Capitolo quarantanove: nuovo piano
A mia madre, alla quale avrei voluto far leggere questo libro. Spero lo farai, ovunque tu sia.
Shahrazād si era svegliata con un'orrenda sensazione a stringerle le membra e a pesarle sul petto. L'odore pungente dell'incenso le aveva riportato alla mente ricordi lontani e giorni spaventosi. Il più vicino risaliva al giorno in cui Styrkur e i suoi fratelli avevano attaccato Città dei Peccatori.
Era andato tutto in fumo, quel giorno.
Si era sforzata di non aprire gli occhi, di rallentare il battito cardiaco per paura che qualcuno potesse sentirlo. Durante il suo soggiorno nella struttura dell'accidia, le consorelle maggiori avevano insegnato loro a controllare il proprio corpo, il proprio respiro e battito.
Non era quindi una sorpresa che Shahrazād fosse riuscita a rilassarsi in quel modo. Accanto al palmo della sua mano sinistra, allungata sopra al cuscino, aveva sentito la consistenza del pelo soffice di Kyà. Per un breve istante si era permessa di lasciar correre lontane le preoccupazioni, di ignorare quella sensazione stringente che provava.
Poi, con suo orrore, aveva notato il manto del semi-gatto drizzarsi. Gli animali avevano un modo tutto loro di percepire il pericolo, e quello ne faceva parte. Tenendo le palpebre serrate, Shahrazād aveva tentato di far attenzione a ciò che la circondava.
Era ancora notte, lo percepiva dall'assenza di calore sulla sua pelle, e i soffi d'aria si susseguivano, uno dopo l'altro, in una gara per decidere chi tra di loro avrebbe per primo toccato la sua cute.
La ragazza era sicura di aver chiuso la finestra, prima di coricarsi.
Aveva un tarlo nella scatola cranica, un tarlo che le parlava mentre si cibava di lei. C'è qualcuno, le sussurrava, c'è qualcuno proprio dietro di te. Non era stata abbastanza sciocca da pensare di starsi sbagliando, né abbastanza ingenua da sperare che si stesse suggestionando.
In tutti quegli anni di vita, l'ormai ex accidiosa aveva compreso quanto importante fosse ascoltare se stessi, anche quando pareva folle farlo. Ma se davvero aveva compagnia, perché non accadeva nulla? Perché Kyà non soffiava e non tentava di ridestarla?
Forse perché sarebbe stato troppo pericoloso; ma se davvero aveva un ospite in camera, cosa avrebbe potuto fare, lei? Erano gli occhi, sempre i suoi maledettissimi occhi, a farla cadere in tranelli d'ogni tipo. Fosse stata in un luogo che conosceva, sarebbe stata in grado di orientarsi, ma quella stanza le era completamente nuova.
Se l'intruso fosse stato uno degli uomini Caspian, l'avrebbe certamente già immobilizzata. Possibile che fossero venuti a conoscenza del suo piano? No, non poteva crederci. Non voleva crederci. La sola idea che lei avesse mandato tutto in fumo l'aveva fatta inorridire.
Più pensava, però, e più la risposta si allontanava da lei.
"Così mi ferisci, piccola volpe."
E fu un concerto di emozioni, nel petto di lei, quando la voce di Styrkur si era andata a scontrare contro gli angoli della sua memoria. Senza pensare si era girata su un lato, trascinando la coperta dietro di sé. L'equilibrio, in quel momento, era divenuto solo un lontano amico.
Si era trascinata con avarizia verso il suono caldo della sua risata, allungando in avanti le mani non per vedere, ma per toccare. Per sentire la consistenza ruvida della sua casacca, gli angoli spigolosi della sua mascella e le estremità morbide delle sue ciglia.
Le sue ginocchia avevano incontrato il vuoto, facendole avvertire quella fastidiosa sensazione di cadere proprio alla bocca dello stomaco. Si era aspettata di finire rovinosamente a terra, e invece il contatto era stato contro l'addome freddo di Styrkur.
Aveva sorriso, chiedendosi come avesse fatto a muoversi talmente velocemente da esserle sotto, da farle da scudo contro il pavimento gelido. Le mani di Shahrazād erano corse a toccargli i capelli, aggrappandosi a essi come fossero l'ultima ancora di supporto che ancora esisteva.
Il cuore della Serpe si era agitato contro la cassa toracica, battendo a più non posso per comunicare con quello febbricitante di lei. L'aveva sentito affondare il naso tra i suoi capelli e inspirare, a pieni polmoni, mentre con i polpastrelli le accarezzava la curva dei fianchi.
