CAPITOLO DODICI

Capitolo dodici: Richiesta d'aiuto.

"Parlava spesso del passato, come se volesse recuperare qualcosa." - Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby.

A Vårdande tremavano le mani mentre, con sguardo rassegnato, guardava Kyà.
Stava invecchiando, il che era un processo incontrollabile. Non aveva più l'agilità di ragazza, ma la vecchiaia le aveva regalato una certa saggezza a lei piacevole.

"Perchè hai aiutato quell'umana?" Kyà non era arrabbiato, soltanto confuso dal cambio di comportamento della cartomante. Non aiutava spesso gli umani, consigliarli non era suo compito.

Eppure, per la prima volta dopo decenni, aveva fatto un'eccezione.

"Ha sofferto abbastanza, non credi?" Vårdande provava pena per la giovane, sin dalla prima volta in cui l'aveva vista da bambina.

Non meritava di vivere tra le angherie dei Quattro, ne di far parte del loro piano malato. No, Vårdande non avrebbe accettato uno scherzo del destino come quello. Non importava se le Dee l'avrebbero punita, ormai si era decisa.

"E cosa vuoi fare, vecchia impietosita? Ormai Styrkur l'ha scelta, e la ragazza non sembra esserne particolarmente addolorata." Kyà odiava quel posto, ogni momento in più che passavano lì lo rendeva incline alla rabbia.

Era sempre stato un gatto piuttosto incattivito, qualsiasi altra cartomante se ne sarebbe liberata, ma non Vårdande.

"La ragazza non si addolora di nulla, mio fidato amico. Devo ricordati che è un'accidiosa? Dobbiamo aiutarla prima che la trasformino in un assassina o, peggio, in una martire."

Riusciva ad immaginare la scena, sentendo lunghi e freddi brividi percorrerle la schiena. Accese quindi un bastoncino d'incenso, lasciando che purificasse l'aria, facendo rilassare il piccolo corpo snello di Kyá.

Erano passati tre giorni da quando si trovava lì, e ancora non aveva aperto una seduta con le Dee. Si era procurata però tutto quello che le serviva: fiori di loto, rosmarino, sale rosa ed una fialetta contenente il sangue di tutti i quattro figli delle Dee.

Doveva solo far essiccare il rosmarino e ridurre il sale rosa in granelli simili alla sabbia. Solo allora avrebbe potuto creare un vero e proprio colloquio con le Dee.

Le carte le sarebbero servite, certo, ma richiedevano doti più importanti della lettura delle carte.
Una parte di lei era curiosa di capite cosa avessero le Dee e cosa ne pensassero di tutta quell'assurda situazione.

"Aiutarla, dici tu. Come possiamo? Styrkur non è esattamente un uomo calmo e ragionevole, è furbo e calcolatore. Quando capirà le tue, le nostre, intenzioni ci caccerà."

Vårdande era rimasta in silenzio per un lungo momento, soppesando le parole del gatto. Conosceva bene Styrkur, e sapeva che le parole di Kyá erano sensate.

Il viso della ragazza le era però apparso in sogni in quei giorni, un volto stravolto da dolore, sporco e insanguinato, con cicatrici pronte a formarsi sul volto tumefatto.

Era questo che l'aspettava?

"Allora dobbiamo agire prima che lo capisca."
Aveva quindi sorriso, accennando un occhiolino a Kyá il quale l'aveva osservata con incredulità.

Vårdande aveva quindi iniziato velocemente a tritare il sale, riducendolo a granelli ancora più piccoli, con entusiasmo bizzarro.

"Cosa pensi di fare?" Se Kyá fosse stato umano, avrebbe avuto un'espressione confusa e frustrata.

"Voglio che lei partecipi all'incontro con le Dee, voglio che le mostrino qualcosa. Qualcosa di talmente sconvolgente da smuovere il suo animo placido."

Avrebbe aiutato la ragazza.

Erano passate tre settimane da quando il soggiorno di Shahrazād nella casa di Styrkur aveva avuto inizio, ed ormai riusciva ad orientarsi piuttosto bene.

Arrivare al giardino era stato quindi relativamente facile, le era bastato tastare bene i muri e nel giro di cinque minuti era arrivata a destinazione.

Shahrazād aveva dormito poco quella notte, tormentata da sogni in cui suo padre la cercava, urlando il suo nome sino a perdere la voce. L'aveva immaginato piangere con le ginocchia premute a terra, la testa tra le mani e gli occhi rossi.

