Capitolo 25

L'esame si avvicina sempre di più, i miei pomeriggi li divido tra i baci di David e la mia tesina. Quando devo lavorarci mi rifugio in biblioteca, al riparo da tutte le possibili distrazioni. Oramai mi manca poco per terminarla e oggi mi sono rintanata in biblioteca appena uscita da scuola. Voglio finirla per poterla riguardare. Mi manca solo qualche accenno della vita di Freud, e mi immergo nei testi che ho trovato in biblioteca. Mi soffermo molto sulla sua fuga a causa del nazismo. Hitler lo inserì nella lista degli autori le cui opere dovevano essere distrutte e lui fu costretto a fuggire dalla sua patria. Dopo un pomeriggio immersa nella sua vita, mi accorgo che orami fuori è buio: È l'ora di andare a casa.
L'aria che trovo fuori è calda, la primavera è arrivata portandosi via il freddo. Mentre cammino per raggiungere la fermata dell'autobus, la mia tasca vibra: David mi sta chiamando e il cellulare è ancora silenzioso.

«Ciao Piccola, dove sei?»

«Ciao amore, ho appena finito di lavorare alla tesina, ora sto andando a prendere l'autobus per tornare a casa.»

«Vuoi che ti venga a prendere? È buio»

«No, dai. Sono quasi arrivata e tra dieci minuti sarò a casa. Grazie di preoccuparti per me» gli dico ridendo.

«Sei la mia priorità lo sai, Finita la tesina?»

«Sì, finita. Sono molto soddisfatta di Freud, è un personaggio straordinario... pazzesco»

«Ora non esagerare» mi dice risentito.

«Perché?» chiedo non capendone il motivo.

«Non posso essere geloso di Freud, per te solo io devo essere pazzesco» mi dice ridendo.

«Ok, tu sei pazzesco, amore» gli dico dolcemente, mentre ridiamo insieme al telefono.

«Sono arrivata alla fermata, tra alcuni minuti arriva il bus, ora chiamo mia mamma, ci vediamo dopo amore»

«Ok, a dopo amore» mi saluta David.

Riattacco e cerco il numero di mia mamma tra i preferiti, mentre sto per premere sulla sua foto fatta al mare, dove ha i capelli mossi dal vento, una mano mi colpisce facendomi cadere il cellulare. Mi giro subito all'indietro e non riesco a credere ai miei occhi.

«Ciao Lea, ora tu vieni con me»

Faccio in tempo a vedere che mi sta mettendo un fazzoletto sulla faccia, io cerco di lottare ma un odore  dolciastro, che non riconosco, mi entra nelle narici e inizio a sentirmi male, vedo tutto strano... 
Aiuto.
Buio.

Mi fa male la testa, ho la nausea e mi fa tanto freddo, sento gli occhi pesanti e con estremo sforzo riesco ad aprili. Non riesco mettere a fuoco, le immagini che si creano davanti a me sono sfuocate, lentamente la nitidezza aumenta e mi accorgo che non riconosco il posto dove mi trovo. L'unica luce che illumina la stanza è una lampadina sul soffitto. Non capisco niente.
Dove sono?
Cosa mi è successo?

Alcuni frammenti di ricordo iniziano a tornare alla mia coscienza e vedo l'immagine di Alessio che mi preme il fazzoletto sulla faccia.
No, non può essere vero. Sarà un falso ricordo sicuramente, poi il ricordo della sua voce che mi dice "Tu vieni con me" mi riattiva la memoria, come una scossa elettrica la verità è che Alessio mi ha aggredita.

Sono distesa su un letto e mi alzo con difficoltà, la testa mi fa male ma devo cercare di capire dove sono per poter scappare da qui. Appena mi guardo intorno mi accorgo che sono in una specie di capanno, alcuni attrezzi sono legati al muro con catene, c'è un banco da lavoro proprio nel centro della stanza e un armadio di legno occupa tutta la parete opposta. Non ci sono finestre, una porta in fondo alla stanza sembra l'unica via di fuga. Immediatamente corro verso di essa e cerco di aprirla, sbatto le mani sul legno fino a farmi male ma la porta non si muove, cerco di forzarla con i calci, ma niente, non si muove niente, sembra chiusa dall'esterno.

