14. Signora e signorina
Jon impiegò la frazione di un secondo a capire che Sarah sarebbe caduta dalla finestra.
Aveva sollevato lo sguardo perché si era sentito osservato, e aveva incontrato gli occhi della ragazza che lo scrutavano con un palese interesse che non gli aveva mai mostrato prima. Poi, lentamente, lui si era reso conto che il suo busto si era sporto troppo sopra il davanzale e, come a rallentatore, anche il capo di Sarah era scivolato troppo fuori. Fortunatamente era appena smontato da cavallo, così aveva lanciato le redini allo stalliere, e si era precipitato verso il punto in cui Sarah sarebbe caduta.
Quando lei gli atterrò tra le braccia con un grido che avrebbe destato un defunto, Jon fu lesto a stringerla forte. Caddero insieme, lei con le braccia avvinghiate al suo collo che tremava e faticava a respirare, lui estremamente conscio dei battiti accelerati del proprio cuore. I capelli di Sarah gli solleticavano il collo, e contro il petto sentiva anche i battiti sfrenati del suo cuore. Tremante, il viso congestionato, lei faticò a tornare alla realtà. Jon la allontanò da sé e le prese il volto tra le mani, deglutendo forte, poi le spostò una ciocca di capelli dalla fronte.
— State bene? — le chiese sinceramente preoccupato.
— Sono... sono viva— riuscì a dire lei, il respiro ancora affrettato.
Lui le sorrise. — Siamo vivi entrambi. Ma cosa vi è saltato in testa?
Sarah si morse un labbro mentre lo stalliere correva verso di loro con aria sgomenta. — Milord! State bene?
Jon si girò verso di lui; Sarah era ancora sopra le sue gambe. Avvampando, la ragazza si sollevò di scatto in piedi. Jon la seguì.
— Tutti interi, Timothy, ti ringrazio — gli rispose. Il giovane Timothy fissava Sarah come se non avesse mai visto una donna in tutta la sua vita. Beh, del resto come biasimarlo; l'abito di Sarah era stropicciato, aveva i capelli scarmigliati ed era diventata cinerea. Avrebbe spaventato chiunque.
—Milady — Timothy si inchinò in una riverenza che strappò un sorriso a Sarah. — Non c'è bisogno, davvero...
— Dobbiamo rientrare — la interruppe Jon con tono impaziente mentre si lanciava un'occhiata intorno. — Siete troppo esposta, Sarah, qualcuno potrebbe vedervi.
Mise una mano sulla spalla di Timothy, facendogli intendere con lo sguardo che non avrebbe dovuto proferire parola di quanto aveva appena visto. Il ragazzo annuì, poi, col permesso del padrone, tornò a svolgere le proprie mansioni. Jon si rivolse a Sarah, che finalmente era tornata a respirare normalmente.
— Vogliamo entrare?
Sembrava che i suoi piedi fossero ancorati al terreno. Continuava a fissare il punto nel vuoto in cui il ragazzo era sparito.
— Mi ha visto — mormorò. — Se lo dicesse a qualcuno? Mio zio non deve assolutamente sapere che io sono qui.
— Non avete nulla da temere da Timothy— la tranquillizzò Jon dirigendosi verso l'entrata. — Avrete da temere da qualcun altro se non rientriamo all'istante.
Lei annuì, poi si decise a seguire Jon all'interno ma, appena entrati nell'atrio, entrambi si arrestarono di colpo. Allora Jon desiderò che Sarah non fosse mai giunta nella sua vita.
Lady Charters, il volto stanco e l'espressione più esterrefatta che il figlio le avesse mai visto assumere, stava dritta davanti a loro e scrutava la figura di Sarah come se fosse una specie di visione paradisiaca. Cercava di metterla a fuoco, come se non fosse sicura di quello che stava guardando.
— Claire? Claire, sei davvero tu?
Jon serrò la mascella, stringendo il polso di Sarah che, attonita, non sapeva cosa rispondere.
— Madre, lei non è Claire. Claire non c'è più, ricordate? — le disse con dolcezza, anche se sentir pronunciare il nome di sua sorella aprì un altro squarcio nel suo cuore.
— Oh, hai ragione... — Lady Charters si passò una mano sulla fronte, come se fosse ormai troppo stanca. — La mia bambina non c'è più. Claire se n'è andata.
