4. L'uomo di legge
Dopo pranzo, lord Ashton aveva lasciato Sarah e il signor Thomson da soli in biblioteca così che, a suo dire, avrebbero potuto conoscersi meglio. Ma quello che Sarah continuava a vedere non le piaceva. Era il modo in cui l'uomo la guardava, forse, come qualcuno che era certo di essersi accaparrato una preda molto ambita e che ora, finalmente, aveva in pugno. Dal canto suo, a Mark Thomson lei doveva aver fatto un'impressione più che buona. Aveva notato come continuava a fissarle il seno che tentava di fuoriuscire dal merletto del corpetto perché troppo prosperoso. Sarah era pressoché disgustata dall'idea di condividere il letto con un uomo simile. Non c'era cortesia nel suo sguardo, solo vaga lussuria anche se il suo comportamento era inequivocabile. Era sicura che lui la desiderasse. Forse, però, si stava sforzando di non apparire troppo libidinoso per non spaventarla. Beh, lei non era di certo spaventata, ma solo disgustata.
—Siete molto graziosa, signorina Ashton, ma di certo avrete già sentito queste parole uscire dalle bocche di molti altri gentiluomini.
— Sapete, signor Thomson— replicò lei in tono piuttosto affettato. — In realtà non ho frequentato alcun gentiluomo di recente. Vedete, dopo il lutto dei miei genitori non ho avuto molta voglia di interloquire.
— Posso immaginarlo — fece lui accavallando le gambe. Lei gli stava seduta di fianco con la schiena dritta e fissava un punto imprecisato all'interno della stanza. Guardarlo era l'ultima delle cose che voleva. Ma sapeva che avrebbe dovuto fare uno sforzo per assecondare il suo piano, così con un respiro profondo finalmente voltò il capo nella sua direzione.
— Tuttavia — si schiarì la gola simulando un po' di raucedine, — le vostre parole non possono far altro che lusingarmi. E ammetto di poter dire lo stesso di voi.
Su quello non poteva mentire. Thomson era davvero un bell'uomo.
Forse grazioso non era l'espressione adatta per descrivere lui, lei avrebbe detto più che altro attraente e possente, ma non poteva lasciare che quelle parole le uscissero di bocca. Sarebbe sembrato che acconsentisse di getto a quelle nozze che tanto detestava, e non era quello che desiderava.
Eppure non sapeva come sarebbero andate le cose, se il suo piano fosse andato a buon fine lei non lo avrebbe sposato, e il loro incontro si sarebbe ridotto a quell'unico pomeriggio di pioggia nella tenuta degli Ashton. Doveva essere scrupolosa, programmare tutto nei minimi particolari. Il suo istinto le diceva di essere fiduciosa, ma le ci volle tutta la sua forza di volontà per prestargli ascolto.
Il signor Thomson le sorrise scoprendo una dentatura pressoché perfetta. — Vi ringrazio, signorina Ashton. Sapete, quando sono arrivato qui non mi aspettavo che avrei trovato la vostra compagnia così piacevole.
Sarah si trattenne dal fare una smorfia di disappunto. Il metodo che stava utilizzando per cercare di conquistarla era antico quanto il mondo e se non si fosse trovata in quella situazione avrebbe perfino sorriso di fronte a un'affermazione simile. — Di nuovo, posso dire lo stesso di voi.
Era una pessima bugiarda, ma sperò che lui non se ne accorgesse. Non riusciva ancora a dire se fosse un uomo intelligente come suo zio l'aveva descritto, ma non era di certo stupido. Eppure non controbatté, non fece nulla per farle intendere che aveva capito che stava mentendo. Sarah non sapeva se sentirsi rilassata o temere il peggio.
— Allora, parlatemi di voi, signor Thomson.
Gli sorrise. Almeno quello le riusciva ancora alla perfezione. — Da quanto siete a Londra?
— Oh, non molto— rispose l'uomo rilassandosi con le spalle sul divanetto che stavano condividendo.
— La mia famiglia era originaria dello Yorkshire, ci siamo trasferiti dopo l'università perché a mia madre era venuta quest'assurda idea che Londra ci sarebbe piaciuta di più. E mio padre, che riposi in pace, l'accontentò.
