8. Il gioco di Jon
Jon la guardò come se avesse appena bestemmiato.
Colse il luccichio degli occhi cerulei di Sarah; avrebbe giurato che stesse per scoppiare a piangere. Forse, rifletté, la situazione che stava subendo le provocava davvero una sofferenza e forse lui era stato troppo impulsivo nell'avere una reazione tanto violenta. Ma non poteva essere altrimenti. Jon non poteva dire di odiarla. Anzi, in passato l'aveva considerata un individuo addirittura carismatico, un esemplare femminile talmente bello che sarebbe potuto passar sopra al suo essere tanto spavalda e strafottente. Ma supplicarlo di prenderla in moglie... quello superava di gran lunga qualunque dote di raziocinio che era certo lei possedesse. Non poteva e non doveva parlare sul serio.
Quando si fu calmato, lasciò la presa sulle sue spalle esili e incrociò le braccia al petto.
—Misericordia, Sarah, non potete davvero credere a quello che avete appena detto.
La vide impallidire rapidamente, come se si fosse appena resa conto di aver pronunciato una blasfemia. Tuttavia, quando parlò, sembrava ancora intenzionata ad andare a fondo alla questione.
—So che quanto vi sto chiedendo è fuori luogo, oltre che terribilmente assurdo— mormorò con le lacrime agli occhi, —ma vi giuro, Jon, che non sono mai stata più seria in tutta la mia vita.
Quella fu la prima volta, dopo tanti anni, che lui la sentì pronunciare il suo nome. Gli provocò uno strano effetto. Quasi piacere, avrebbe potuto ammettere, ma non andava bene. Sarah Ashton non poteva sparire per nove anni e poi ripresentarsi a casa sua chiedendogli aiuto come se ne avesse tutto il diritto. E poi, Jon aveva cose ben più urgenti per la testa. Eppure...
Non poteva fare a meno di guardarla con dolcezza, come se lei fosse un agnellino che aveva bisogno di essere protetto da una fine tragica. Sperò che Sarah non si accorgesse del modo in cui la stava guardando, perché avrebbe determinato la sua rovina e lui non voleva proprio essere sopraffatto dalla sua strafottenza come aveva fatto quando era solo un ragazzo. Adesso era un uomo, e anche se Sarah Ashton era una creatura bella ed elegante, non le avrebbe permesso di catturarlo nella sua rete.
—Voi non avete la minima idea di quello che mi state chiedendo.
—Ce l'ho eccome, Jon— replicò Sarah con un sospiro deciso. Di nuovo, sollevò il mento e quella era una dimostrazione che negli anni non era affatto cambiata. Cercava ancora di guardare tutti dall'alto in basso, con l'unica differenza che non poteva più concretamente. Jon la superava in altezza di almeno venti centimetri e adesso aveva tutte le intenzioni di dimostrarle che non poteva più schiacciarlo come aveva fatto tanto tempo prima.
Lei, in camicia da notte, a piedi nudi, con i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle e quegli occhi profondi, non lo avrebbe mai tentato. Le cose si sarebbero capovolte. Sarah Ashton gli stava chiedendo aiuto, e lui sapeva bene di non corrispondere ai suoi gusti, perciò quel matrimonio di cui tanto farneticava era solo un modo per proteggersi da qualcosa che non aveva ancora ben compreso. E quella volta, finalmente, si sarebbe preso la sua rivincita.
—Molto bene— disse cercando di mostrarsi il più rilassato possibile. Tornò a sedersi lasciandola in piedi a seguire i suoi movimenti; Sarah respirava affannosamente come se già non sopportasse più la situazione. Tanto meglio, rifletté lui, sarebbe stato ancora più eccitante ripagarla con la stessa moneta.
—Jon, vi prego— riprese lei tentando di avvicinarglisi, ma trovò il passo sbarrato dalla lunga gamba dell'uomo che le impedì di raggiungerlo.
—Restate dove siete— le ordinò. Notò l'espressione perplessa della giovane e quella fu la prima battaglia che vinse. Lei gli stava obbedendo. Rimase ferma, in piedi davanti a lui con le braccia cadenti lungo i fianchi. Sembrava così ingenua in quella posizione che quasi gli mancò il fiato, ma Jon sapeva perfettamente che lei non era più una bambina e che poteva guardarlo con quell'espressione amareggiata quanto volesse e lui non si sarebbe piegato. Chi non lo sapeva ancora, era Sarah.
—Dunque, voi mi state chiedendo di sposarvi.
Sarah annuì determinata.
—Posso ammettere, Sarah, che la vostra proposta mi lusinga davvero dal momento che nove anni fa mi avevate espressamente detto che non avrei mai e poi mai avuto la possibilità di sposare voi.
Quell'accusa la colse direttamente in fallo, e lui dovette ricorrere a tutta la propria volontà per non farsi scappare un sorriso.