«Aiuto»

«Aiuto»

«Aiuto» grido tra le lacrime. Dove mi trovo?

Mi guardo intorno per cercare un'altra via di fuga e vedo dalla parte opposta della stanza, adiacente al letto in cui mi sono svegliata, una piccola porta in lamiera, mi avvicino e subito noto una piccola serratura e una maniglia, provo a girarla ma come previsto non succede niente. È chiusa a chiave. Provo a spingerla con tutto il corpo ma non succede niente. Ho tanta paura. Torno alla porta di legno e continuo a battere sopra con le mani. Voglio uscire, voglio tornare a casa mia!

Ne ho viste di puntate di Criminal minds ma la realtà è ancora più terrificante.

Mi sento come un uccellino in gabbia che batte le ali per poter uscire, la cosa spaventosa è che non sembra esserci una via d'uscita. Sento le gambe cedere e crollo senza forze per terra, le lacrime mi bagnano il volto e cadono come gocce di pioggia sul pavimento sporco. Il pensiero mi porta subito a ciò che mi tranquillizza e David si materializza nei mei pensieri, cerco d'istinto il mio cellulare nella tasca dei jeans, ma non c'è. Alessio l'avrà buttato.

«Fammi uscire da qua. Bastardo!»

«Fammi uscire subito! Voglio andarmene a casa» batto con i pugni alla porta ma non succede niente.

Non so per quanto tempo ho urlato alla porta, ma non ho quasi più voce, la gola mi fa male.

Mi alzo e mi dirigo verso il letto, quando la mia attenzione è rapita da una scatola sul banco da lavoro. È rosa con piccole farfalle tutto intorno, stona con quel posto sporco e maleodorante. Mi avvicino e sopra il coperchio c'è scritto il mio nome. La apro lentamente e inizio a tirare fuori uno alla volta il suo contenuto. Tiro fuori uno ad uno felpe, jeans e pantaloni sportivi, scarpe, spazzolino da denti, mutande e reggiseni. Il tavolo è sommerso da vestiti con ancora l'etichetta attaccata, sono colorati e di buona fattura, avrei potuto sceglierli io e questo mi fa paura, come può sapere queste cose? Do un 'ultima occhiata al fondo della scatola e appena vedo cosa c'è in fondo, le lacrime mi inondano la faccia: una scatola di preservativi mi dice che la mia paura e più che motivata. La prendo tra le mani e urlo, la getto via come fosse lava incandescente e mi rifugio sotto al banco da lavoro. Mi rannicchio in posizione fetale e non riesco neanche a respirare da come piango.

Dove cazzo mi ha portata quel figlio di puttana?
Cosa vuole farmi?
Ho paura.
Tanta paura. Perché mi ha portata qua?
Piango senza sosta, come fossi una bambina, non riesco a calmarmi. Mentre mi stropiccio gli occhi noto che anche sull'armadio c'è scritto il mio nome. Mi alzo e mi avvicino tremando. Lo apro e vedo ogni tipo di genere alimentare, pasta, tonno, biscotti, acqua.
Cosa vuole da me?
Che intenzioni ha?

Voglio uscire da qua!
Voglio uscire da qua!

All'improvviso il mio istinto di sopravvivenza mi fa notare che sono in un capanno degli attrezzi, ci sarà qualcosa per aprire la porta.
Inizio a cercare tra i vari attrezzi, ma ben presto mi accorgo che sono tutti stati legati con una catena e lucchetto. Cazzo! Tiro un calcio al muro e sento un male cane, la disperazione mi invade senza lasciarmi scampo, le lacrime escono inondandomi gli occhi.