Jon guardò Sarah, implorandola con lo sguardo di capire il motivo per cui fu poi costretto a rivelare alla madre la verità. — Madre, questa è Sarah Ashton, la figlia dei nostri vicini. La ricordate?
Lady Charters le andò più vicino e quando la osservò meglio, un sorriso tenue le curvò la bocca sottile. — Ma certo che la ricordo. Siete di una bellezza disarmante, giovane Sarah.
Sarah non sapeva come dovesse sentirsi, come dovesse rispondere. Quella donna l'aveva appena scambiata per sua figlia, da quanto poteva ricordare, la figlia defunta...
Le si strinse il cuore. Non poteva nemmeno immaginare quanto dolore avesse dovuto provare quella madre, e anche Jon, lui aveva dovuto soffrire le pene dell'inferno per la morte della sorella. E lei era stata così sfrontata da appellarsi a quell'uomo senza tenere conto della sua sofferenza. Si era rivolta a lui per puro egoismo, senza nemmeno interessarsi a come era andata la sua vita da nove anni a quella parte.
Era una vera sciocca.
Inoltre, le aveva appena salvato la pelle. In quel momento, mentre osservava il viso di Jon diventare di cera, comprese che non poteva obbligarlo a fare nulla. Lui non le doveva nulla. Una morsa le attanagliò lo stomaco, ma seppe che non era dovuta alla fame; si sentiva terribilmente colpevole nei suoi confronti. Non solo per il suo comportamento passato, ma soprattutto perché quell'uomo non aveva mai meritato un trattamento simile e tutt'ora continuava a non meritarlo.
— Jon? — lo chiamò sua madre all'improvviso. Lui parve riscuotersi dal suo stato di incoscienza. — Potresti spiegarmi cosa ci fa qui la signorina Ashton?
— La signorina Ashton è nostra ospite — rispose lui con una tranquillità che colpì Sarah. — Sempre che voi siate d'accordo.
Lady Charters osservò di nuovo la ragazza, come se volesse leggerle dentro e lei colse una profonda tristezza nei suoi occhi di un azzurro sbiadito. Infine, la donna sorrise. — Siete molto spaventata, miss Ashton, non è vero?
Sarah fu costretta, suo malgrado, ad annuire. Non desiderava che qualcuno la compatisse, ma spavento era ciò che più si addiceva al suo stato.
— Vi chiedo perdono, lady Charters, se non mi sono presentata a dovere — trovò infine la forza di parlare. — Ma ci sono delle cose che mi spaventano, e vostro figlio è stato talmente gentile da volermi aiutare...
— Non preoccupatevi — replicò la donna con sguardo materno. — Probabilmente questa volta mio figlio farà la cosa giusta.
Detto questo, le rivolse un cenno del capo e gettò un ultimo sguardo a Jon, promettendo che dopo avrebbero parlato.
— Mi dispiace, Jon — disse Sarah non appena lady Charters fu andata via. — Non volevo in alcun modo mettervi nei guai.
— È stata mia la colpa — rispose lui con un lungo sospiro. — Non avrei dovuto sequestrarvi in casa mia. Avrei dovuto sapere che non sarebbe potuta durare molto.
Sarah si morse un labbro. Riconoscere la sofferenza nel suo tono di voce la sconvolse. Forse, per una volta, avrebbe dovuto mettere la sua, di sofferenza, in secondo piano. Così gli toccò l'avambraccio.
— Voi non avete colpa di nulla. E io... Io non vi obbligherò a fare nulla che voi non vogliate.
Jon si girò a guardarla.
— Nessuno mi ha mai obbligato a fare nulla nella mia vita, Sarah. Questa situazione non sarà da meno. Ma io vi prometto che vi sposerò, sempre che prima voi mi riveliate il motivo per cui siete tanto terrorizzata.
Lei lo fissò a lungo. L'avrebbe davvero sposata? Voleva dire che era disposto ad aiutarla, perché con quel bacio gli aveva dimostrato che fosse veramente attratta da lui. In quel momento, Sarah seppe con certezza di potersi fidare di Jon Charters. Ma per fare in modo che lui potesse aiutarla, avrebbe dovuto riesumare il fantasma del suo terrore nei confronti di Robert Ashton. Non sarebbe stato semplice.
— Lo farò — gli disse tuttavia. Era la sua unica possibilità. — Vi prometto che vi racconterò ogni cosa.
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