38. Epilogo

Epilogo
19 luglio 1841

Il porto di Londra non era troppo affollato di gente. I marinai in divisa che andavano da una parte all'altra erano solo una decina, e gli unici che davvero dominavano la scena erano i mercanti che tentavano di vendere il pesce a qualche buona anima disposta a comprarglielo. Sarah era stata lì per due volte prima di tornarci quella mattina. Per tre giorni si era rifugiata in una locanda non troppo affollata, la seconda più rinomata poco distante dal porto. Aveva dovuto vendere la collana di sua madre per permettersi di pagare il soggiorno e le era rimasto denaro abbondante per potersi imbarcare.

Purtroppo vi era stata costretta.

Quando aveva deciso di partire non aveva saputo come poter fare, poi le sue dita avevano tastato involontariamente il gioiello minuscolo che pendeva dalla catenina al collo ed era giunta la soluzione; separarsene le era costato un sacrificio non da poco, ma non aveva avuto altra scelta.

Quella mattina, poco dopo le sette, Sarah aveva pagato le ultime monete al locandiere e si era diretta verso la banchina dove era poi andata verso il capitano. Non lo conosceva per nulla, avevano solo scambiato qualche parola sulla traversata che l'avrebbe condotta in America, ma sembrava un uomo buono e ligio al dovere. Cosa più importante, intendeva partire all'istante. Le aveva dato due giorni di tempo per preparare il denaro necessario. Così, quando gli ebbe porto i soldi, lui — che doveva avere al massimo una quarantina d'anni e tanti pensieri in testa — le annunciò che avrebbero salpato entro mezz'ora al massimo.

Sarah sapeva che avrebbe dovuto provare dolore per la partenza, o nostalgia, ma l'unica cosa che realmente provasse era sollievo. Prima fosse partita, prima i ricordi avrebbero cominciato a lasciare la sua mente, prima il dolore avrebbe iniziato a scemare. Non sarebbe stato semplice e lei ne era ben consapevole. Era stata violentata, aveva dovuto separarsi dalla propria casa, dalla sua famiglia, da Jon e da chiunque avesse fatto parte della sua vita fino ad allora; aveva commesso un omicidio e appiccato un incendio e quello le sembrava fin troppo per un'esistenza di soli ventun anni. Soprattutto, il peso che si portava dietro cominciava a pesarle come un macigno sul cuore, qualcosa di talmente profondo che non era certa sarebbe riuscita a sopportare. Magari cambiare vita le avrebbe giovato. In America dovevano esserci molte possibilità per lei. Magari poteva trovare lavoro come istitutrice o come dama di compagnia, o avrebbe potuto diventare una governante. Certamente non avrebbe mai più considerato l'idea del matrimonio, nessuno l'avrebbe voluta dal momento che non era più casta.

E poi, era convinta che il pensiero di Jon sarebbe rimasto incastrato nella sua testa per molto tempo da quel momento in avanti.

Se si concedeva di pensare a lui, a tratti pensava che non poteva andarsene, che doveva restare e costruire una vita con Jon, se lui avesse voluto. Ma il dubbio che più la tormentava era che nemmeno Jon l'avrebbe voluta una volta che avesse scoperto che non era più vergine e che era diventata un'assassina. Perfino Jon l'avrebbe ripudiata. Sarah si sentiva già sufficientemente ripudiata dal mondo. Aveva visto negli occhi di Freya la delusione e l'amarezza per quella che aveva sempre considerato una figlia, nonostante le sue parole di rassicurazione. Sapeva di averla delusa, di aver deluso chiunque, e sapeva che sparire non era il miglior modo per rimediare ma probabilmente non c'era più niente da salvare in lei. Aveva deluso anche se stessa e quello faceva più male di qualunque altra cosa.

—Allora, vi sentite pronta?— le domandò il capitano gettandole un'occhiata e poi allargando le braccia verso la Golden, la nave che entro breve l'avrebbe condotta verso una nuova vita. Sembrava orgoglioso della propria nave, come avrebbe potuto esserlo di un figlio o un nipote.

Sarah lo guardò. —Non proprio, ma non importa.

—Impiegheremo tre settimane per arrivare a Houston. Dovete essere preparata. Soffrite di mal di mare?

—Non lo so— rispose lei stringendosi nelle spalle. —Non ho mai viaggiato prima d'ora.

Ma non aveva importanza, si disse. Nient'altro che andarsene ne aveva. Avrebbe sopportato qualunque tipo di malessere fisico pur di lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita.

—Ma il viaggio non mi spaventa. Ho bisogno di arrivare a Houston il prima possibile, quindi mi impegnerò affinché un eventuale mal di mare non mi traumatizzi.

Il capitano, che aveva una folta barba scura ma ben curata e due occhi neri come la pece, le rivolse un sorriso. —Ben detto. Avete stoffa, signorina Moore.