Sarah inarcò un sopracciglio.
Evitò deliberatamente di far domande sui genitori dell'uomo, perché avrebbe dovuto fingere che fosse interessata alla sua famiglia e lei non lo era affatto. Ma a qualcosa che lo riguardasse doveva pur fare riferimento, così scelse la strada più semplice.
— Università?
— Legge — spiegò lui senza smettere di fissarla. — Ho una laurea in legge.
— Oh— fece Sarah cominciando a sentirsi un po' a disagio. Dunque era un avvocato, o una specie. Quello non andava a suo vantaggio. Di sicuro era più intelligente di quanto avesse pensato all'inizio, ma non si sarebbe scoraggiata.
— Non sono appassionata di legge, ma ritengo che la vostra sia una professione molto gratificante, non è vero?
Thomson scoppiò a ridere.
— Non dovete sentirvi in dovere di elogiare la mia professione, signorina Ashton. Non ce n'è davvero bisogno.
Sarah non poté fare a meno di avvampare. — Non mi sento in dovere — replicò. — Lo trovo davvero interessante. Allettante.
— No, non è così, ma non importa. In fondo, non è della mia professione che parleremo in futuro. Naturalmente noi due dovremo condividere altri interessi che non siano la mia laurea in legge.
Lei lo fissò a bocca asciutta. Sapeva perfettamente a cosa si riferisse, e quell'illusione velata le provocò un'ondata di nausea istantanea. —Perdonatemi, io non... non credo di sentirmi molto bene.
Si alzò stropicciandosi le pieghe della gonna color zaffiro e si portò una mano allo stomaco. Se non avesse lasciato subito la biblioteca avrebbe rigettato sul pavimento davanti a lui, ne era certa.
— Dovrei...
—Ma certo, non c'è problema.
Thomson si alzò insieme a lei. — Vi accompagno fuori.
Sarah si lasciò trascinare in corridoio cercando di inspirare profondamente, ma senza risultato. L'ondata di nausea stava avanzando.
—Per favore, mandate a chiamare la mia cameriera personale.
***
Quella mattina, in piedi di fronte alla finestra della sala per la colazione, Jon cercava in tutti i modi di non prestare attenzione a sua madre, la vedova lady Charters. La notte precedente lo aveva sentito rientrare a un'ora troppo tarda per il suo solito, e da quando si era alzata gli aveva posto più di una decina di domande che richiamavano tutte alla stessa cosa: perché suo figlio, per la seconda notte di seguito, era rientrato così tardi senza dare alcuna spiegazione.
Jon si portò la tazza di caffè alle labbra sperando che il liquido amaro lo distogliesse dai suoi pensieri. Di certo non poteva rivelare a sua madre che per due giorni di seguito aveva fatto il giro delle strade in cui Claire era solita circolare, né che era tornato al Dash Club per cercare altre informazioni in merito alla sua scomparsa. La contessa Charters era troppo sensibile per poter essere messa al corrente di una cosa del genere. La morte della sua secondogenita l'aveva distrutta, e di certo quella parte di lei che era sempre stata gioviale e sorridente non sarebbe più tornata. Jon lo sapeva. Scorgeva negli occhi della madre tutto il dolore che ancora non se n'era andato, e che non se ne sarebbe andato mai. Se le avesse rivelato cosa stava per fare, quella ferita che non si era mai chiusa sarebbe stata riaperta, e lui non poteva fare questo a sua madre.
— Non ti starai immischiando di nuovo in situazioni non troppo etiche... — gli disse con un tono un po' più alto di voce, forse per fare in modo che il figlio finalmente si girasse a guardarla.
Ma certo, pensò Jon, magari avrebbe potuto nascondere le sue ricerche in merito alla scomparsa di sua sorella con qualcosa che lady Charters sapeva già: le sue conquiste all'interno delle camere da letto. Non era un fatto scandaloso, anche se quando la voce era cominciata a girare per Londra, a sua madre era venuto una sorta di attacco di panico e per una settimana aveva girato per la tenuta scuotendo la testa e borbottando qualcosa che lui si era rifiutato di ascoltare.