All'improvviso un rumore di passi mi fa tremare e mi rifugio sotto al banco da lavoro.

Sento muovere la catena, la porta aprirsi con un cigolio tetro.

L'ombra di un uomo si presenta a me da sotto al tavolo, il mio cuore batte all'impazzata e il respiro è affannoso. Tremo per la paura.

«Lea... Piccola Lea... Dove sei? Dove ti sei nascosta?» Alessio parla e sento che è divertito, ipereccitato.

«Vuoi giocare a nascondino? Allora vengo a cercarti» e sento i suoi passi avvicinarsi piano.

«Buu!» mi urla mentre mi tira per un braccio e mi trascina fino a buttarmi sul letto.

«Lasciami andare» lo imploro piangendo.

«Lasciarti andare? Non posso, non ho mai potuto lasciarti andare via da me. Tu ora sei mia, non sua hai capito, mia!» mi dice urlando, poi si avvicina a me e cerca di accarezzarmi, io mi allontano bruscamente, lui mi guarda con rabbia e senza dire niente mi tira uno schiaffo.
Sento la guancia prendere fuoco e il dolore mi arriva fino al cervello, cerco di trattenere le lacrime ma non ne ho la forza.

«Mi amerai, ti farò dimenticare David vedrai. Entro un mese, quando entrerò da quella porta, sarai felice di baciarmi, vedrai» mentre mi parla vedo che sulla sua faccia ci sono i segni della rabbia di David, le botte che gli ha dato la sera del ballo quando mi ha aggredito. Alessio è ossessionato da me, mi maledico per avergli dato quel bacio, ma non può essere solo per quello, ci deve essere qualcos'altro?

«Cosa vuoi da me?»

«Voglio te»

«Dimmi la verità, non puoi avermi portati qua solo perché hai una cotta per me, la tua rabbia è profonda» gli dico, lui guarda nel vuoto e forse capisco che ho intrapreso la strada giusta.

«Stai zitta!» mi urla mettendosi le mani sulle orecchie.

«Cosa è successo per farti tanto arrabbiare con me?» gli chiedo. Lui mi guarda dritta negli occhi e si avvicina a me facendomi arretrare.

«Vuoi sapere cosa è successo, ti accontento. Il tuo ragazzo è il responsabile della morte di mio fratello. Ti ha raccontato della rissa al pub "Hell station"? Il suo paparino lo ha tirato fuori dai guai ma mio fratello è morto per colpa sua. La rissa l'ha iniziata lui, mio fratello voleva solo che quella ragazza gli pagasse la droga e quando lui ha alzato la voce, David lo ha aggredito. Lo ha lasciato nelle grinfie di quegli animali che erano ubriachi e si sono avventati su di lui» mi dice stringendo i pugni.

«David mi ha racconto tutto, mi dispiace per tuo fratello, ma era uno spacciatore e stava per aggredire quella ragazza, David ha solo difeso lei, sono stati gli altri a picchiare tuo fratello uccidendo, lui non c'entra niente»

«Niente!? Lui è il colpevole di tutto, ma non importa più pagherà per quello che ha fatto. Manca poco» mi dice mentre si avvicina a me.

«Cosa vuoi dire?»

«Gli porterò via la cosa più preziosa che ha, lui mi ha portato via mio fratello e io mi prenderò te, la cosa più bella di questa situazione è che posso divertirmi con te.»

«Lasciami andare ti prego.» gli chiedo, capisco solo ora di quanto sia malato, è instabile e con grossi problemi, questo lo rende imprevedibile ed estremante pericoloso.

«No! Tu rimarrai qui fino a quando non mi sarò stancato di te» mi urla a pochi centimetri dalla faccia. Io chiudo gli occhi, non voglio vederlo così vicino a me.

È sudato, la sua agitazione mi spaventa, non so cosa potrebbe farmi e sono in trappola. Sul pavimento vedo la scatola di preservativi e tremo. Lui segue il mio sguardo e con una calma terrificante si alza, la raccoglie e dopo essersi avvicinato me la butta addosso.

