altre capacità. Dettagli trascurabili ed effetti collaterali che, tutto sommato, erano comunque inferiori rispetto ai lati positivi di possedere abilità inumane.

Styrkur si era lasciato andare ad un sospiro mentre, con le palpebre leggere, poggiava la schiena contro la sedia in legno. Dal balcone della sua camera, la Serpe poteva osservare quello che per anni era stato il suo orgoglio: il proprio popolo.

A quell'ora girava poca gente, eppure sembravano pieni di vita. Alcuni dei nuovi adepti stavano cercando di perfezionare le loro capacità fisiche, altri osservavano il bosco oltre le strutture.

La Serpe e i suoi fratelli avevano passato anni ad abbattere centinaia di alberi, a costruire case e servizi proprio al centro della foresta più rigogliosa del globo. Parevano stare nella bocca di un ciclope che, affamato, li aveva inghiottiti.

Avevano scelto proprio quell'appezzamento di terra perché sicuri che nessuno li avrebbe mai trovati. Decine e decine di uomini si erano persi nel verde di quel bosco, e solo una manciata di loro era sopravvissuta per raccontarlo.

Più ci si addentrava lì dentro, e più i pericoli crescevano. La zona pullulava di animali che, a causa delle radiazioni e dell'inquinamento, erano stati costretti a modificare il proprio patrimonio genetico.

Non era raro trovare bestie con arti in più. Persino gli umani erano stati costretti ad evolversi.

Le popolazioni del Nord, ad esempio, avevano sviluppato degli ormoni appositi per riscaldarsi.

Altri, invece, erano semplicemente morti.

Se lui fosse stato umano, chissà che fattezze avrebbe avuto.

Il secondo quesito, invece, riguardava Shahrazād. Che aspetto avrebbe avuto, lei, se avesse fatto parte di uno dei Quattro?

Per lei avrebbe scelto la volpe, come animale. Con quelle fiamme al posto dei capelli e quelle costellazioni rosse che aveva sparse per il corpo, era la bestiolina ideale.

Magari le sarebbero spuntate due orecchie aranciate e una coda arruffata, oppure gli occhi le si sarebbero assottigliati.

"Morirà prima di te, lo sai?" Liv aveva poggiato il mento sulla spalla del figlio prediletto, sporgendosi per rendere la sua presenza più palese.

Styrkur si era costretto a non sobbalzare per la sorpresa. Da dove era apparsa?

"Non vi ho sentita entrare, madre."

"Sono sempre stata qui."

Possibile che il suo udito stesse perdendo colpi? Per verificare, aveva chiuso gli occhi e inspirato profondamente dal naso.

Aveva sentito il brusio di due uomini, appena sotto il suo balcone, e il rumore delle foglie mentre venivano calpestate.

Quindi aveva sorriso, giustificandosi. Liv era una dea, e se non desiderava farsi udire, nemmeno Död sarebbe riuscita a sentirla.

"Come sta?" A Styrkur non era servito precisare il soggetto, perché era certo che la divinità l'avrebbe capito.

"Bene, ma questo già lo sai. Cos'è che vuoi realmente chiedermi?"

Liv gli aveva sorriso con tenerezza, esponendosi alla luce lunare. Il pallore della notte non le donava, lei che regnava di giorno ed era abituata a vestirsi di luce.

Nonostante l'ambiguità, però, Styrkur la trovava ugualmente eterea. Mentre Död incarnava una bellezza funebre, Liv era la vita fatta a dea.

"Vorrei che voi mi uccideste, madre, quando l'ora di Shahrazād arriverà."

Erano settimane che ci pensava, ed era giunto alla conclusione che quella fosse la scelta migliore. Nessuno poteva sapere quanto ancora gli rimanesse da vivere, ma ciò che era certo era che sarebbe sopravvissuta alla fanciulla.

"È una richiesta egoista, la tua. Lei ti vorrebbe in vita." Gli aveva accarezzato i capelli, bonaria, senza però dilungarsi in inutili promesse.

Era giusto che lei fosse obiettiva e che lo rimproverasse, di tanto in tanto, come solo una buona madre avrebbe saputo fare.

Styrkur aveva mandato giù il boccone amaro, atterrito.

"Lo so."

Liv aveva quindi annuito, spostandosi per fronteggiarlo. Aveva poggiato le mani contro il parapetto del balcone, mentre il vento faceva ondeggiare il vestito verde che indossava.