Jon non andava fiero della persona che era stato in passato.
Passare dal letto di una donna a un altro non faceva certo di lui un uomo di valore, per di più perché ogni qualvolta sentiva nascere qualcosa nel cuore delle donne le lasciava a disperarsi da sole e spariva senza farsi più sentire.
Ma quel giorno, a Jon non interessava che sua madre pensasse che era tornato a fare la vecchia vita. Era una scusa che avrebbe retto più che bene, e avrebbe giustificato i suoi ritorni nel bel mezzo della notte.
— Mi dispiace che lo abbiate intuito prima che fossi io a dirvelo, madre— rispose voltandosi finalmente verso di lei, — ma avete ragione.
— Oh, misericordia!— proruppe lady Charters con un sospiro. — Jon, figlio mio, non credi che sia giunto il momento che tu prenda moglie? Il tuo ventottesimo compleanno si sta avvicinando.
— Per l'amor di Dio, madre — la interruppe Jon appoggiando la tazzina sul lungo tavolo in mogano della sala. Lei lo guardò dal basso mentre Jon faceva un segno al valletto che presidiava il buffet perché lasciasse la stanza. Probabilmente sua madre sapeva perfettamente quale sarebbe stata la sua risposta. Il matrimonio era ben lungi dai suoi obiettivi, almeno per il momento; oltretutto, Jon aveva chiaramente proclamato più di una volta che si sarebbe sposato solo per amore e perciò il proposito di contrarre un matrimonio era davvero lontano. Chi mai avrebbe sposato un donnaiolo? Chi mai si sarebbe innamorato di uno come lui?
— Sapete bene quanto me che non ho intenzione di sposarmi, almeno per il momento. E che nessuna donna sana di mente prenderebbe mai in considerazione l'idea di sposare me.
Lady Charters addentò una focaccia e attese di ingoiare il boccone prima di ribattere.
— Arriverà la donna che ti rapirá il cuore, Jon, e allora sarai costretto ad ammettere che non sei in una situazione così disperata come credi.
In realtà lui credeva che ci si trovasse. Se non avesse scoperto al più presto la causa della scomparsa di sua sorella sarebbe impazzito, ma questo sua madre non poteva saperlo. Sarebbe stato meglio farle credere che per il momento era tornato a girare da una donna all'altra per non destare sospetti, e questo gli avrebbe permesso di guadagnare tempo anche per assoldare un investigatore privato, cosa a cui aveva cominciato a pensare da poche ore.
— Jon?—
Lady Charters si alzò e aggirò il tavolo per raggiungere il figlio. — Che mi dici di miss Ashton, la figlia dei nostri defunti vicini? A quanto ne so è ancora nubile e di bell'aspetto, e molti anni fa eravate amici...
— Non siamo mai stati amici, madre.
Per poco Jon non scoppiò a ridere per il nervosismo. Era la seconda volta che gli capitava di pensare a miss Ashton in due giorni, e questo non andava bene. Lui la detestava, e da quanto poteva ricordare la cosa era reciproca.
— Lei è sempre stata una bisbetica viziata che si innalzava al di sopra di tutti gli altri e io, beh... io la detesto, onestamente.
Lady Charters allungò una mano a sfiorargli la guancia ispida di barba. — Ma potresti concederle un'opportunità.
— Sono un donnaiolo, madre, ricordate? Nessuno mi sposerà mai.
La donna trasalì appena e ritirò la mano. Jon si rese conto di aver alzato la voce per farle capire che l'idea del matrimonio non era da prendere in considerazione. Sua madre e tutti gli altri dovevano capirlo.
— Non dovete aspettarvi niente da me— ribadì, passandosi una mano sul volto e chiudendo gli occhi.
— Se volete scusarmi, madre, adesso devo andare in città. Ho degli affari che mi attendono.
Lady Charters lo guardò allontanarsi con un'espressione sconsolata, ma continuò a credere che in un modo o nell'altro, a suo figlio, sarebbe stata concessa finalmente l'opportunità di essere felice.
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