Sarah ricambiò spontaneamente il sorriso dell'uomo. Il capitano aveva nominato il suo falso cognome come fosse una delle cose più naturali al mondo, e questo la rendeva sollevata. Aveva dovuto scegliere un nome falso, naturalmente, che avrebbe probabilmente mantenuto per sempre.

Eveline Moore.

Il nome Eveline le era sempre suonato così dolce eppure malinconico che ora era stata obbligata a trovare un'occasione per poterlo usare pensò che le si calzasse a pennello.

Perciò, dal momento in cui fosse arrivata in Texas, sarebbe stata per tutti Eveline Moore e nessuno avrebbe mai saputo chi fosse realmente. Quello che temeva era che in qualche modo anche lei avrebbe dovuto dimenticarsi chi fosse.

Il capitano le fece un cenno della testa e Sarah comprese che erano pronti a salpare.

Raccolse le gonne e salì a bordo. Sul ponte c'era una decina di persone che agitava le mani per salutare i propri cari rimasti sul porto. Provò allora un'ondata di intensa malinconia. Nessuno era lì a salutarla, o a implorarla di restare, ma in fondo poteva incolpare solo se stessa per quello. Nessuno l'avrebbe più rincorsa ed era giusto così.

Da adesso iniziava la sua nuova vita. Si voltò verso l'oceano.

Tuttavia, quando la nave iniziò a staccarsi dal porto, tornò a guardare la terra ferma e sussurrò il nome di Jon come un mantra, o una preghiera.

—Ti prego, perdonami se ci riesci— mormorò. Poi chiuse gli occhi e formulò inconsciamente nella propria mente un pensiero che non avrebbe mai potuto esprimere a parole.

Spero che incontrerai qualcuno che sia in grado di amarti come meriti, come io non ho potuto fare, anche se avrei voluto, Jon, l'avrei voluto con tutta la mia anima.

Lo avrebbe portato sempre nel suo cuore, e quella era una promessa che avrebbe mantenuto anche se l'avessero costretta a infrangerla con la tortura.

L'aveva conosciuto per così poco tempo che le sembrava ancora surreale il fatto che le fosse entrato dentro e avesse piantato radici tanto profonde nel suo animo, e che non provasse la volontà di mandarlo via o di cancellarlo.

Perché avrebbe dovuto? Jon le era rimasto accanto e l'aveva aiutata quando ne aveva bisogno, e aveva sofferto così tanto, così a lungo...

Sarah si sarebbe voluta picchiare con le proprie mani per avergli inflitto ancora un'altra sofferenza. Ma non aveva potuto fare altrimenti. Era un'egoista e stava pensando solo a quanto dolore avrebbe provato lei se fosse rimasta, minimizzando e addirittura eclissando quello delle persone che la amavano, ma ormai era davvero tardi per tornare sui propri passi. E in fondo, se poteva concedersi di essere onesta, una minuscola parte di lei era convinta di quanto stava facendo.

Mentre la Golden si allontanava lentamente dalla costa, Sarah chiuse gli occhi e lasciò che il pianto si mescolasse all'aria frizzante del primo mattino e le asciugasse le lacrime.
Non funzionò. Continuò a piangere senza realmente realizzarlo, e alla fine si appoggiò al parapetto e si mise ad osservare le onde di un blu scuro sotto la nave che le scorrevano sotto agli occhi come se stesse sfogliando le pagine di un libro.

Cominciò a perdersi nella profondità dell'acqua e si chiese se avrebbe mai potuto realmente dimenticare chi era stata per i primi ventun anni della sua vita. Non ci sarebbe riuscita, di quello iniziava ad essere convinta, ma sapeva altrettanto bene che poteva essere la cosa migliore.
Una nuova vita, una nuova identità, erano ciò che le serviva per provare a rinascere. Avrebbe combattuto per affermarsi in America con le unghie e con i denti, per trovare il proprio posto nel mondo e capire chi volesse essere.

E nessuno altro, giurò a se stessa mentre riapriva gli occhi ora asciutti di pianto, avrebbe più avuto il potere di annientarla.



Fine.

***

SPAZIO AUTRICE:
Ehi, siamo — mi rattrista dirlo perché non volevo arrivasse— giunti alla fine!
Voglio ringraziarvi tutti, anche i lettori silenziosi, per essermi rimasti accanto fino a questo punto. Un grazie onesto e sincero dal più profondo del cuore, davvero.
Soprattutto, sono qui per dirvi che a breve pubblicherò il sequel, al quale ho già pensato nei minimi dettagli e non vedo l'ora di iniziare a scriverlo dopo aver effettuato una revisione attenta di questa storia che ormai mi porto nel cuore.
Vi ringrazio ancora, e spero che mi seguirete anche con la seconda storia, visto che abbiamo lasciato Jon alle prese con la scrittura di una lettera per Claire dove annuncia che ha intenzione di andare a cercare Sarah. Sono un po' scettica sul fatto che ci riesca, ma vedremo!

A presto,
Con un abbraccio caloroso,
Alicia.

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