Capitolo 2




Apro gli occhi ma non vedo bene, l'immagine del libro sul letto lentamente si focalizza davanti a me. Mi sono addormentata mentre leggevo e, appena mi tiro su, sento il collo dolorante. Sono le sette ed è già l'ora di prepararsi, oggi sarà una giornata lunga: ci sarà il primo incontro con David. Speriamo bene.

Mi vesto velocemente con jeans e il mio maglioncino portafortuna rosso, lo metto sempre durante le prove più dure e sono certa che oggi mi servirà. M'infilo le Stan Smith e preso lo zaino, mi dirigo correndo in cucina.

Mia madre è seduta a leggere il giornale e la mia colazione è pronta.

«Buongiorno mamma.» le dico entrando in cucina.

«Buongiorno tesoro, ecco il tuo yogurt e i cereali.» mi dice nascosta nel suo giornale.

«Mamma oggi torno più tardi, il preside mi ha chiesto di fare da tutor a un mio compagno che deve recuperare alcune materie. Tornerò verso le sette stasera.» le dico mentre affondo il cucchiaio nello yogurt.

«Ok. Che bella cosa Lea, devi essere orgogliosa.» le parole mi arrivano da dietro la prima pagina del giornale.

«Sì, ma sono anche preoccupata.» le dico mentre con il cucchiaio cerco di prendere gli ultimi cerali dal fondo del barattolino dello yogurt.

«Perché?» ora i suoi occhi sono su di me.

«Il ragazzo che devo aiutare è David, lo hai presente?» le chiedo aspettando la sua riposta, che conosco già.

«Cavolo, Lea! Stai attenta. Quel ragazzo non mi piace. So che ha combinato svariati guai, conosco suo padre, è un maresciallo e devo dire che non riesce proprio a gestirlo, è un teppista tatuato. Sai lo ricordo da piccolo era così carino, proprio un bel bambino... comunque anche ora è un bel ragazzo, peccato che abbia quel carattere. Mi raccomando tesoro stai attenta.» mi dice con quello sguardo che hanno le mamme, della serie "fai come ti pare ma sarebbe meglio che tu non lo facessi".

«Mamma, non è un assassino e male che vada non mi ascolterà e se ne fregherà di quello che gli spiegherò.»

«Va bene, ma stai attenta. Ok?»

«Ok. Ci vediamo stasera.» mi alzo e le do un bacio sulla guancia.

La giornata ha ufficialmente inizio quando con lo zaino mi dirigo verso la fermata del pullman. Il viaggio fino a scuola è breve e lo trascorro parlando con Emma.
Appena arrivo alla fermata lei è già lì, è seduta sulla panchina e ha la testa immersa nel libro di storia. I capelli neri le coprono il volto e lei li sistema velocemente dietro l'orecchio destro, batte il piede a terra e tamburella sul libro con il dito. A prima vista ricorda Biancaneve, capelli corvini, labbra rosse naturali e una carnagione pallida, insomma sembra la persona più dolce del mondo ma appena apre bocca... ecco a voi Emma!
Io per prenderla in giro la chiamo "Biancaneve incazzata" e lei puntualmente si arrabbia.

«Buongiorno.» le dico, mentre mi siedo vicino a lei.

«Buongiorno un cazzo! Lea che palle, questa guerra mi stravolge... non ci capisco niente.» mi dice chiudendo di colpo il libro.

Stiamo ripassando la seconda guerra mondiale ed Emma non è molto felice, io invece l'ho capita e sono riuscita a prendere un otto all'interrogazione di storia della settimana scorsa.

«Oggi hai il primo incontro con David, vero?» mi chiede Emma.

«Sì, speriamo bene! Non so cosa fare. Il preside mi ha detto che devo aiutarlo in storia e filosofia. Penso che dovrò seguire il programma, comunque lo chiederò a lui oggi.» le dico mentre continuo a pentirmi della scelta che ho fatto.

La giornata inizia con due ore d'inglese e devo dire che, pur piacendomi la materia, la professoressa è odiosa e, per non smentire la sua estrema bontà d'animo, ha deciso simpaticamente che oggi ci sarà un compito a sorpresa. Niente panico! Mi sento abbastanza preparata, ma con lei non sai mai come andrà. Ha una logica tutta sua nel valutare!

Passo l'ora a tradurre un testo inutile, sulle attività extracurriculari dei giovani inglesi, e una volta riguardato per l'ultima volta consegno il compito alla cattedra. La prof mi guarda senza accennare un minimo sorriso e mi fa cenno di tornare a posto.