Strano come riuscisse a vedere solo nei sogni.

Si era comunque sentita giù di morale, portandosi addosso una certa tristezza nel modo in cui camminava, in cui la sua mano sfiorava gli oggetti.

Shahrazād era la personificazione della tristezza, in quel momento. Si aggirava per il giardino come un fantasma, la veste bianca le scivolava addosso rendendo l'immagine ancora più pietosa e difficile da guardare.

Si era rifiutata di farsi acconciare i capelli da Nora, sfuggendole velocemente. Non aveva la voglia di intraprendere una conversazione, la cosa la infastidiva.

Shahrazād aveva quindi deciso di sedersi dinnanzi ai girasoli, riconoscendone l'odore, in totale silenzio.
Era rimasta li per svariati minuti, perdendo la cognizione del tempo.

Nora era rimasta confusa dal comportamento della sua nuova trovata amica, l'aveva avuta vicina per meno di cinque minuti. Giusto il tempo per vederla infilarsi un vestito bianco ed aprire la porta, sussurrando un veloce 'non seguirmi'.

Aveva fatto come le era stato ordinato, non come sottoposta ma come amica. Si sentiva comunque in pena, non aveva potuto non notare le occhiaie di Shahrazād o il suo colorito pallido.

Aveva le unghie consumate, di chi se l'è torturate per ore, i capelli arruffati e gli occhi gonfi. Pareva una fuggitiva scampata alla morte, che era in parte quello che Shahrazād era.

Ma nel contesto nuovo in cui si trovava si presupponeva che Shahrazād fosse pulita, ordinata, composta e felice.

Nora si era portata una mano tra i capelli, riuscendo a vedere dalla finestra Shahrazād che, seduta in mezzo ai fiori, guardava il vuoto.

L'ansia la stava logorando, non sapeva che fare. Non voleva adirare l'amica andandole incontro, e al contempo stesso non voleva lasciarla sola.

Nella mente un'idea era lampeggiata sopra alle altre, facendo aprire Nora in un sorriso. Si era quindi precipitata fuori dalla camera, affrettandosi per i corridoi.

In lontananza aveva avvistato l'oggetto dei suoi pensieri, l'unico dei Quattro non impegnato a quell'ora del mattino: Styrkur.

Quest'ultimo sedeva comodamente nel soggiorno, un libro poggiato sulla gamba accavallata e lo sguardo brillante d'interesse. Nora era sicura che l'avesse sentita arrivare, con il respiro leggermente affannato ed i passi pesanti era impossibile non notarla.

Non appena gli era giunta davanti aveva abbassato lo sguardo, prendendo due grandi respiri per calmarsi.

"Va tutto bene?" Le aveva domandato Styrkur, corrucciato mentre chiudeva il suo libro.

Nora aveva annuito con decisione, continuando ad evitare il suo sguardo.

"Oh signore, mi dispiace interrompere la sua lettura. Ma ecco, vede, la signorina è fuori da sola e, si insomma, penso stia male. Mi ha detto di non seguirla ma, oh sembra star cosí male!
E lei pare essere in buoni rapporti con la signorina, la prego di controllare come sta al posto mio."

Vi era stato un attimo di profondo silenzio tra i due.
Nora si era data della stupida, avrebbe dovuto formulare meglio la domanda!

Styrkur si era quindi alzato, infilando le mani nelle tasche e guardando verso la porta d'uscita. Si sentiva il petto pesante, forse occupato dall'ansia che le parole di Nora avevano scaturito.

"Va bene, ma non farne parola con nessuno." Styrkur si era abbassato davanti a Nora, puntando gli occhi da serpente in quelli della giovane cameriera.

Non era uno sguardo dolce o rassicurante, tutt'altro. Nora si era sentita raggelare dalla tensione e dalla paura, non aveva mai incontrato sguardo così freddo.

"Mi hai capito?" Aveva continuato Styrkur, sorridendo per mettere in mostra i denti bianchissimi.

Nora aveva quindi annuito, venendo lasciata nuovamente sola.

Era però sollevata per Shahrazād, e allo stesso tempo continuava a chiedersi quanti altri segreti avrebbe dovuto portare con se.

Styrkur non l'avrebbe mai ammesso ma, mentre raggiungeva Shahrazād, inconsapevolmente si era messo quasi a correre per raggiungerla nel minor tempo possibile.

Non era riuscito a spiegarlo nemmeno a se stesso, e aveva preferito non pensarci troppo.

