2. Il Dash Club
Il Dash Club era la casa da gioco più frequentata di Londra. A metà tra Westminster e Whitechapel, raccoglieva gente di ogni leva, ma molti se ne tenevano alla larga. Jon Charters sapeva che quello era l'ultimo posto che sua sorella Claire aveva visitato prima di morire, alcuni mesi prima. Non aveva voluto indagare sul motivo che l'aveva spinta a raggiungerlo prima di allora, sperava solo che la sua morte non avesse avuto a che fare con nessuno dei visitatori assidui di quella dannata casa da gioco. Qualcuno avrebbe potuto definirlo un piccolo tugurio che in realtà raccoglieva anche persone appartenenti all'alta società, ma lui non poteva fare a meno di pensare a quel posto come l'ultimo in cui Claire aveva messo piede.
Quella sera, tuttavia, aveva declinato l'ennesimo invito a cena e aveva fatto preparare la carrozza. Era deciso a scoprirne di più sulla scomparsa di sua sorella. Era possibile, naturalmente, che il Dash Club non avesse nulla a che vedere con la sua morte, ma doveva fare almeno un tentativo. Claire era stata trovata con la gola tagliata all'entrata di quel maledetto club otto mesi prima, e per tutti quei mesi Jon si era rifiutato di indagare. Gli agenti della Scotland Yard gli avevano riferito che, dopo varie indagini sul corpo della diciannovenne, era emerso che Claire era morta per un attacco cardiaco e non per la ferita alla gola. Ma Jon sapeva che ciò non corrispondeva alla realtà. Le avevano tagliato la gola, maledizione! Doveva esserci un motivo, e lui l'avrebbe scoperto. In un modo o nell'altro.
Quando la carrozza arrivò a destinazione, Jon si sentiva irrequieto, come non lo era da molto tempo. Al Dash Club, di solito, si recavano anche donne di facili costumi che per lui, prima della morte di Claire, erano state un pane quotidiano. Alcuni lo consideravano il libertino più in voga di Londra, altri pensavano solo che fosse fortunato a possedere un aspetto simile. Il suo fisico scolpito, risultato di tutti gli anni di addestramento insieme a suo padre, era stato un boccone prelibato per quasi mezza popolazione femminile di Londra. La sua altezza e gli occhi di un verde scuro contribuivano a renderlo una preda molto ambita in società. Claire gli ripeteva sempre che chiunque lo avesse incontrato, anche la donna più fredda e apatica del mondo, sarebbe caduta ai suoi piedi, sciogliendosi al suono profondo della sua voce.
Eppure lui non aveva mai fatto nulla per desiderare tutte quelle attenzioni.
In quella particolare situazione, poi, avrebbe di gran lunga preferito non destare occhiate maliziose ma sapeva che, non appena fosse entrato, sarebbe stato circondato da quelle che ormai Jon definiva le vere vittime della società.
La prostituzione in quel periodo aveva davvero preso il largo, ma quella sera il Conte Charters aveva cose ben più importanti a cui pensare.
Doveva fare luce sul mistero di sua sorella.
Serio, si sistemò il cappello nero sulla testa ed entrò. Quel locale puzzava di alcol e sigari, di aria stantia e qualcosa che non aveva intenzione di identificare, ma si impose di rilassarsi e schiarirsi le idee su come approcciarsi con il proprietario.
Alto, corpulento, con indosso degli impeccabili vestiti da sera, l'uomo gli si avvicinò scrutandolo dal basso, poiché Jon era più alto di lui di una decina di centimetri. Per sua fortuna, non sarebbe dovuto nemmeno entrare nel cuore di quel posto e così avrebbe evitato quelle fastidiose occhiate provocatorie da parte delle donne.
— Buonasera, milord. Come posso aiutarvi?
— Sono qui per avere delle informazioni da voi o dagli altri frequentatori di questo posto — rispose Jon, togliendosi il cappello e appoggiandolo sul lungo bancone di legno. – Ho intenzione di pagarvi profumatamente se mi fornirete le esatte informazioni che mi occorrono.
L'uomo soppesò alcuni istanti le sue parole, poi incrociò le braccia sul petto e lo osservò con espressione guardinga. — Chiedete pure. Sarò felice di accontentarvi, se potrò.
— Molto bene. — Jon si sistemò il lungo cappotto scuro infilandosi le mani in tasca. — Circa otto mesi fa, il Dash Club era frequentato da una ragazza.
— Il Dash Club è frequentato da molte ragazze, per mia fortuna, lord Charters— replicò il proprietario inclinando il capo di lato.
Jon corrugò la fronte. — Conoscete il mio nome.
— Siete piuttosto rinomato in città, milord. — Fu la risposta innocente. — Questa ragazza di cui parlate, comunque, dovreste descrivermela.
