25. Mani sporche



Il cortile retrostante Downie Hall era deserto quando Robert Ashton giunse trascinandosi dietro uno stremato Will con i polsi legati.

—Cerca di tenere il passo, dannato idiota.

Downie Hall era la dimora del signor Thomson e i due si erano dati appuntamento a mezzanotte in punto perché, come aveva riferito Ashton nella lettera che gli aveva spedito, lui aveva delle notizie importanti da riferirgli.

Thomson, da copione, era stato subito interessato a cosa avesse da dirgli di tanto urgente. Ormai era subordinato alla sua autorità. Ashton lo teneva in pugno. E quella volta avrebbe fatto per lui qualcosa che Robert, nonostante tutto, non era in grado di fare da sé; mettere a tacere lo stalliere che aveva assistito all'omicidio di Jon Charters. Avrebbe potuto tradirlo in qualsiasi momento nonostante lui fosse da anni diventato il suo padrone, perché l'affetto che nutriva per sua nipote andava oltre qualunque altra cosa. Ashton non poteva permettersi passi falsi. In particolar modo non tollerava un legame tra un'aristocratica e un semplice servo. Totalmente inconcepibile.

L'ignaro Will teneva la schiena ingobbita, la testa ricadeva in avanti mentre il respiro gli usciva lento e rantoloso dalla gola. Lo teneva a sola acqua da ormai sei giorni cosicché la morte sarebbe giunta senza che nemmeno potesse rendersene conto.

Tutto ciò che Ashton desiderasse in quel momento era sbarazzarsi dell'unico testimone in grado di farlo finire in galera.

Thomson sopraggiunse nella semioscurità creata dalla notte e il lume che proveniva da una stanza al secondo piano della residenza. Dall'alto della sua prominente corporatura puntò lo sguardo su Robert rifilandogli un'occhiata interrogativa. Infine gli occhi, brillanti nell'ombra, oltrepassarono le spalle del Conte per posarsi sul ragazzo che sembrava pronto a svenire da un momento all'altro.

—Cosa significa questo?

Ashton diede uno strattone alla corda che intrappolava lo stalliere costringendolo ad avvicinarsi.

—Dovete fare una cosa per me, Mark Thomson.

La fronte dell'altro si aggrottò. Lui aveva imparato a conoscerlo, tuttavia sembrava alquanto restio a metabolizzare la scena che si stava trovando davanti in quell'istante. —Che tipo di cosa, Ashton?

In quel momento Will provò a parlare, riemergendo dal suo stato di quiete e immobilità.

—Vuole ammazzarmi... — rantolò inspirando l'aria tra i denti come se provasse una sofferenza immensa anche solo ad aprire bocca.

—Perché ho visto quello che ha fatto! L'ho visto sparare...

—Mia nipote è fuggita— lo interruppe Ashton in tono fin troppo pacato. —Non accetta il vostro matrimonio, posso supporre, e ha pensato di rifugiarsi tra le braccia di uno scapolo aristocratico che ho purtroppo dovuto eliminare.

Guardò Will scuotendo la testa come se il pensiero che un umile servo avesse il potere di farlo finire dritto in galera fosse semplicemente intollerabile, poi tornò a rivolgersi a Thomson.

—Lo stalliere mi ha visto e posso presupporre che voi siate in grado di comprendere quale rischio ciò comporti.

Thomson non parve minimamente colpito dalla notizia della fuga di Sarah, quanto piuttosto dal giovane che Ashton teneva in trappola, un ragazzo che, nonostante sembrasse non avere già più vita in corpo, era ancora mosso dalla volontà di ribellarsi.

—Non toglierò la vita a questo giovane, Ashton— decretò in tono piatto. Incrociò solo per un istante lo sguardo dello stalliere, poi la testa dell'altro ricadde nuovamente in avanti.

—È solo un ragazzo.

—Sono obbligato a ricordarvi che anche Claire Charters era solo una ragazza.

Thomson indurì la mandibola. —Sapete bene che la questione era molto diversa.

—Davvero?— Ashton soppesò lo sguardo dell'altro per alcuni, interminabili secondi, come se quell'affermazione lo facesse sorridere. Infine afferrò con la mano libera i lunghi capelli di Will tirandoli e lo costrinse a sollevare il capo. Il ragazzo spalancò gli occhi per il dolore.

Guardatelo, Thomson!— sibilò. —La stanchezza che vedete negli occhi di questo ragazzo è esattamente la stessa che avete scorto in quelli di Claire Charters nell'attimo in cui le avete tolto la possibilità di vivere. La luce che abbandona uno sguardo è la stessa in una donna come lo è in un uomo, e voi non potete permettervi di avere scrupoli adesso.

La risposta di Thomson fu istantanea. —Potreste ucciderlo voi stesso, eppure state chiedendo a me di farlo semplicemente perché credete che io sia in debito con voi.

—È esattamente cosi— gli ricordò lui come se fosse la cosa più naturale del mondo. —Voi avete un debito nei miei confronti.

—Se io finisco in galera, Ashton, voi verrete lì dentro insieme a me— replicò Thomson incrociando le braccia sul petto. Un angolo della bocca gli si curvò verso l'alto. —A meno che non vogliate sbarazzarvi anche di me come avete appena ammesso di aver fatto con l'uomo che ha cercato di difendere vostra nipote.