Provava affetto per la ragazza, forse ingiustificato ma totalmente vero. Un affetto diverso, ad esempio, di quello che Nora provava per Shahrazād.

Eppure la conosceva da poco!
Forse era solo estraneo a quel sentimento cosí umano da non distinguerne le fattezze e quindi da non comprenderlo.

Era arrivato in giardino in pochi secondi, sfruttando la velocità da serpe che possedeva. E poi l'aveva vista.

Stava seduta, come quando era arrivata, la testa appoggiata al muro dietro di lei, verso l'alto, completamente baciata da sole mentre schiudeva le labbra a ritmo.

Fini scie trasparenti le solcavano morbidamente le guance, atterrando tra le labbra e sul collo con lentezza asfissiante.

Stava piangendo.

Styrkur aveva arrestato la sua corsa, sconvolto nell'animo nel vedere quella creatura cosí apparentemente insensibile piangere.

Cosa le era successo?

La domanda aveva continuato a girargli per la testa, ed improvvisamente non sapeva più se fosse lecito avvicinarsi o meno.

Shahrazād stava avendo un momento che Styrkur avrebbe definito intimo, e non sapeva se lei avrebbe apprezzato la sua presenza o meno.

Aveva comunque sia mosso altri passi in avanti, sino a sedersi accanto a lei. Sapeva che l'aveva riconosciuto, avvertendolo dall'odore e dallo spostamento d'aria.

Non le aveva detto nulla, lasciando che piangesse.

"Ho bisogno del tuo aiuto," le parole erano uscite come singhiozzi dalle labbra di Shahrazād mentre tentava di respirare lentamente.

Era stato difficile ammetterlo, ma era stata costretta a farlo.

Styrkur aveva trattenuto il respiro, ponderando bene la risposta da darle.

"Cosa posso fare per te?" Non si era pentito della risposta perchè nel profondo voleva davvero far sparire quelle lacrime.

Un assassino che provava a far sorridere una donna, quale ironia!

Shahrazād non sapeva come formulare la frase, in realtà non sapeva nemmeno se fosse opportuno rivelargli della pena che provava per i suoi genitori miracolosamente scampati all'attacco.

Avrebbe dovuto dirglielo? Li avrebbe uccisi?

Erano queste le domande di Shahrazād. Eppure voleva dirglielo, le serviva il suo aiuto.

"Ricordi quando attaccasti Città dei Peccatori?"

Styrkur aveva annuito lentamente, gli occhi ridotti a due fessure mentre tentava di capire cosa Shahrazād volesse dirgli.

"I miei genitori non erano lì, e sono sicura che siano sopravvissuti. Ti prego: aiutami a trovarli." Aveva riassunto tutto nel minor tempo possibile, pregando che Styrkur non si adirasse.

Quest ultimo, comunque sia, era rimasto calmo a scrutare il sole. Non aveva mai pensato che Shahrazād potesse avere degli affetti, quindi il pensiero non l'aveva mai sfiorato.

Non sapeva come sentirsi, una parte di lui era delusa da se stesso per non aver completato al cento per cento la missione, l'altra era invece grata di non aver strappato a Shahrazād i suoi genitori.

Ora che sapeva che erano vivi cosa avrebbe fatto? La sua piccola volpe era in pena e lui odiava vedere il volto di lei così sofferente. Voleva aiutarla, voleva davvero fare qualcosa per lei ma al contempo stesso non poteva andare contro ai suoi fratelli.

"Dove pensi che siano?" Le aveva domandato Styrkur, sporgendosi verso di lei per accarezzarle i capelli in segno di conforto. Non voleva spaventarla o agitarla ancora di più, forse era lui il più agitato tra i due.

"Non lo so." Ed era vero, Shahrazād non aveva idea di dove potessero essere. Non era mai uscita da Città dei Peccatori e quindi non sapeva cosa ci fosse nelle vicinanze.

Styrkur era rimasto in religioso silenzio per molto tempo, riflettendo su cosa dire o su come agire. La verità è che non ne aveva idea nemmeno lui.

Aveva però continuato ad accarezzarle i capelli, massaggiandole la testa con delicatezza e premura. Nel giardino erano passati degli adepti, sorprendendosi di ciò che stavano vedendo.

La Serpe che coccolava una ragazza? L'idea era oltre modo sbagliata e inverosimile perchè c'era da tenere sempre in mente che Styrkur era, a tutti gli effetti, un assassino.