"Non hai più il mio odore addosso," aveva mugugnato lui, baciandole prima le tempie e poi la punta del naso, "ma rimedieremo."
Kyà si era avvicinato al bordo del letto, trasformandosi poco dopo. Per i primi due secondi aveva dovuto far attenzione a non perdere l'equilibrio su quelle due gambe così scomode e lunghe, poi aveva poggiato il mento contro il palmo aperto della mano, fissandoli.
"Non pensavo saresti arrivato così presto, un vero peccato." Aveva sorriso, sornione, sgranando gli occhi rossi e dalle pupille dilatate verticalmente. A Styrkur era parso che avesse un aspetto quasi minaccioso mentre mostrava le due file di denti bianchi e appuntiti.
La verità era che il semi-gatto non aveva la minima idea di come si sorridesse, e quindi aveva improvvisato la prima immagine che gli apparsa alla mente.
"Il piano è stato anticipato," la Serpe aveva fatto scivolare le braccia attorno ai fianchi della ragazza, voltandola fino a far scontrare la schiena di lei contro il suo petto. Indossava una vestaglia bianca, leggera, e dalle maniche lunghe. Le clavicole non erano state coperte dalla stoffa sottile, così come non lo era stato il collo.
Avrebbe voluto coprirglielo lui di baci e di morsi, di parole effimere e di lividi. Se glielo avesse chiesto, avrebbe volentieri usato le sue mani per fasciarglielo, senza soffocarla, ma senza nemmeno lasciarla libera.
"E io, comunque sia, non pensavo di averti permesso di dormire sopra lo stesso letto di Shahrazād." Si erano fissati per qualche secondo, entrambi segretamente divertiti.
Si erano dovuti coprire le labbra per non ridacchiare, con il timore che qualcuno potesse sentirli. Così Kyà si era alzato dal letto per avviarsi verso la porta. Odiava usare la magia, ma quella era una questione importante e tanto valeva sprecare quei due minuti, seppur importantissimi, della sua vita.
L'ormai famiglio della rossa aveva usato i propri canini per puntellarsi il pollice, aspettando che dal foro uscisse qualche goccia scarlatta. Con l'ausilio del proprio sangue aveva tracciato una mezza luna contro la superficie di legno, tagliandola in obliquo.
"Silentium," era stato un sospiro appena udibile, talmente basso e leggero che per poco non era sfuggito all'udito di Shahrazād.
Si era chiesta come avrebbero fatto a capire se l'incantesimo avrebbe funzionato o meno, ma il dubbio era presto svanito.
Dietro di lei aveva sentito il petto di Styrkur tirarsi, probabilmente per sostenere sia lui che lei, mentre si spingeva di lato. Aveva afferrato da sopra il comodino un vaso in terracotta, dipinto di bianco e azzurro.
Raffigurava l'ascesa degli angeli e la loro vittoria contro il male, per questo non vi erano dipinti diavoli e altri esseri immondi.
L'aveva odiato, quel maledetto vaso.
Styrkur aveva portato il braccio indietro, tenendo l'oggetto tra le dita per poi lanciarlo con fervore contro il muro.
Questo si era disintegrato contro la parete, macchiando la vernice grigiastra con l'acqua che custodiva al suo interno. I gigli al suo interno erano finiti a terra, stanchi, senza mai smettere di emanare quel profumo di cimitero che a lui tanto piaceva.
Shahrazād aveva avvertito con chiarezza l'aria spostarsi vicino al suo orecchio, il respiro della Serpe bloccarglisi in gola e il rumore pieno, distruttivo, del vaso che volava contro la propria fine.
Erano rimasti fermi per attimi interminabili, in attesa.
Se Kyà avesse fallito nell'instaurare un incantesimo efficiente, qualcuno avrebbe certamente spalancato la porta della sua camera per correre a controllare cosa fosse tutto quel frastuono.
Ma non arrivò nessuno.
Solo dopo un paio di minuti, Shahrazād ricominciò a respirare. Era così facile confondere il ritmo del suo cuore con quello di Styrkur che per un attimo non si era accorta della tachicardia che entrambi parevano palesare.
Non era agitazione, era adrenalina.
"Ehi, ho una battuta!" Aveva esclamato Kyà, saltando sopra al letto per premere il naso contro quello arricciato della Serpe, "Sai cos'altro hai rotto? Le pal-"
A Shahrazād non era servita la vista per capire che il suo compagno aveva appena tirato giù dal letto il semi-gatto, facendolo atterrare dolorosamente a terra.
