32. Determinazione
Sarah non aveva idea se quella fosse la decisione giusta o meno, ma ormai non poteva tornare indietro. C'erano una sfilza di motivazioni che l'avevano spinta a partire, prima fra tutte l'intenzione di salvare la vita di quel ragazzo. La seconda, pur ammettendolo contro la sua volontà, era che si sentiva delusa. Da Jon, dall'uomo per cui pian piano, inspiegabilmente, aveva iniziato a provare qualcosa che non era in grado di identificare.
Invece di appoggiarla come lei si era aspettata, aveva fatto di tutto per farla sentire una sciocca che non sapeva come comportarsi. Sarah non si sentiva tale, ma mentre cavalcava un piccolo dubbio l'aveva assalita. Si trattava di suo zio, e lei sapeva di cosa fosse capace, ma tornare indietro avrebbe significato arrendersi alla prepotenza dei potenti e non aveva intenzione di abbassare la testa. Né con Jon, né con Ashton.
In qualche modo avrebbe costretto suo zio a tenere la bocca chiusa. Aveva tutto il tempo di riflettere ed escogitare un piano.
Quando giunse fuori dal territorio boscoso, fuori dalla portata di Jon, si trovò davanti a un bivio. Cercò di ricordare da quale parte si trovasse il luogo in cui Ashton l'aveva tenuta rinchiusa ma non aveva il minimo senso dell'orientamento. Chiuse gli occhi mentre lo stallone di Jon sbuffava e mandava la grossa testa avanti e indietro.
Per qualche strana ragione era riuscita ad ammansirlo quasi subito, il che era una fortuna perché presumibilmente aveva già tutti contro; un animale che fosse dalla sua parte era una specie di benedizione.
Cerca di rammentare, impose a se stessa. Poco distante doveva esserci il luogo in cui Ashton l'aveva segregata, perciò le sarebbe stato sufficiente allontanarsi un altro po' per tornare a casa. Doveva solo trovare un sentiero che le ricordasse la via di Ashton House.
La trovò all'incirca venti minuti più tardi, quando gli zoccoli del cavallo calpestarono la breccia del viale che costeggiava le tenute dei nobili. Tra quelle, la terzultima era Charters House.
Sarah avvertì un tuffo al cuore quando attraversò la strada che affiancava la recinzione. Ricordò la signora Charters, la madre di Jon, e a quanta pena avesse provato quel giorno quando l'aveva scambiata per la figlia defunta. Ricordò che era stata gentile con lei, e che lo era stato anche suo figlio almeno quando aveva compreso che la ragione che aveva spinto Sarah a chiedergli aiuto era più che valida... Si arrestò di colpo di fronte alla recinzione.
Probabilmente sarebbe dovuta entrare a Charters House e informare la signora Charters che Jon stava bene anche se un po' malandato, che c'erano stati degli imprevisti, ma sospettava che alla donna sarebbe preso uno scompenso se avesse saputo che suo figlio era stato vittima di una pallottola. Così scelse di deviare la direzione e tirare dritto per Ashton House dove — sperava con tutta se stessa — avrebbe trovato suo zio. La speranza era l'unica cosa che la tenesse ancora in forze.
Prima di quell'evento, Sarah non avrebbe mai pensato che trovare lord Ashton sarebbe stato per lei un desiderio profondo e autentico.
Se si fosse trovata in un'altra soluzione certamente avrebbe desiderato che quell'uomo sparisse dalla circolazione senza lasciare traccia, ma in quell'occasione lei doveva cercare un contatto con lui. Provare a fargli comprendere la gravità di quanto era accaduto e forse anche ricattarlo con il proprio rapimento. Sarebbe stato un punto a favore se Ashton avesse deciso di non ascoltarla, o almeno così sperava.
—Forza, bello— mormorò al cavallo. — Un ultimo sforzo, siamo quasi arrivati.
***
Da quando lord Ashton aveva costretto Will a rivelare il punto in cui aveva trovato il nastro di Sarah, la signora Carter non era più stata la stessa.
Will era sparito. Sarah era dispersa. Presumibilmente, dato che lo conosceva bene, lord Ashton aveva fatto qualcosa di irrimediabile da cui non si tornava indietro, ma a quello Freya non riusciva a pensare. Con Lewis e le ragazze che aiutavano la signora Jones in cucina, aveva espresso le proprie perplessità, e per la prima volta anche il cinico Lewis era stato costretto a ricredersi sulle azioni di lord Ashton.
—C'è ancora speranza— le aveva detto una volta, ma da quelle parole era trascorsa ormai un'altra settimana e Freya Carter aveva deciso che era ora di accettare la realtà. Sarah e Will non sarebbero tornati. L'amarezza le aveva invaso il cuore e in quella grande casa, dove lord Ashton era tornato da appena due giorni dopo essere sparito con Will da una decina, adesso permeava un senso di solitudine che nessuno riusciva a colmare.
Quella mattina, dopo colazione, Freya sedeva con Lewis al tavolo della cucina dove la signora Jones aveva da poco tolto una torta di mele e si torturava l'anello che portava al dito come se in qualche modo cercasse in esso delle risposte.
