CAPITOLO QUARANTACINQUE

Capitolo Quarantacinque: l'inizio del viaggio.


"La mia mente comprende cose che il mio cuore non è disposto ad accettare." -Zack Grey


Nei passati due giorni, Shahrazād e Styrkur non erano stati in grado di creare quel legame magico che avrebbe connesso le loro menti.

La colpa, se cosipoteva essere definita, andava tutta alla ragazza. Nessuno l'avrebbe mai attaccata, certo, ma era palese che la sua cecità avesse sabotato il rito.

Styrkur aveva incolpato Död, colpevole di aver trasmesso quella tremenda malattia a tutta la prole femminile di Shahrazād.

In qualsiasi caso i tre aveva raggiunto un piccolo traguardo: la Serpe e Kyà erano riusciti a unirsi, seppur con fastidio, e ora c'era quindi un collegamento tra le parti.

Nonostante questo, però, Styrkur era ancora restio a lasciar partire il semi gatto assieme alla propria Scelta.

Prätda aveva cercato di schiarirgli le idee come meglio poteva, tentando di convincerlo.

"Si è proposta di sua spontanea volontà, nessuno la sta costringendo."

Il Falco si era sistemato gli occhiali sul naso dritto, leggermente storto sul ponte, per poi lanciare uno sguardo al fratello minore: Wëskø.

Entrambi non riuscivano più a trovare le parole esatte per consolare l'animo inquieto della Serpe.

Il maggiore sapeva come si stava sentendo e, anzi, l'aveva provato sulla sua stessa pelle.

La differenza principale, tra i due, era che Prätda aveva realmente perso la sua Scelta mentre Styrkur ne aveva semplicemente paura.

Il Lupo si era limitato a giocare con le proprie dite, torturando le pellicine fastidiose fino a sentire il sapore metallico del sangue contro la lingua.

Lui, che mai aveva avuto una compagna, non aveva la minima idea di come fare per consolare il fratello.

In realtà, se ci rifletteva bene, pensava di esser da lui detestato.

Dopotutto aveva reso palese il suo interesse per Shahrazād e quale uomo innamorato sarebbe mai stato contento di avere un rivale?

Wëskø, però, non aveva alcuna intenzione di gareggiare per un amore che, lo sapeva bene, non sarebbe mai stato suo.

Giocare contro il fratello sarebbe stato insensato e l'unico risultato che avrebbe ottenuto sarebbe stato il dissenso della rossa e degli altri fratelli.

La sola opzione era quindi rassegnarsi.

"Quanto manca alla partenza?"

"Un'ora."

Prätda aveva annuito lentamente, toccandosi il mento con l'indice, sovrappensiero.

Era un piano decisamente rischioso, il loro, ma necessario per risolvere l'intero problema.

Dovevano trovare una cura per Seth e annientare una volta per tutte Città dei Santi.

Al Falco non importava granché della Pantera, forse perché ancora accecato dalla morte della sua Scelta, però era d'accordo nel dire che quella cittadina andava distrutta.

Poi si sarebbe ritirato, proprio come Styrkur, e avrebbe raggiunto Cassidea.

La morte, ora, gli pareva solo una vecchia amica da abbracciare e stringere a sé.

Il più grande dei fratelli aveva deciso di lasciare il comando a Wëskø: avrebbe potuto fare della struttura ciò che più voleva, e la stessa cosa sarebbe valsa per gli adepti.

Rimanevano quindi due fratelli ai quali pensare: Terseo e Seth.

Se quest'ultimo fosse guarito, gran parte dei problemi si sarebbero dileguati, ma se così non fosse stato allora Prätda l'avrebbe ucciso.

Gli pareva una soluzione giusta, quasi magnanina, al confronto di quello che gli era accaduto.

La morte non era una punizione ma bensì il contrario, lui si sarebbe assicurato di farlo capire alla Pantera.

Terseo, invece, sarebbe rimasto all'oscuro di tutto per ancora qualche tempo. Gli aveva comunicato l'attacco a Città dei Santi, spacciandolo come una semplice operazione di routine.