Sarah cominciò a torturarsi le mani, un segno che era chiaramente nervosa e forse riconosceva le sue colpe. Non gli importò. Avrebbe avuto quanto si meritava.
—Suppongo che la vostra opinione in merito, in particolare nei miei confronti, sia mutata. È così?
—Non capisco a cosa vi stiate riferendo— fu la risposta esitante di lei. —Ero una bambina, non sapevo realmente quello che dicevo.
—Vi sto chiedendo— la interruppe lui con un gesto spazientito della mano. —Se in questo momento, davanti a me, mi trovate attraente, Sarah.
Le guance di Sarah ripresero immediatamente colore. Jon sapeva perfettamente che non avrebbe risposto affermativamente nemmeno se l'avessero ammanettata e, sotto tortura, costretta a rivelarlo. Ma quel gioco a lui cominciava a piacere. Era l'espressione della ragazza che lo spingeva a continuare. Non si sarebbe mai abbassata ad ammettere di essersi ricreduta su quel giovane ragazzo tanto trasandato e non meritevole di attenzione di tanti anni prima. Per i primi undici anni della sua vita l'aveva conosciuta, e poteva scommettere che la sua indole fosse rimasta la stessa. Lui, invece, era cambiato.
—Mi trovate attraente?— ripeté inclinando il collo in una chiara espressione di sornioneria.
Sarah lo fissò a lungo senza parlare. Forse, pensò lui, stava meditando sulla sua risposta. Magari era convinta che da quello che avrebbe risposto sarebbe dipeso il suo acconsentire al matrimonio o meno, ma non era quello il piano di Jon. L'avrebbe piegata prima di risponderle che no, non sarebbe mai diventato suo marito.
—Non credo che questo abbia a che fare con la mia richiesta, Jon— gli rispose alla fine mordendosi un labbro. Quel quasi effimero gesto gli provocò un'altra scarica di adrenalina che Jon fu costretto a mettere a tacere. Gli piaceva che si mordesse il labbro quasi senza accorgersene; era un gesto tanto sensuale quanto incauto. Certo che lo trovava attraente. Erano i suoi occhi a parlare al posto suo. Avrebbe dato qualunque cosa pur di sentirglielo dire.
—Oh, invece io sono proprio del parere che questo abbia quasi tutto a che vedere con la vostra richiesta— ribatté squadrandola da capo a piedi come se volesse realmente spogliarla con lo sguardo.
—Perché io vi trovo molto attraente, Sarah— continuò, — ma vedete, il matrimonio, secondo il mio punto di vista, si basa anche sul reciproco apprezzamento. Perciò se voi non trovate me attraente, non penso proprio che se ne possa parlare.
Continuò a fissarla tranquillamente, godendosi il suo rossore che era giunto anche poco sopra i seni generosi che si intravedevano al di sotto della camiciola, e quella vista, suo malgrado, gli provocò un'insolita ondata di desiderio.
Alla fine Sarah riprese il coraggio di parlare. Ma quello che gli rispose non corrispondeva affatto all'idea che lui si era fatto.
—Sapete, Jon— enfatizzò il suo nome in maniera talmente snervante che lui per poco non saltò in piedi per inveirle contro con rabbia. —Credo di aver commesso un errore madornale venendo qui, chiedendo aiuto a qualcuno che non mi ha mai realmente sopportata. Perciò, se volete scusarmi, ora tornerò a casa e voi dimenticherete la mia assurda richiesta.
Gli fece un appena accennato inchino pronta a lasciare la stanza, quando il corpo possente di Jon le si parò davanti e Sarah si trovò a fronteggiarlo dal basso, come poco prima. Ma stavolta, lui sembrava molto più determinato di lei.
—Dopo tutto questo tempo non avete ancora perso la vostra sfacciataggine— la accusò sommessamente. Una smorfia beffarda gli deturpava le labbra in un ghigno che la fece rabbrividire e spazientire al tempo stesso.
—Non sono sfacciata— lo rimbeccò, —voglio solo tornarmene a casa e dimenticare di essermi resa tanto ridicola.
—Non lascerete questa casa, Sarah Ashton, fino a quando non mi convincerete che c'è interesse da parte vostra nei miei confronti.— Gli occhi di lei mandavano lampi, e quello lo eccitò più di qualunque altro suo comportamento.
—Perché vedete, io non ho alcuna intenzione di diventare un burattino nelle vostre mani.
—Lasciatemi passare— sibilò lei con sguardo fiero. —Non è tollerabile che io stia qui nelle mie condizioni, non sono adeguatamente vestita e voi...
—Avreste dovuto pensarci prima— replicò secco Jon, afferrandola per un braccio. Poi, nonostante i tentativi di Sarah di dimenarsi, mentre ringhiava come un gatto selvatico, aprì la porta del salottino e la condusse su per le scale che conducevano ai piani superiori.
—Non vi azzardate a fiatare— le ordinò mentre, determinato, la trascinava nel corridoio illuminato dalla tenue luce dei candelabri.
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