Gli occhi di Ashton parvero trafiggerlo mentre metabolizzava le sue parole e infine sospinse Will da una parte e si erse contro Thomson in tutta la sua altezza.

—Non ho intenzione di eliminarvi, voi mi servite. Ma se non vi sbarazzerete di quello stalliere sarete l'unico a finire in galera e pagherete per le vostre colpe come nemmeno immaginate.

Mark Thomson non sembrò minimamente colpito da quella velata minaccia. Sapeva che l'uomo lo avrebbe venduto alla polizia non appena lui avesse commesso un passo falso, eppure sembrava aver dimenticato un dettaglio particolare che poteva fare la differenza.

—Mi avete appena rivelato di aver ammazzato un aristocratico— gli rammentò in tono imperturbabile sollevando il mento.

—Commettete degli errori davvero sciocchi. Mi deludete, Ashton. Posso suggerirvi di riflettere prima di rivelare certi scabrosi dettagli alla persona che tenete sotto ricatto da più di otto mesi?

Qualcosa parve implodere nello sguardo del conte. Le mani si avventarono sul collo di Thomson, gli occhi iniettati di sangue. Will ebbe la forza di sussultare, ma rimase in silenzio aggrappandosi al muro alla sua destra. Palesemente sconcertato, non seppe cosa fare fino a quando Thomson non fece la sua mossa e con un gesto improvviso atterrò l'avversario che ricadde al suono con un ringhio sinistro. Fu in quel frangente che comprese di dover fare qualcosa. Sollevando il capo si morse il labbro inferiore e digrignò i denti per non gemere, poi lentamente scivolò indietro inghiottito dall'oscurità.

Thomson scoppiò a ridere sardonicamente in direzione del conte. —Provateci ancora e vi spezzerò l'osso del collo.

—Siete per caso impazzito?— sibilò sbalordito Ashton mentre tentava di rimettersi in piedi. Il piede di Thomson, fasciato da un lungo stivale di cuoio, premette sul suo petto costringendolo a restare a terra. Adesso erano i suoi occhi ad essere quasi usciti dalle orbite. Per la frazione di un attimo, Ashton temette che l'avrebbe ucciso.

—Manterrò la promessa e sposerò vostra nipote come da accordi, Ashton. Ma non costringetemi a farvi finire sotto terra con le vostre minacce perché non risponderò delle mie azioni in quel caso e voi lo sapete.

—La sola cosa che vi ho chiesto di fare è togliere di mezzo un ragazzino che può costarci la galera!— Robert non riusciva a smettere di fissare il piede che faceva pressione sulla sua cassa toracica.

Perché?— rimbeccò Thomson spingendo ancor di più contro il suo petto. —Perché non volete sporcarvi le mani? Voglio ricordarvi che le vostre mani sono già sporche! Che avete già ucciso e che a me non occorrono altre morti sulla coscienza!

Sembrava uscito di senno. Per la prima volta, al suono di quella voce, con il respiro affannoso e il cuore che batteva rapido contro lo sterno, Robert si rese conto di essersi invischiato in qualcosa di più grande di lui. Che per quanto tentasse di convincersi che nulla fosse in grado di scalfirlo, un giorno aveva incontrato Mark Thomson e quell'uomo era stato la prima persona ad incutergli un qualche tipo di timore.

Come in quel momento, con Thomson che lo teneva sotto tiro e che non gli permetteva di sollevarsi per non farlo sentire un verme schiacciato al suolo. Quella fu la vera, prima occasione in cui Robert Ashton fu colpito dal pensiero che quell'uomo fosse realmente uscito di senno.

Lui non conosceva il suo passato, ma la foga che animava le sue azioni era un chiaro indice che ci fosse qualcosa in quell'uomo che non andava.

—Non voglio uccidere ancora— ammise alla fine.
E forse corrispondeva al vero. Forse una piccola parte di lui aveva iniziato a comprendere che uccidere Jon Charters non era stata una mossa leale, che per quanto desiderasse impossessarsi di Sarah sua nipote non sarebbe mai stata realmente sua.

Che per quanto fosse mosso dalla brama, da quel bisogno spasmodico di possedere ogni centimetro di quel corpo, di affondare nella carne fresca, probabilmente aveva oltrepassato il limite.
Eppure... Ormai era troppo tardi. Aveva assassinato quell'uomo, aveva rapito sua nipote, stava per mettere fine alla vita dello stalliere. E fu allora che si ricordò di lui.

Strinse gli occhi, guardando alla sua destra. Nel punto in cui aveva lasciato Will c'era ora solo l'oscurità. Nessun movimento, nessun respiro, solo l'oscurità. Thomson seguì la traiettoria del suo sguardo e rimase pietrificato.

La pressione del piede si allentò un poco.

Dove diavolo è finito?

Ashton serrò la mandibola. Maledizione! Era sparito. Come aveva potuto essere tanto sciocco?
Aveva commesso un passo falso, ma questa volta era un passo falso che gli poteva costare caro.

—Ha sentito il mio nome— continuò Thomson prendendosi la testa tra le mani. —Dannazione, Ashton, ha sentito il mio nome! Siete un idiota!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top