CAPITOLO QUARANTAQUATTRO

Capitolo quarantaquattro: il mare e la vasca da bagno

"Ma chi prega per Satana? Chi, in diciotto secoli, ha avuto quel briciolo di umanità per pregare per il peccatore che ne aveva più bisogno?" -Mark Twain

Shahrazād aveva sentito una forte pressione dietro la nuca che, pian piano, aveva iniziato ad espandersi verso il viso.

Era salito dal collo, arrampicandosi sulla mascella per attaccarle l'orbita oculare. Aveva sentito una forte fitta prenderle le palpebre e, successivamente, allungarsi su tutta la scatola cranica.

Le sembrava di andare a fuoco, completamente inerme davanti a ciò che stava accadendo. Era tutto un effetto del link? Magari stava semplicemente esagerando, forse era semplicemente debole.

Ma era sicura di non aver mai provato un fastidio come quello.

Istintivamente aveva stretto le mani di Styrkur e Kyà, gemendo per il dolore.

Le mani avevano preso a formicolarle, stessa cosa per le gambe, e ora iniziava ad avere le vertigini. Stava avendo un calo di zuccheri? No, impossibile.

Si era costretta a serrare le labbra per trattenere la sensazione di nausea.

Improvvisamente aveva avvertito la mancanza del contatto con i due, rimanendo nuovamente da sola.

"È meglio smettere." Aveva borbottato Kyà, dandole una veloce pacca sulla spalla, "Non preoccuparti, ci riproveremo domani."

Shahrazād non ne era felice e più di ogni altra cosa si sentiva in colpa: verso Styrkur, per aver fallito, e verso Kyà, per avergli fatto perdere tempo.

Era stata colpa sua? E se si, cosa aveva fatto per mandare tutto a monte?

Aveva sospirato, delusa, per poi giocare con una ciocca di capelli. Al tatto le erano parsi morbidi, diversi da come li ricordava.

Nei suoi ricordi, quando ancora era in possesso della sua vista, i suoi capelli le erano sembrati scoloriti e sporchi.

Tutti i bambini, a Cittá dei Peccatori, lo erano e quindi non ci aveva mai pensato troppo.

Ricordava le loro figure mingherline e sciatte, il trascinare le to dei piedi sul terreno e i sorrisi sdentati di chi, nonostante raggiunta l'età, ancora non si era sviluppato completamente.

Erano sempre stati inferiori, deboli, rispetto ai fanciulli di altre città eppure, Shahrazād non sapeva come, erano riusciti a sopravvivere.

Suo padre era solito dirle che fosse grazie agli dei, ma lei non ci credeva. Si erano semplicemente adattati, proprio come animali, a vivere di stenti.

"Ehi," Styrkur le aveva sfiorato la mano, baciandone il polso, "stai bene?"

Non si sarebbe mai aspettato di chiedere una cosa del genere. Da quando gli importava degli altri? Era una delle poche volte in cui il comportamento strano di una persona lo agitava.

Kyà si era passato una mano tra i capelli, a disagio.
Non sapeva come fare per risollevare il morale dei due; era ovvio che la ragazza fosse delusa, ma doveva anche tenere a mente che quella era la sua prima volta.

Se fosse stata dotata di magia, le cose sarebbero state più semplici.

Ah, i pensieri del semi-gatto erano corsi verso Vårdande. Lei avrebbe saputo come aiutarli, magari sarebbe persino riuscita a creare un link senza che i due dovessero scavare tra i loro ricordi.

Ma chissà dov'era, chissà se c'era.

Era da qualche tempo che non la percepiva più e, nonostante non l'avrebbe mai ammesso, gli mancava.

Vardånde avrebbe saputo cosa fare.

Si era ritrovato con lo sguardo puntato a terra, la testa bassa e l'espressione abbattuta. No, non doveva pensare in negativo! Ce l'avrebbe fatta anche da solo, avrebbe provato a lei e a sé stesso di essere in grado di gestirsi.