L'erba stessa non avrebbe saputo far fronte a tanto caldo smeraldo.

"Se potessi, ti accontenterei, perché l'amore di una madre risiede anche nella morte, ma il mio essere non me lo concede. Io dono la vita, tutto quello che viene dopo di essa, rientra nel dominio di Död."

Liv non aggiunse che quest'ultima non avrebbe mai accontentato Styrkur. Sia perché non approvava il rapporto con Shahrazād, sia perché non si sarebbe mai sentita in grado di ucciderlo.

La Serpe era stata il punto debole della dea per anni, e questo aveva comportato più aspetti negativi che positivi.

Död avrebbe voluto formarlo a sua immagine e somiglianza: spietato, freddo e senza remore. Purtroppo per lei, però, il suo piano aveva avuto successo solo parzialmente.

Styrkur era cresciuto con una forte attrazione verso la sfida, e non avrebbe mai accontentato pienamente qualcuno. Inclusa sua madre.

"Lei sa qualcosa del nostro piano?"

Liv aveva annuito, quindi aveva volto il viso verso il bosco, osservando. Nell'aria c'era odore di putrefazione.

"Död sa tutto, non le si può nascondere nulla." Il sorriso triste della dea aveva, per un attimo, preso Styrkur in contro piede.

L'amava, quello era palese, eppure erano troppo diverse. Gli opposti, alla fine, non erano destinati ad attrarsi, ma bensì a distruggersi.

Quando la portata della diversità era troppo acuta, le due calamite non potevano fare altro che scontrarsi e annientarsi a vicenda.

Era quello che sarebbe successo a Liv e a Död.

"Pensate che ci ostacolerà." Non l'aveva posta come domanda perché sicuro che fosse retorica. Dal modo in cui la Vita si era mossa, però, gli era sembrato di starsi sbagliando.

"Oh, no," aveva scosso la testa mentre puntava lo sguardo al pavimento, "temo che sarà il contrario. Distruggerà assieme a voi Città dei Santi e chiunque si trovi lì."

Per un singolo istante, la Serpe era stata felice. Poi, la consapevolezza lo aveva colpito dritto al petto.

L'aria aveva smesso di insediarsi nei suoi polmoni, rifiutandosi di farlo respirare.

Död avrebbe annientato la cittadina, consapevole che al suo interno vi era Shahrazād.

"Quando?"

Ma la Vita non ne aveva idea, e quindi aveva scosso con leggerezza la testa. I capelli della dea erano oscillati, soavi, mentre il vento li cullava con sé.

Era impossibile capire le tempistiche di Död. Per quanto ne sapeva, avrebbe potuto iniziare di lì a un minuto.

Styrkur si era alzato di scatto dalla sua seduta, nel panico. Gli occhi gli si erano assottigliati e le iridi s'erano ritirate e allungate verticalmente.

Quando aveva volto lo sguardo alla madre, l'aveva vista arretrare di un passo. Non se ne era sorpreso perché consapevole di quanto le sue mutazioni fossero apparentemente mostruose.

Prätda aveva le ali, Terseo la stazza e le zampe di un orso e Wëskø i canini bianchi come la neve.

Lui, invece, aveva ereditato due occhi e una lingua da rettile.

Tutto quello a cui riusciva a pensare era che avrebbe dovuto anticipare il piano. Avrebbe distrutto quella dannatissima città con o senza l'antidoto.

Si era avviato verso la porta senza fare nemmeno un accenno di rumore, mentre Liv lo seguiva, apprensiva.

Gli aveva poggiato una mano sul braccio per fermarlo. Aveva bisogno della sua attenzione prima che la Serpe corresse dal Falco per avvisarlo del cambio di piano.

Quando l'aveva guardato, non aveva visto in lui un mostro. La vera mostruosità che portava era negli occhi, e prendeva il nome di 'disperazione'.

"Ascoltami bene, figlio mio," aveva chiuso gli occhi, incredula davanti a quel che stava per dirgli, "il figlio di una dea può uccidere sua madre."

"Non capisco-"

Liv lo aveva zittito con un forte gesto della testa.

"Puoi ucciderla, Styrkur. Hai il potere di farlo. Non è vero che solo un dio può ucciderne un altro, per questo Vardande è stata concepita senza poteri: era troppo incline a spodestare una di noi."

Un altro respiro profondo, un altro sguardo alle mattonelle per evitare gli occhi spiritati del figlio.

"Fai quel che devi per proteggerti, per proteggere chi ami."

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