Sia lui che Styrkur avevano deciso che dirgli tutto fosse troppo rischioso. Non si fidavano, ecco, e questo avrebbe reso tutto più difficile.

La Serpe si era massaggiato la mascella, esausto.

Negli ultimi giorni aveva dormito circa cinque ore in totale, troppo occupato a escogitare un piano soddisfacente.

La verità era che Styrkur non riusciva a non preoccuparsi.

Era sempre stato un uomo freddo, placido e sadico. Riempirsi la testa di pensieri, di se e di ma non era qualcosa che faceva quotidianamente.

Prendeva gli eventi per come gli si presentavano davanti, agendo solo e se quando necessario.

In quel momento, però, non era di sé che si preoccupava ma bensì di Shahrazād.

Da quando aveva fallito nell’istaurazione del link, l’aveva vista abbattersi. Certo, almeno lui e Kyà erano riusciti a unirsi magicamente.

Avrebbe preferito far entrare lei nella sua mente, piuttosto che quel maledetto gattaccio insolente, ma ormai il dado era stato tratto.

Lei non doveva preoccuparsi, forse non lo faceva nemmeno, perché Styrkur si sarebbe premurato di tagliare la gola a chiunque le si fosse avvicinato.

Un piccolo sorrisetto di soddisfazione gli si era dipinto sul viso, incuriosendo gli altri due fratelli. Non gli avevano chiesto nulla non per buonismo ma bensì per timore che la Serpe potesse esplodere.

Aveva immagazzinato una considerevole quantità di stress e ora dovevano semplicemente tenerlo sotto controllo fino al giorno della battaglia. Solo a quel punto lo avrebbero provocato a dovere, facendolo scattare.

“Quand’è che attaccheremo?” Aveva domandato il minore dei fratelli con lo sguardo verso la finestra, dove il suo giardino fiorito splendeva sotto la luce solare.

Lo aveva sempre trovato più attraente e magnetico di notte.

Prätda si era lasciato scivolare sulla sedia, leccandosi le labbra secche e screpolate.

Aveva pensato a tutto, o almeno così sperava, ma più domande gli facevano e più dubbi gli sorgevano.

“Appena Shahrazād troverà la cura per Seth.”

Sarebbe stato Kyà a dare il segnale, contattando Styrkur tramite il nuovo legame che avevano instaurato. A quel punto li avrebbero raggiunti e Città dei Santi sarebbe caduta, proprio come tutte le altre cittadine.

Era impossibile perdere ed era imperativo vincere.

“Sei consapevole che una cura potrebbe non esistere, giusto?” La voce del Lupo si era alzata di poco, esprimendo tutto il suo sconcerto. Se un simile antidoto non fosse esistito, cosa avrebbero fatto?

Ovviamente avrebbero attaccato ugualmente, ma che farne di Seth? Non poteva lasciare che Pratda lo uccidesse, non dopo averlo visto in uno stato tanto misero.

Era suo fratello, volente o nolente, e condividevano lo stesso sangue.

Certo, tra i Quattro, ora divenuti cinque, il legame familiare non era altro che una scusa per mantenere una pacifica convivenza. Si volevano bene, in un certo senso, ma se fosse servito non avrebbero esitato a puntarsi a vicenda un coltello alla gola.

Wëskø, forse per la sua natura buona, non se ne capacitava.

“Non credo che tu voglia davvero sentire la mia risposta, fratello.”

Gli occhi del Falco si erano assottigliati, severi, nell’osservare il viso candido del minore. Non gli importava d’esser considerato un mostro, non quando il corpo martoriato di Cassidea lo perseguitava nei sogni.

Era stato creato, in principio, per uccidere, così come tutti i suoi fratelli.

Si erano reincarnati per anni solo per poter servire le madri, Död e Liv, ma ora se ne sentiva stanco. Quella non era un’esistenza degna d’esser condotta, non da solo per lo meno.

Ora gli era rimasta solo quella tremenda fame di vendetta e oh, non vedeva l’ora di saziarla.

**

Shahrazād si era fatta aiutare da Styrkur per riempire una piccola sacca con dei viveri.