"Non vorrai mica inveire davanti a una signora," aveva sibilato lui, divertito. Dopodiché era tornato a stringere le spalle della sua Scelta.
Styrkur aveva una temperatura corporea talmente bassa che la sottile vestaglia di lei non era stata in grado di isolare, ma che anzi aveva fatto sì che penetrasse oltre la stoffa e sotto la cute, avvolgendole le ossa.
Si era rilassata nonostante i nervi a fior di pelle.
"Cosa facciamo, adesso?"
Per secondi interminabili, nessuno aveva risposto. Il piano era stato anticipato, questo le era chiaro, ma perché?
"Gli altri si stanno dividendo: Prätda si sta dirigendo verso il centro abitato, Terseo entrerà dallo spiazzo principale e Wëskø si occuperà delle guardie.
Il resto dei nostri uomini li seguirà."
Shahrazād aveva annuito, pensierosa. Non era certa che Styrkur le avesse detto tutto, o almeno questa era la sensazione che provava.
"E noi?" Non capiva il perché lui si trovasse lì. Avrebbe dovuto aiutare i fratelli e invece era assieme a lei, come se non si stesse per scatenare una guerra.
Lui, dal suo canto, si era inizialmente limitato a grugnire, infelice della domanda. Non voleva risponderle, ma non perché gli desse fastidio. Sapeva che lei si sarebbe arrabbiata, o quanto meno offesa, se le avesse detto con estrema chiarezza quel che intendeva fare.
Mentirle, però, non era saggio.
Prätda gli aveva chiesto, anche se il tono tendeva più verso l'imperativo, di usare Shahrazād come arma. Con lui aveva condiviso il dono che la ragazza possedeva, la sua capacità di uccidere senza realmente farlo.
Styrkur, però, non lo avrebbe mai permesso. Era troppo rischioso.
"Tu verrai scortata al punto di ritrovo, mentre io e Kyá andremo a cercare l'antidoto per Seth, se esiste..."
Shahrazād si era curvata su se stessa nel sentire l'ultima frase. E se fosse stato tutto inutile? Se l'antidoto non fosse nemmeno esistito e Seth fosse condannato a rimanere in una grigia zona di stallo?
No, era impossibile che non vi fosse niente. A ogni veleno corrispondeva una cura, anche se non ancora sviluppata.
Se non avessero trovato nulla, l'avrebbero fabbricata loro.
"Non voglio andarmene," aveva bisbigliato lei, non per paura ma per saggiare meglio la frase, per parlare con se stessa, "lascia che vi aiuti."
Styrkur e Kyà si erano guardati per una manciata di secondi, dubbiosi.
"Sarebbe troppo pericoloso."
"A causa della mia vista?" Quando la Serpe non aveva risposto, Shahrazād aveva capito di aver fatto centro.
Non poteva dargli torto, ma nemmeno ragione. Non voleva rinunciare o tirarsi indietro, ma sarebbe stata una stupida a credersi invincibile.
"Portatemi con voi," aveva insistito la rossa, "posso proteggervi meglio di chiunque altro, questo lo sai, e Sover veglia su di me."
Lo sentiva nell'aria e nella leggerezza dell'atmosfera. Avvertiva che il suo dio era lì, debole ma presente, in ascolto. L'avrebbe aiutata.
"Il problema non è Città dei Santi, piccola volpe." Le aveva accarezzato i capelli morbidi, quasi meravigliandosi che tanto rosso non fosse in grado di bruciarlo.
"Död non è dalla nostra parte," aveva sputato le parole con aria disturbata, mentre le iridi gli venivano lacerate dalla delusione. "Anzi, è considerabile nostra nemica. Se dovessimo trovarci davanti a lei, non potremmo batterla."
"Quindi l'opzione che suggerisci è morire da solo?"
Non le aveva risposto e a lei era sembrato un 'si' non detto. L'unico modo per convincere Styrkur era dargli un'alternativa. Il problema era che Shahrazād non aveva nulla in mente, se non...
"Mi servono delle candele." Si era alzata di scatto, tastando il comodino per cercare qualcosa di utile.
"Candele?" Aveva chiesto la Serpe, confusa.
"Ma certo...candele!" Kyà si era messo alla ricerca un secondo dopo, entusiasta di aver compreso le intenzioni dell'amica. Forse le gambe non erano così male.
"Qualcuno vuole spiegarmi quello che sta succedendo?"