Aveva visto e sperimentato abbastanza magia per conoscerne le basi e se si fosse impegnato, sarebbe riuscito a risolvere tutto.

"Shahrazād," aveva aspettato di vederla alzare la testa, alla ricerca della sua voce, prima di continuare, "abbatterti non ci porterà a nulla, anzi ti rallenterà. Facciamo così: oggi io e Styrkur proveremo a creare un link tra di noi e domani penseremo a come fare con i tuoi ricordi."

La ragazza aveva annuito lentamente, sentendo il peso di due sguardi addosso. Abbattersi era facile, facilissimo, per una persona che, proprio come lei, non aveva mai sperimentato emozioni tranne che l'indifferenza.

Non pensava che tutte quelle sensazione l'avrebbe penalizzato, ma di certo non voleva tornare alla vecchia sé.

Avrebbe dato ascolto ai due e il giorno ci avrebbe riprovato, concentrandosi ancora di più. Non poteva perdere la speranza, non ora che il giorno della partenza si avvicinava.

Quanti giorni mancavano? Due, se non ricordava male. Il pensiero di rivedere suo padre l'aveva scossa in modo piacevole; chissà se la sua voce era cambiata.

Era sicura di essergli mancata, seppur solo un po', e quel pensiero la consolava. Magari avrebbe potuto chiedere a Styrkur di farlo restare con loro, dopotutto era un uomo di mezz'età, non un anziano inabilitato a lavorare.

E sua madre? Cosa avrebbe fatto con sua madre?

Non erano mai state troppo legate, anzi: Shahrazād era stata fin troppo accondiscendente nei confronti della donna.

Per anni si era convinta di averle rovinato la vita, lei e i suoi occhi difettosi, e spesso si era chiesta come fare a rendere sua madre fiera di lei.

Solo adesso, forse, capiva di non aver bisogno di dimostrarle nulla. Lei era divenuta una persona indipendente nonostante la sua cecità ed era arrivata fino a quel punto da sola.

L'oscurità, fino a qualche mese prima, era stata la sua prigione ma ora-forse ora avrebbe dovuto accettarla come parte di sé.

Non ci vedeva, ma non le importava. Non più.

Vivendo aveva incontrato diversi occhi: la sua confraternita, Sover, Vårdande, Kyà e Styrkur.

Tutti loro, seppur in modo diverso, erano stati i suoi occhi e con mani accoglienti l'avevano guidata nel suo infinito tunnel oscuro.

Purtroppo, però, se ne accorgeva solo ora che si era distaccata dall'accidia. Vivere senza peccato era dura, non l'avrebbe negato, ma ora si sentiva finalmente viva.

"Per Liv, devo entrarti nella testa?"

"Ti avviso: Vårdande mi ha insegnato a produrre il repellente per rettili, quindi stai zitto."

Shahrazād aveva ridacchiato, scuotendo la testa, mentre i due battibeccavano.

Kyà si era passato il dorso della mano contro i capelli, dando l'idea di esser tornato un gatto, mentre Styrkur giocava con le dita della ragazza.

La Serpe pensava al giorno in cui avrebbe confrontato la madre, Död, rinnegandola. Si era chiesto molto spesso, nel corso dei giorni precedenti, il perché avesse fatto una cosa simile.

Era arrabbiato per ciò che aveva a lui e a Shahrazād, per aver maledetto lei e la sua stirpe, e per quello che aveva fatto passare alla prima reincarnazione della Pantera.

Aveva sempre pensato che Död volesse il loro bene, che li amasse e li proteggesse solo da ciò che era estremamente pericoloso.

Ora che ci pensava, però, capiva che la madre non l'aveva mai realmente schernito dai pericoli del mondo.

Aveva lasciato che venisse torturato per anni da Tommaso, a Città dei Santi, e aveva permesso che quegli stessi uomini rapissero il figlio: Seth.