Non poteva di certo recarsi a Città dei Santi con una valigia enorme, prima di tutto perché la sua immagine di fuggitiva sarebbe stata rovinata e perché, in secondo luogo, non avrebbe saputo come gestirla.

Vedere solo ombre scure, opache e indefinite non l’avrebbe aiutata. Per qualche minuto era rimasta in religioso silenzio, contemplando il proprio futuro.

Se non altro, si era detta la ragazza, sapeva come salvare Sover e, dopo l’incontro con Wëskø, aveva capito a chi affidare il segreto della formula.

Certo, il ragazzo non sarebbe stato in grado di usarla, non senza una forte preparazione, ma almeno l’avrebbe posseduta.

Da lì in poi sarebbe stato compito suo continuare a spargere la parola, facendo sì che Sover rimanesse in vita.

Styrkur le aveva afferrato la mano con tranquillità, strofinando il pollice sul dorso caldo di lei. Cercava di rassicurarla quando, ironicamente, erano le sue dita a tremare.

Shahrazād aveva ricambiato la stretta, questa volta con un pizzico di emozione, mentre si portava la mano di lui verso le labbra. Gliela aveva baciata, quindi, sorridendogli.

I suoi occhi, puntati verso la fronte dell’uomo, erano stati percorsi da un minuscolo tremore mentre la luce glieli infuocava. Una mescolanza di bianco e grigio, ecco cosa nascondevano le iridi pallide della rossa.

Styrkur aveva avvertito il desiderio di riempirgliele di colori, di dipingergliele come fossero due tele spoglie, ma presto si era contraddetto.

Lei era speciale per il suo non essere, per la pacatezza e la neutralità della sua anima e ora, riempita di emozioni e ricordi lontani, pareva essere nel pieno di una metamorfosi.

La Serpe era grata di saperla più umana, più comprensiva verso le emozioni proprie e altrui, ma forse lo era sempre stata.

“Non permetterò che ti accada nulla,” aveva bisbigliato lui, baciandole il lobo dell’orecchio per poi aiutarla a issarsi in spalla la sacca.

Lei aveva sorriso e, quasi senza riflettere, gli aveva creduto.

Era una fiducia completa e assoluta che non poteva essere infranta.

Non aveva bisogno di sperare perché credeva fermamente nell’uomo che aveva davanti, nell’assassino e nel semi-umano che le stringeva le mani e le baciava le tempie.

Styrkur era per lei un dio e viceversa, nessuno dei due avrebbe mai considerato l’altro come inferiore. Condividevano un rapporto paritario nel quale di pari vi era ben poco.

Con una mano sulla schiena, la Serpe l’aveva condotta verso la porta e giù per le scale. Shahrazād ricordava la strada, il cambiamento del terreno sotto ai piedi e le insenature nelle pareti, gli angoli smussati e gli odori delle stanze a lei vicine.

Non aveva bisogno di esser guidata eppure era certa che senza la mano di Styrkur contro la pelle, senza quel brivido freddo che la sua pelle le trasmetteva, si sarebbe persa.

Lui, al tempo stesso, non la stava aiutando per sentirsi utile o capace ma bensì per servirla.

L’avrebbe condotta in cima al mondo e poi giù negli inferi, se solo glielo avesse chiesto.

La giovane donna aveva sentito il fruscio del vento bloccarsi sulle vetrate e stridere contro i muri mentre un soffice odore di neve le si intrufolava nelle narici.

Immediatamente l’aveva associato a quel delicato odore di freddo e fiori che solo Wëskø poteva emanare.

Styrkur, a differenza sua, possedeva un odore più acre che, senza troppe cerimonie, faceva pensare al sangue.

Era pungente e amaro, ma gli apparteneva.

“Ciao.” Il Lupo aveva mosso un passo in avanti e poi uno verso destra, facendo sì di incontrare lo sguardo cereo della ragazza.

Non importava se non poteva vederlo, lui ricercava quel macabro brivido che solo la connessione dei loro occhi poteva dargli.

Non era sua, non lo era mai stata, ma lui si sarebbe donato a lei anche senza sentirselo chiedere.