Un assassino spietato, schietto e senza rimorsi. Come poteva quindi tramutarsi in un'essere cosí dolce con Shahrazād?

Gli adepti si erano allontanati velocemente, bisbigliando tra di loro.

"Farò ciò che posso, piccola volpe. Ma non ti prometto nulla," sarebbe stato un'egoista a farlo, o semplicemente un bugiardo.

Shahrazād aveva lasciato che le ultime lacrime le solcassero le guance, tirando su con il naso ormai rosso per tirare un sospiro di sollievo.

"Raccontami dei tuoi genitori," le aveva chiesto Styrkur, facendole poggiare la testa sulle sue gambe per accarezzarle meglio il volto.

Shahrazād aveva accettato il gesto senza troppo storie, confortata in parte da quell'affetto che poche volte aveva ricevuto.

"Mio padre è un uomo gentile nonostante faccia parte degli Invidiosi. Ha sempre amato però gli animali, quando ero ancora una bambina mi portava con lui a vederli. Devi sapere che c'è un boschetto vicino Città dei Peccatori, con pochi animali quali i serpenti ed i cerbiatti.

Una volta, quando la mia maledizione non era ancora in stadio avanzato, ne vidi uno e, oh, me ne innamorai! Pareva cosí fragile e solo, con le zampe mingherline e gli occhi grandi. Ricordo ancora il suo manto."

Shahrazād aveva sospirato, ricordando il cervo.
Dopotutto aveva solo quello: i ricordi.

Styrkur aveva sorriso, lasciandosi scuotere il petto da una breve risata. "Da come lo descrivi sembra te." Le aveva pizzicato il naso, facendole roteare gli occhi.

"Mio padre veniva a farmi visita tutti i giorni per assicurarsi che mangiassi, alle volte rubava qualche tozzo di pane alla sua struttura per portarmelo. Mia madre era contraria, perchè chi lascia la struttura deve cavarsela da solo. Ed io l'avevo abbandonata, quindi non dovevo essere un peso per gli Invidiosi."

Shahrazād non provava rancore per la madre, affatto.
Ma Styrkur iniziava a provarne.

Aveva trattenuto un grugnito, lasciando che le sue mani si stringessero un po' di più contro il volto di Shahrazād.

"Mia madre è sempre stata una donna dura, è semplicemente il suo carattere. Ma so che per me ha fatto dei gesti d'affetto. Quando ero piccola risparmiava i soldi per comprarmi delle medicine, cosí le chiamavano, per i miei occhi. È grazie a lei e a quei farmaci se ora riesco a vedere le ombre."

Shahrazād non avrebbe mai ammesso che, in realtà, la madre gliele aveva comperate per liberarsi dell'imbarazzo d'avere una figlia malata.

Styrkur aveva abbassato la testa, facendo sfiorare i loro nasi. Gli occhi della rossa si erano mossi freneticamente verso l'alto, cercando di puntarli in quelli di Styrkur.

Non ci era riuscita, ma La Serpe non l'aveva accettato. Si era quindi spostato lui, facendo sì che i loro occhi si incontrassero.

Voleva che lei lo guardasse, che l'avvertisse.

"Riesci a vedere il profilo del mio viso?" L'aveva detto con voce leggera, quasi in un sussurro, senza nemmeno rendersene conto.

Shahrazād aveva deglutito, sbarrando gli occhi.

"Riesco a vedere il colore dei tuoi occhi, ma solo a tratti." Se ne era stupita a sua volta, era grazie a tutto quel Sole se ora riusciva a vedere quel lieve color giallognolo che impregnava le iridi di Styrkur.

Quest ultimo se ne era compiaciuto, ghignando fino al punto di far fuoriuscire i suoi canini affilati.

"Mi piacciono." Aveva continuato Shahrazād, borbottando.

Styrkur non aveva parole di risposta, non sapeva che dire.

Shahrazād, invece, era rimasta pietrificata dalle sue stesse parole. Cosa le stava accadendo? Era una Stanca, non avrebbe dovuto sentire nulla se non noia. Ed ora eccola lì, tra le braccia di un assassino a piangere e a dirgli quanto gli piacessero i suoi occhi.

Stava forse perdendo il senno? Non era così che doveva andare, non era così che si doveva sentire. Ma cosa poteva fare a riguardo?

Nulla.

Shahrazād si stava perdendo e Styrkur non aveva intenzione di farla tornare la Stanca di una volta.

Si sarebbero persi insieme, e questo andava bene ad entrambi.

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