Per anni e anni aveva sofferto la sua mancanza, così come ne aveva sofferto Vårdande e Prätda, e ora che era tornato non si degnava nemmeno di parlargli.

Adesso Seth era una persona dalla mente frammentata, spaventato dalla sua stessa ombra, mentre Prätda aveva perso la sua Scelta.

Come poteva aver lasciato che tutto ciò accadesse?

Styrkur aveva avuto modo di vedere con i propri occhi l'atteggiamento che Sover aveva verso Shahrazād, totalmente diverso da quello che Död aveva con lui.

Il dio dell'accidia, seppur perennemente stanco e adagiato su sé stesso, amava la ragazza come fosse una sua diretta discendente.

L'aveva aiutata diverse volte e le aveva sempre rivelato la verità, proteggendola.

Sover era, ai suoi occhi, un dio più meritevole di quanto Död non fosse mai stata.

Styrkur aveva lasciato un bacio umido sulla guancia di Shahrazād, alzandosi e chiedendole di seguirlo.

"Kyà, dacci qualche ora di riposo e poi io e te creeremo il link."

Con la mano aveva sostenuto la ragazza, poggiando il palmo contro la sua schiena per avvicinarla a sé. Voleva farla rilassare un po' e parlarle, dopo avrebbe finito ciò che avevano iniziato.

Il semi-gatto aveva annuito, sgranchendosi le gambe ma senza mai alzarsi. A lui andava bene, avrebbe sfruttato quelle ore per riflettere sul da farsi.

In effetti non sapeva cosa avrebbe fatto, una volta risolta quella situazione. Si sarebbero liberati di lui? E se si, dove sarebbe andato?

Non poteva tornare da Vårdande, visto che non sapeva dove fosse, e di certo non avrebbe pregato Styrkur di prenderlo sotto la propria ala.

Aveva un minimo di dignità da mantenere.

Quindi li aveva osservati andarsene, puntando gli occhi sulle loro schiene e pregando che, in un modo o nell'altro, Shahrazād avrebbe deciso di tenerlo al suo fianco.

La direzione verso la quale i due stavano andando era il giardino. Recarsi lì con la Serpe era strano, seppur piacevole, perché la ragazza si era abituata ad andarvici solo con Wëskø.

Sperava che un giorno sarebbe tornata a piantare semi con il Lupo, magari quando tutto si sarebbe calmato.

Riusciva a riconoscere la strada dai piccoli solchi nel terreno, l'inclinarsi del pavimento e le insenature nel muro.

Non si sarebbe persa mai più.

Styrkur aveva continuato a guidarla lentamente, lasciandole il tempo di scegliere un'andata più o meno lenta.

La sua mano era fredda mentre la schiena di lei, seppur coperta, irradiava un calore confortevole.

"Ti piacerebbe andartene? Potremmo trovare un posto solo per noi, vicino al mare, e lasciare indietro tutto il resto."

Shahrazād aveva sentito il formarsi della pelle d'oca sulle braccia mentre processava il tono dell'uomo.

Le aveva parlato con voce profonda, carica di aspettativa, e nonostante non potesse vederlo, riusciva a immaginare l'espressione che aveva.

Era strano il modo in cui riuscisse a vederlo tramite l'udito e il tatto.

Si era immaginata una vita lontano da Città dei Peccatori, lontana dal culto dei Quattro e da tutto il resto.

Il mare, cos'era il mare? Suo padre, quando era piccola, lo aveva paragonato a un lago enorme, più limpido e profondo di quest ultimo.

Le sarebbe piaciuto sentirne la consistenza contro le dita.

Quindi si era leccata le labbra, sentendo il Sole scaldarle le gambe e il viso.

"Si, mi piacerebbe."

**

Nora aveva passato le ultime due ore a convincere Seth ad entrare in vasca.