Era una devozione che nemmeno per le madri aveva mai percepito ma, ahimè, non glielo avrebbe mai rivelato.

“I semi che hai piantato,” aveva iniziato lui, sorridendo, “stanno iniziando a germogliare.”

Shahrazād aveva sorriso, annuendo lentamente.

“Allora dovrò tornare in tempo per sentirli fiorire.”

Sentirli, non vederli.

Avrebbe calato le mani sulla terra e le sue unghie avrebbero perforato le zolle per sentire la morbidezza del terreno.

Quindi avrebbero annusato l’aria per captare qualche nuovo profumo e imprigionarlo nelle sue membra, ricordandolo per sempre.

Wëskø, allora, le avrebbe dettagliatamente descritto la forma e il colore di ogni petalo.

A quel punto, e solo a quel punto, sarebbe stata in grado di vederli.

Styrkur aveva fatto sgusciare il braccio attorno la vita di Shahrazād, stringendole il fianco con la mano.

Sotto le dita aveva avvertito la carne di lei modellarsi contro le sue falangi, malleabile e adattabile solo al suo tocco.

Suo e di nessun altro.

Era pervaso da una gelosia morbosa, quasi ossessione, che mascherava quasi perfettamente.

Lei non poteva vedere il tremare dei suoi occhi, l’incupirsi dei suoi tratti e il sadico ghigno che gli incorniciava il viso ogni qual volta qualcuno le si avvicinava.

Tener nascosta questa parte di sé, quindi, era facile ma solo con lei.

Coloro che potevano vederlo, studiarlo da vicino, erano pienamente consapevoli di quanto la Serpe odiasse le interazioni tra Shahrazād e gli altri.

Non importava che fossero maschi o femmine, lui se ne sentiva comunque disturbato. Ma non le avrebbe mai impedito di far nulla perché l’amava più di quanto amava sé stesso.

Si sarebbe lasciato corrodere e divorare da quella bestia gelosa e ossessiva che gli sussurrava teorie su ipotetici tradimenti solo per non limitare o ferire la ragazza che lo affiancava.

Eventualmente quella parte insicura di lui sarebbe sparita e, a quel punto, sarebbe stato in grado di vederla approcciarsi ad altre persone senza il costante timore di non vederla tornare.

Shahrazād, però, non era stupida e anzi aveva passato la sua intera vita a studiare gli altri, anche se senza vista.

Riconosceva il tremare delle mani di Styrkur, il suo avvicinarsi morboso e il quasi impercettibile grugnito che gli scuoteva il petto.

Si era appoggiata al busto di lui, sentendo la temperatura fredda della Serpe fondersi con quella calda che lei stessa emanava.

Il mento dell’uomo si era infossato nella sua spalla, segnalandole che s’era piegato in avanti, mentre le sue mani le stringevano i fianchi.

Shahrazād aveva avvertito le unghie di lui graffiarle la pelle, stabilendosi sotto il suo ombelico, lateralmente. Era stata percorsa da un brivido freddo, piacevole, mentre lo stomaco le si arrotolava su se stesso.

Quando lui le si era spinto contro era arrivata una sensazione di puro calore poco sotto il pube e, imbarazzata, aveva abbassato la testa.

Aveva sentito Styrkur ridacchiare vicino al suo orecchio e poi rumore di passi, di piedi che si allontanano.

Wëskø se ne era appena andato, sentendosi fuori luogo e irritato al tempo stesso, e l’unica cosa alla quale Shahrazād riusciva a pensare era la sensazione di calore che le si stava diffondendo in tutto il corpo.

Qualche ora o minuto dopo si sarebbe certamente sentita in colpa, ma ora la presenza della Serpe le aveva completamente intossicato il cervello e le membra.

Non percepiva altro che lui.

Non era consapevole di che espressione divina gli stesse rivolgendo, di quanto i suoi occhi fossero spalancati e del modo in cui le sue guance si fossero tinte di rosa.

Styrkur le aveva guardato le labbra socchiuse, pallide come tutto il resto della sua pelle, e aveva desiderato rendergliele cremisi e doloranti.