La parte più primitiva e ignorante di lui si era offesa all'idea che Kyà avesse capito l'intento di Shahrazād prima di lui.
Poi l'aveva guardata, si era spostato e aveva incontrato con forza gli occhi lattei di lei. Il fiato gli si era mozzato in gola e il cuore gli si era tuffato nello stomaco, tramutandosi in farfalle.
"Voglio chiedere colloquio ai sette Peccati capitali," aveva annaspato lei, confusa da tutto quello che per mano le passava, "sono certa che se non vorranno aiutare me, lo faranno quanto meno per Sover."
Styrkur aveva annuito, assaporando l'idea della sua piccola volpe. Non sarebbe esistito soprannome migliore, per lei.
"Quali candele ti servono?"
"Per un rituale esatto, avrò bisogno di sette candele di sette colori diversi: viola per la superbia, giallo per l'avarizia, blu per la lussuria e..."
Kyà era stato pronto a intervenire.
"Verde per l'invidia, arancione per la gola, rosso per l'ira e azzurro per l'accidia."
Ma dove avrebbero potuto trovare tutte quelle varianti? Styrkur era certo che a Città dei Santi usassero solo candele bianche.
"Cambierò io colore alla cera," il semi-gatto aveva fatto uno strano cenno con la mano, liquidando i pensieri della Serpe.
Silenzioso, si era unito alla ricerca. A falcate lunghe si era diretto verso il bagno adiacente, dove una vasca in bianca porcellana aspettava solo d'esser riempita.
Davanti, un grande specchio ovale gli aveva mostrato il suo riflesso. La carnagione pallida e gli occhi scavati dall'insonnia, le rughe di preoccupazione che gli invecchiavano il viso. Era un disastro.
Aveva scosso la testa per non pensarci mentre si abbassava a terra, dove si trovava un piccolo armadietto in legno.
Finalmente qualcosa di dissimile al bianco.
Lo aveva aperto, trovando asciugamani di diverse dimensioni e, sul fondo, giaceva quel che stava cercando: candele.
Erano piccole e basse, solo tre si ergevano più in alto delle altre. Ne aveva afferrato una manciata, contandole a mente.
Tre di dimensione ragionevole e quattro più minute. Avrebbero dovuto pensare attentamente per chi usarle.
Era tornato in camera con il passo più veloce di prima e, senza dare spiegazioni, le aveva stese sul letto.
Quindi si era voltato verso Shahrazād, afferrandole la mano per condurla verso il materasso.
"Contale," e lei aveva obbedito.
Sotto le dita, la consistenza fredda e liscia della cera. Gli aveva sorriso con affanno, mostrando due piccole fossette sul mento. Non si sarebbe mai abituata alla pelle del viso che, ridendo, si tirava verso l'alto. Era una sensazione strana, per lei.
"Non abbiamo molto tempo," aveva borbottato Kyà, prendendo le sette candele predestinate. Quindi le aveva poste a terra, nella porzione libera di pavimento. Dovevano formare un pentagono; le punte della forma erano i pilastri dell'incantesimo, le più importanti, per questo aveva scelto di usare le candele più alte e robuste.
Due di loro, però, sarebbero state piccole e deboli mentre le rimanenti le avrebbero poste al centro, come invito più che come invocazione.
Mentre Kyà finiva di disporre l'occorrente, Shahrazād si era messa a pensare. Le candele non sarebbero bastate a invocare i sette Peccati capitali; avrebbero avuto bisogno di sale o di incenso, almeno, ma non possedevano nessuno dei due.
"I fiori..." aveva borbottato lei, illuminandosi, "Styrkur, ho bisogno che tu li raccolga e li leghi insieme, li bruceremo al posto della salvia." E lui aveva obbedito, dirigendosi verso i quattro gambi esanimi.
Dopodiché aveva tastato l'operato di Kyà.
"Le punte saranno per l'ira, l'accidia, la lussuria, la superbia e l'invidia."
Rosso, azzurro, blu, viola e verde. Questi i colori principali. Il peccato di gola e avarizia sarebbero stati inseriti al centro.
L'unica cosa che mancava, a quel punto, era un sacrificio di sangue. Se fossero riusciti nel loro intento, avrebbero avuto sette dei dalla loro parte, o almeno così speravano.
A T T E N Z I O N E
E' da moltissimo che non mi faccio viva e che non aggiorno, penso proprio di essermi arrugginita. Spero che siate rimasti, e vi ringrazio se l'avete fatto! Mi scuso per l'immenso ritardo e vi mando un bacio :)
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