Non si sarebbe mai aspettata che potesse esserne addirittura spaventato ma oh, eccola lì, in piedi con le mani contro i fianchi ad aspettare che si convincesse.

Seth aveva la tipica espressione solo i bambini le rivolgevano, una che rappresentava il "ma devo proprio?"

E la povera ragazza avrebbe continuato a dire che si, doveva proprio farsi un bagno.

Chissà da quanto non si lavava e chissà, poi, perché diamine era così spaventato da un po' d'acqua.

Nora si era seduta a terra, le gambe incrociate e la gonna bianca, lunga, a coprirle il corpo.
Al ragazzo era sembrata una caramella avvolta da della carta.

Le avrebbe voluto chiederle se non preferisse il letto ma, ah, c'era già lui sul giaciglio e di certo non voleva sembrare malizioso.

Perché, poi, era stato lasciato in quella stanza?

Voleva esser reso partecipe anche lui di cosa stava succedendo ma, al tempo stesso, era ovvio che non volessero rivelare il loro piano a colui che aveva provocato tutto quel guaio.

Si, più ci pensava e più realizzava quanto tutta quella storia fosse colpa sua.

Colpa sua, colpa sua, colpa sua.

Aveva pensato a quelle due parole per qualche minuto, sommerso dai sensi di colpa. Ma era stato Gabriele a ferire tutte quelle persone, non lui, quindi perché si sentiva così male?

Se solo fosse stato abbastanza forte, avrebbe potuto fermare il suo alter-ego dall'uccidere Cassidea.

Non riusciva a togliersi dalla mente le sue grida, i suoi occhi colmi di lacrime e di speranza. In cos'è che aveva sperato Cassidea? Forse nell'arrivo di Prätda o forse nella misericordia del suo carnefice.

Ma Gabriele non aveva mai avuto nulla di misericordioso e quindi Cassidea era morta, torturata dalle mani di Seth ma dalla mente di un altro.

Il poverino non era riuscito a non abbassare lo sguardo sulle proprie dita, cercando con gli occhi delle tracce rimanenti di sangue.

E se ne avesse avuto ancora sotto le unghie? E se sui palmi avesse avuto ancora le cellule morte di lei?

Aveva iniziato a grattarsi istericamente sia le mani che le braccia, dondolando avanti e indietro per scrollarsi di dosso la nausea.

Oddio, lui aveva ucciso qualcuno e se ne stava seduto senza che nessuno lo attaccasse.

Non era giusto, avrebbero dovuto fargli del male.
Perché non gli facevano del male?

Era stato cattivo, oh così cattivo e nessuno lo stava punendo.
Perché nessuno lo stava punendo?

Nora lo aveva osservato da terra, chiedendosi cosa diamine avesse il ragazzo. Stava male? No, le sembrava in ansia.

Possibile che avesse una fobia dell'acqua? Dopotutto, Shahrazād non le aveva rivelato molto di Seth se non il suo nome e il fatto che, proprio come aveva potuto notare lei stessa, era incredibilmente fragile.

Fragile, Nora non le aveva creduto, non all'inizio per lo meno. Il suo fisico era tutto fuorché debole ed era certa che, se avesse voluto, l'avrebbe potuta uccidere facilmente.

La sua fragilità, lo aveva capito da sola, era mentale.

"Ehi," aveva provato lei, allungandosi in avanti ma senza toccarlo, "va tutto bene, non devi entrare per forza."

Seth le aveva rivolto un piccolo sguardo, quasi con timidezza, chiedendosi come mai non fosse un obbligo.

Dopo tutto ciò che aveva fatto, era giusto che lo costringessero a far di tutto.

"A cosa serve?" Aveva quindi domandato lui, indicando la vasca da bagno. Non ne aveva mai vista una simile, principalmente perché a Città dei Santi gli era proibito usarla, e non sapeva se esserne spaventato o curioso.