“Non andare.” Le aveva baciato la guancia, mordendogliela per poi lambirle la pelle con la lingua biforcuta.

Forse era l’unico tentativo che gli rimaneva, l’ultima volta in cui poteva ancora sperare di convincerla a rimanere lì, con lui.

Avrebbero trovato un altro modo per guarire Seth e, in qualsiasi caso, sarebbero stati in grado di distruggere Città dei Santi.

Quindi perché partire? Non sarebbe stato più conveniente rimanere lì, con lui, e aspettare che tutto finisse?

“Mio padre è lì, non posso lasciarlo da solo.”

Aveva riportato a galla il ricordo delle carezze paterne, di tutte quelle deboli rassicurazioni che mai aveva cessato di rivolgerle.

Amava suo padre e, nonostante non fosse legata alla madre, avrebbe cercato entrambi i genitori.

Se avesse lasciato i Quattro a distruggere Città dei Santi, poi, sicuramente si sarebbe perso un eventuale antidoto.

Voleva aiutare Seth, forse perché impietosita dalla storia d’amore che la prima Pantera aveva avuto con una sua ava, o semplicemente per restituirgli quel pezzo di vita che gli era stato strappato.

Styrkur aveva nuovamente perso e quindi, un po' sottotono, le aveva preso la mano per condurla verso la porta d'uscita.

Insistere non avrebbe sortito alcun effetto e quindi tanto valeva assecondarla. Non voleva forzare le sue idee su di lei ma, al tempo stesso, non si capacitava del perché Shahrazād ci tenesse così tanto ad andarsene.

Una vocina gli aveva sussurrato che era tutta una scusa per andarsene, per lasciarlo indietro, ma presto l'aveva messa a tacere.

A qualche metro di distanza aveva visto Kyà conversate con il Lupo e il Falco, forse intenti a ripercorrere passo per passo il piano.

All'appello mancava solo Terseo, probabilmente nelle sue stanze, al quale avrebbero confidato solo l'obbiettivo di distruggere Città dei Santi.

Potevano farcela, dovevano farcela.

"Ah, finalmente siete arrivati," aveva borbottato il semi-gatto, incrociando le braccia sottile contro il petto, "pensavo ti fossi nascosto sotto un sasso, anche se efettivamente non siamo ancora in estate."

Sia Wëskø che Prätda avevano ghignato, divertiti dall'antagonismo dei due, mentre Styrkur mostrava la lingua biforcuta.

"Di solito preferisco mangiare gli animali più piccoli, ma per te farò un'eccezione."

Si era allungato verso l'altro, vedendolo sobbalzare e arretrare verso il Lupo.

Forse, anche grazie allo scorrere del tempo, i due stavano assumendo un comportamento quasi amichevole.

Shahrazād aveva sorriso, pizzicando il fianco del compagno per farlo tacere. In risposta aveva ricevuto un sobbalzo e una risatina di scherno da parte di Kyà.

Il Falco le si era avvicinato lentamente, lo aveva sentito grazie allo spostamento d'aria e al profumo che emanava.

Quindi aveva poggiato la mano sulla sua spalla, dandole una veloce pacca.

"Fai buon viaggio."

Non aveva detto altro eppure le era parso comprensivo, quasi dispiaciuto. Aveva sorriso anche se non completamente, annuendo.

Provava tristezza per ciò che l'uomo aveva dovuto soffrire, ma non glielo disse. Era certa che l'avrebbe presa come un'offesa.

"A presto," era stato il turno del Lupo che, con un piccolo inchino, le aveva rivolto uno sguardo tenero.

Shahrazād non lo sapeva ma le iridi dell'uomo, chiare quasi quanto le sue, s'erano riempite di malinconia.

"A presto." Gli aveva sfiorato la guancia nell'abbracciarlo, lasciandogli qualche lieve carezza sulla schiena.

Wëskø era certo che avrebbe avvertito quella sensazione per ore, imprimendosela a fuoco nella mente.

Quindi era arrivato il turno di Stykur che, con una nota di fastidio nello sguardo, le aveva baciato le labbra.

"Mi mancherai, piccola volpe."

Era l'ora di partire.

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