— D'accordo. — Jon cercò di mandare giù il groppo amaro che gli chiudeva la gola, come gli capitava sempre quando qualcuno gli nominava sua sorella o gli chiedeva di parlarne. — Era alta più o meno così — indicò la propria spalla, — capelli castani e occhi verdi. Era molto solare, rideva spesso. E parlava molto.
Il proprietario si sporse verso di lui con il busto, rabbuiandosi un po'. — Era?
— Si chiamava Claire — rispose Jon, quasi atono. — È stata uccisa. Vorrei sapere se per caso la ricordate e se avesse qualche problema con qualcuno all'interno di questo posto.
Con un grande sforzo di volontà riuscì a non aggiungere che quella ragazza, sua sorella, era stata trovata assassinata a pochi metri dall'entrata di quel dannato locale.
L'uomo sgranò gli occhi, portandosi una mano in direzione del cuore, palesemente dispiaciuto. — Io non... non saprei davvero come aiutarvi, lord Charters. Non ricordo tutte le ragazze che entrano da quella porta. E di sicuro nemmeno gli altri possono aiutarvi.
Jon cercò di rimanere calmo. Quel tipo probabilmente non poteva davvero essergli di aiuto, ma ciò non implicava che gli altri fossero dello stesso avviso. — Capisco. Vi prego, permettetemi di...
— Jon Charters! — esclamò all'improvviso una voce rauca e gioviale alle sue spalle. La porta si richiuse dietro di sé, lasciando entrare una folata di aria fresca. Jon si voltò in direzione della voce e riconobbe lord Robert Ashton, il parente più prossimo di miss Sarah Jane Ashton.
L'incubo della sua adolescenza. In quel momento il ricordo di quella ragazzina lo fece quasi distogliere dal suo obiettivo.
— Buonasera, lord Ashton.
— Siete diventato un vero e proprio uomo! Sapete, sono davvero molti anni che non ci vediamo — ribatté Robert Ashton con un dito sul mento.
— Quanto sarà, due? Tre anni?
Jon sospirò. — Forse quattro. Vostra nipote, invece, non la vedo da molto più tempo.
— Oh, beh — fece Ashton con una scrollata di spalle. — Lei è stata molto taciturna, negli ultimi anni. Sapete, dopo che i suoi genitori sono morti...
Taciturna?
Jon non riusciva a immaginare come quella orribile ragazzina potesse essere diventata tutto a un tratto taciturna, ma forse doveva ammettere che vivere un dolore come la morte dei propri genitori aveva contribuito ad ammansirla un po'. Tuttavia le dispiaceva che avesse sofferto così tanto. Per quanto dispettosa e bisbetica la ricordasse, forse con gli anni poteva essere cambiata e comunque nessuno avrebbe dovuto meritare una sofferenza simile.
— Giusto. Non ho nemmeno avuto la possibilità di farle le mie condoglianze, sapete, all'epoca i nostri genitori non erano in buoni rapporti e...
— Lo so, figliolo — lo interruppe Robert Ashton. — Sarah vi avrà sicuramente perdonato per questo.
A Jon non interessava davvero se lei lo avesse perdonato o meno per non averle porto le proprie condoglianze. Lui l'aveva sempre detestata. Non erano mai stati amici.
Eppure, non poteva fare a meno di chiedersi come fosse diventata. Ormai doveva essere una donna, ed era sicuramente bella come la ricordava, sicuramente aveva gli stessi occhi. Lui ricordava perfettamente i suoi occhi da volpe. Doveva ammettere che forse, in fondo, aveva sempre voluto esserle amico. Se Sarah non avesse avuto quel carattere, probabilmente Jon si sarebbe addirittura dichiarato qualche anno prima. Ma le cose erano andate diversamente, la vita li aveva divisi completamente per quasi dieci anni, e al momento il Conte di Charters aveva cose più urgenti di cui preoccuparsi.
— È stato un piacere incontrarvi, lord Ashton — lo salutò rimettendosi il cappello, poi si rivolse al proprietario del Club. — Vi ringrazio per avermi ascoltato, forse tornerò nei prossimi giorni per avere altre notizie. Buonasera, signori.
E ciò detto, se ne andò. Non aveva chiesto al conte di portare a Sarah Ashton i suoi saluti, perché lei l'avrebbe certamente trovato un atteggiamento piuttosto fasullo da parte sua.
Ciononostante, Jon non poteva fare a meno di chiedersi cosa spingesse lord Robert Ashton a frequentare un posto simile, quando sarebbe dovuto essere a casa ad occuparsi di sua nipote, e di pensare che, in fondo, lui sarebbe stato curioso di rivederla.
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