Nora aveva aggrottato le sopracciglia per poi alzarsi in piedi e avviarsi verso la vasca.
Più tempo passava con il ragazzo e più si sentiva sotto shock.

Con le dita aveva toccato la superficie dell'acqua, bagnandosi le mani, per poi accovacciarsi davanti a lui.

Quindi aveva alzato la mano bagnata, aprendola e chiudendola di scatto per schizzargli qualche goccia d'acqua sul viso.

"A lavarti, ovviamente."

Seth aveva chiuso velocemente gli occhi nel sentirsi compire dalle gocce, riaprendoli quando l'aveva sentita ridere.

Era qualcosa di divertente? Quel gesto gli ricordava i giochi che era solito fare con i fratelli.

Forse Nora stava giocando, forse andava tutto bene.

Quindi l'aveva lasciata fare, osservandola mentre gli afferrava la mano. Aveva il dorso sporco di terra e sangue, il suo sangue, e la cosa lo infastidiva.

Avrebbe sporcato anche lei, perché lo toccava?

Con un dito bagnato Nora aveva strofinato il palmo di Seth, eliminando di poco le tracce di terra. Il sangue, invece, era decisamente troppo incrostato.

"Vedi? Con l'acqua va' via."

Seth aveva annuito, sentendo la voce di Caspian risuonargli nelle orecchie. Erano ricordi quelli che stava sperimentando ma, ahimè, gli parevano più degli incubi.

Ricordava le mani callose di una guardia mentre, con delle lame affilate, gli strofinava le macchie nere che gli coprivano il corpo.

Prendevano tutti ordini da Caspian, tutto partiva sempre da lui ma, per chissà quale motivo, non era mai lui ad agire in prima persona.

Sedeva al lato della stanza e osserva le torture, le coordinava e giudicava ma mai faceva un passo avanti per agire.

"Laveranno via i peccati dal tuo corpo," gli mormorava l'uomo, sorridendogli, "non mi sei grato?"

Le vasche nelle quali veniva buttato dentro, a Città dei Santi, venivano colmate di acqua gelata, alle volte invece risultava ghiacciata, e dentro di esse gli veniva tirata la pelle.

Per purificarlo, dicevano loro.

Caspian gli aveva spiegato che l'acqua calda rappresentava l'inferno, il luogo dal quale proveniva lui, mentre quella gelata era il paradiso, il posto nel quale volevano mandarlo.

Gabriele come l'angelo, gli diceva l'uomo, e come lui sarebbe diventato un servo di Dio.

Improvvisamente, Seth aveva perso tutta la voglia di farsi il bagno.

Eppure il viso di Nora sembrava amichevole e i suoi occhi, belli e grandi, non parevano celare alcun traccia di cattiveria.

"Puoi stare con me?"

L'aveva vista sgranare gli occhi e schiudere le labbra, rivolgendogli un'espressione sconvolta. Aveva detto qualcosa di brutto? L'aveva forse offesa?

Le sue intenzioni non erano cattive, ma chiunque avrebbe pensato male.

Nora si era passata una mano tra i capelli, chiedendosi cosa fare. Quell'uomo agiva davvero come un bambino e lei non aveva la minima idea se stesse fingendo o meno.

Shahrazād le aveva detto di far attenzione e di avvicinarsi al ragazzo con estrema calmo, senza pressarlo o spaventarlo.

Chissà cosa nascondeva, in realtà, il ragazzo.
A guardarlo non le sembrava aver cattive intenzioni, ma poteva davvero fidarsi? Era quasi certa, comunque sia, che Shahrazād non l'avrebbe mai affiancata a qualcuno di possibilmente pericoloso.

Si sarebbe fidata dell'amica.

"Va bene, andiamo, dai."

A T T E N Z I O N E
Piccolo regalo di Natale, spero vi sia piaciuto e vi auguro buone feste e tanta tanta taaaanta felicità. Un bacio!

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