«Tranquilla, ancora non ti toccherò, voglio che la nostra prima volta sia fantastica e stasera non sei in grado. Ora riposa, domani potrebbe essere il nostro giorno. Ti toglierò di dosso l'odore di quel figlio di puttana che ti sei scopata fino ad ora» mi dice con un'espressione diabolica in volto, le vene sulle tempie gli si gonfiano e parla facendo smorfie di rabbia. La sua faccia è irriconoscibile, sembra di avere davanti un mostro.

«Il suo odore non andrà mai via da me, il suo profumo è dentro di me, in ogni mia cellula.» gli grido in preda all'istinto di ribellione.

Lui si inginocchia sul letto e ha sul volto un ghigno che mi fa tremare, mi guarda e senza dire niente mi afferra bruscamente per i capelli, un dolore insopportabile mi attanaglia, non riesco a muovermi. Tendendomi ferma si avvicina alla mia bocca «Ti toglierò il suo odore di dosso dovessi darti fuoco, non rimarrà neanche il ricordo di lui in te, brucerò anche quello.» mi lecca la guancia dove mi ha tirato lo schiaffo prima e lascia la presa sui miei capelli.

«Se fossi in te non dichiarerei con tanto impeto il tuo amore per lui, se ancora non te ne sei resa conto sei qua per colpa sua, il fatto che tu mi piaccia mi ha solo impedito di ucciderti subito, prima voglio divertirmi un po' con te, o forse per tanto tempo. Deciderò in base a come ti comporterai» mi dice con un sorriso malato sul volto poi si allontana senza girarsi e una volta arrivato alla porta si volta verso di me, con aria di vittoria. «Buonanotte piccola, sognami».

«Non sono la tua piccola, non chiamarmi così!» gli urlo mentre lui passa la catena sulla porta, io rimango lì ad ascoltare i suoi passi allontanarsi.

La notte ormai ha preso possesso e io sono sola e prigioniera di uno psicopatico, pensavo che queste cose succedessero solo nei libri o nei film, invece ora è successo proprio a me. Mi manca David. Mi mancano i miei genitori. Voglio la mamma come se fossi una bambina.

La luce sul soffitto traballa, lasciandomi per alcuni secondi al buio, nel buio mi sento ancora più persa, non capisco come possa fare questo, perché non ci siano mai accorti di come fosse malato. David ha sempre avuto ragione su di lui.

Non so da quanto tempo sono qua, ho perso la cognizione del tempo, so solo che è notte perché quando la luce mi abbandona sono immersa nel buio. Non sento né la fame né la sete, ma devo bere se voglio resistere a quel pezzo di merda. Mi alzo tremante dal letto e mi dirigo verso l'armadio, prendo una bottiglietta di acqua, appena la sento scendere in gola mi sento meglio ma tremo per il freddo. La scatola sul tavolo attira la mia attenzione, mi avvicino e prendo una delle felpe, e rosa con fiori bianchi, appena la metto noto che è della mia taglia, osservo le scarpe, l'intimo e tutto ciò che c'è dentro. Tutto è della mia taglia. Mi ha osservato e spiato per molto tempo per sapere queste cose. Il terrore prende possesso della mia testa e i miei occhi vengono inondati di lacrime che escono fino a non farmi respirare.

«Brutto pervertito, fammi uscire da qua!» urlo disperata contro la porta chiusa.

I miei genitori saranno disperati, David starà cercandomi, sì! lui mi sta cercando. Mi trova sempre, mi ha sempre trovato. Mi consolo pensando che qualcuno mi stai cercando, ma presto il mio entusiasmo decade: dove potrebbero cercarmi? Solo quello psicopatico sa dove mi ha rinchiuso. Sono sua prigioniera e Dio solo sa cosa vuole farmi.

Mi rannicchio sul letto in posizione fetale con solo le mie lacrime a tenermi compagnia e a ricordami che sono sola.

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