—Lord Ashton afferma di avere l'emicrania— disse Lewis il cui mento prominente faceva intendere che fosse stranamente lieto di quella notizia.
Freya si limitò a una smorfia mentre la signora Jones bofonchiava qualcosa dall'altra parte della stanza.
—Non credo che uscirà da quella camera per almeno tutta la giornata. Probabilmente avremo un po' di libertà oggi.
—L'abbiamo avuta per quasi due settimane— replicò Freya acida. —Non credete?
—Credo che lord Ashton dovrebbe rimanere là dentro il quanto più a lungo possibile. Se ha fatto quel che voi pensate non merita di avere una vita tranquilla. Se l'è meritata, quell'emicrania.
—Meriterebbe altro— sussurrò al donna stringendo il pugno. —Io giuro che...
E all'improvviso lei era lì, come un raggio di sole tra le nuvole.
L'intero corpo di Freya si irrigidì per poi rilassare la tensione quando la vide oltrepassare la soglia della porta della cucina. Con lei entrò anche una spruzzata d'aria fresca.
Freya balzò in piedi come se le avessero appena tirato un secchio d'acqua gelida mentre gli occhi di Lewis si sgranavano e l'uomo veniva attraversato da un lungo tremito. Indossava un abito diverso dalla camiciola che le aveva visto due settimane prima quando aveva deciso di fuggire; il tessuto era stropicciato e sporco in alcuni punti dando l'impressione che si fosse rotolata in un ceppo di rovi, ma era comunque la visione più bella che gli occhi di Freya avessero mai avuto. Il suo battito cardiaco era accelerato.
Era lì, c'era sul serio, ed era viva, e a quanto pareva— nonostante l'abbigliamento e l'espressione stralunata— sembrava stare bene.
—Miss Ashton?
Lieve, ma non inaudibile, il suono scaturì dalle labbra di donna quasi a rallentatore come se in qualche modo — come darle torto — non riuscisse a credere che Sarah fosse davvero lì davanti a loro.
—Che mi venga un colpo!— esclamò la signora Jones rientrando in cucina. —Miss Ashton! Si può sapere dov'eravate finita?
—Lasciatela stare— disse Lewis andando verso Sarah che nel frattempo si guardava intorno come se non riconoscesse lo spazio stretto della cucina.
—Venite, sedetevi— la esortò l'uomo guidandola per le spalle verso una sedia.
—N... no— mugolò lei. —Devo vedere mio zio.
—Per l'amor del cielo, miss Ashton, siete appena tornata. Prendetevi un momento per rilassarvi.
Freya si diresse verso lo scaffale e rovistò tra gli avanzi della torta di mele porgendogliene poi una fetta. —Vi prego, mangiate qualcosa. Voi siete qui... in carne ed ossa.
Sarah allora si concesse di sorriderle teneramente. —Sì, signora Carter. Sono qui.
—E Will? Perché non è insieme a voi?— le chiese Lewis di getto ma forse, quando gli occhi di Sarah si rabbuiarono, considerò che avrebbe dovuto per sé quella domanda.
—Lui è... sta bene— fu tutto quello che disse. Dopo un po', mentre mandava giù la torta che Freya le aveva porto, fu costretta ad aggiungere qualcos'altro. —Sono qui per lui. Ho bisogno di parlare con mio zio.
—Lord Ashton è afflitto da una grave emicrania, miss— la informò Freya non senza una smorfia. —Non credo che sia in condizioni di rivedervi.
—Oh, non importa davvero. Questo mi renderà le cose più semplici.
Sarah abbracciò affettuosamente la donna e rivolse un cenno del capo a Lewis, poi si diresse svelta verso l'uscita della cucina.
—Sarah?— Era stata Freya a chiamarla. Raramente l'aveva chiamata con il suo nome di battesimo, ma lei non sembrava mai infastidita quando lo faceva. Al contrario, lo accettava lieta per l'affetto che la legava alla donna.
Si voltò verso di lei in attesa.
—Fate attenzione. Sapete com'è lord Ashton quando non si sente bene.
Sarah annuì ma non diede alcuna dimostrazione che avrebbe seguito il suo consiglio.
Il lume che colse negli occhi della ragazza mise Freya in allerta, tuttavia non poteva nulla contro il rango della sua padrona. Lei era pur sempre una dipendente anche se considerava Sarah al pari della figlia che non aveva mai avuto.
—Noi vi aspettiamo qui nel caso aveste bisogno di aiuto— aggiunse Lewis con un sorriso di incoraggiamento. —Come sempre e per sempre.
Gli occhi di Sarah si inumidirono e un moto d'orgoglio le abbracciò il petto, ma quello non era proprio il momento per simili sentimentalismi. Eppure non poteva eclissare totalmente il loro affetto, non sarebbe riuscita a perdonarselo. Gli voleva bene davvero, come loro ne volevano a lei.
—Lo so, Lewis. Vi ringrazio.
Poi varcò la soglia e sparì nel corridoio che dalle cucine portava ai piani superiori, determinata come Freya aveva avuto rarissime occasioni di vederla.
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