Finita l'ora d'inglese, abbiamo due ore di educazione fisica. La mattinata passa velocemente e dopo altre due ore di italiano, che mi volano essendo la mia materia preferita, suona la campanella.

Mentre le mie compagne si diradano e si allontanano dalla scuola, io ho deciso di rimanere a studiare in biblioteca. Mi dirigo con calma verso l'edifico che è adiacente la scuola.

Appena entro l'odore della carta scritta mi fa sorridere: amo stare in biblioteca, tutta quella conoscenza mi fa compagnia. Il mio solito posto è libero e mi siedo vicino alla finestra, la luce che entra mi riscalda e mi fa sentire coccolata. Tiro fuori il volume di storia chiedendomi cosa dovrò spiegare a David oggi. Meglio ripassare un po' tutto e inizio a sfogliare il libro dall'inizio. Le pagine scorrono sotto ai miei occhi e mi sento a mio agio, mi ricordo quasi tutto. Non so cosa aspettarmi dell'incontro, lo conosco per la sua fama e non di persona. Penso di non averci nemmeno mai parlato, o almeno così mi sembra.

Il pomeriggio trascorre sereno, sono stata sempre sola in biblioteca, nessuno mi ha disturbato. Mentre sono intenta a leggere il timer del telefono vibra: è arrivato il momento ! Riordino le mie cose mi avvio verso la scuola. Appena entro mi rendo conto che non c'è nessuno, percorro i corridoi ed è strano, il silenzio stona con la scuola, le urla di noi studenti sono il sottofondo perenne e questo silenzio è assordante. Mi mette a disagio.

Arrivata davanti alla sala riunione la porta è aperta, mi fermo e dopo essermi fatta coraggio entro. David è già lì, lo vedo seduto in fondo con le gambe e i piedi sul tavolo, le sue converse rosse spiccano sul tavolo bianco, sta guardando il cellulare e ha le cuffie alle orecchie. Rimango alcuni minuti a osservarlo poi decido di avvicinarmi. Lui non mi ha visto, mi avvicino e quando sono dietro di lui poso una mano sulla sua spalla. Appena lo sfioro lui fa un salto e si gira verso di me, levandosi le cuffie.

«Che cazzo! Ma sei pazza? Mi hai fatto morire di paura.» mi urla addosso mentre si alza e si mette seduto sul tavolo con i piedi sulla sedia, passandosi una mano sui capelli biondi, spettinandoli.

«Scusa ma avevi le cuffie, non mi sentivi.» rispondo io, non mi sembra così male però. Abbiamo avuto uno scambio di parole civile.

«Come vuoi... Allora tu sei Lia, sei qui per farmi i compiti. Vero dolcezza?» mi dice ciò strizzando l'occhio con un sorriso ammaliante sulla faccia.

Eccoci, ci siamo. Lo sapevo. Devo rimanere calma. Mi sforzo di mantenere il controllo ma devo rispondere.

«Allora David, prima di tutto mi chiamo Lea, no Lia e assolutamente no dolcezza.
Poi sono qui per aiutarti a fare i compiti, non te li farò io, assolutamente no!» parlo con decisione e aspetto la sua contromossa.

Lui mi guarda e sembra divertito. Ha uno sguardo furbissimo, direi quasi accattivante, ma devo rimanere ferma sulle mie affermazioni.

Si alza e si avvicina a me, io lo seguo con lo sguardo, fino a quando mi è davanti, tiene lo sguardo fermo sui miei occhi. Mi sento a disagio ad averlo così vicino e cerco di arretrare, ma dopo due passi il muro mi blocca e la distanza tra noi si annulla di nuovo. Sento il suo respiro sul volto, con una mano mi sistema un ciuffo di capelli ribelle dietro all'orecchio.

«Cosa stai cercando di fare?» gli chiedo mentre con le braccia lo spingo lontano.

«Rilassati, ok? Cercavo di fare amicizia così dopo potrai farmi i compiti.» mi dice cercando di rimettersi davanti a me.

Io mi sposto come una furia.

«Che cavolo di persona sei? Credi che ti basti farmi gli occhi dolci per farmi cadere in tuo potere? Sei proprio fuori strada! Io sono qui per aiutarti a studiare, quindi se hai bisogno di ripassare qualcosa io ci sono, ma se intendi fare lo stronzo arrogante come sei sempre, quella è la porta. Che cosa pensi che me ne freghi se ti bocciano? Niente! Assolutamente nulla. Quindi decidi cosa vuoi fare.» e dopo avergli urlato contro mi siedo sulla sedia dov'era prima seduto lui.

Evito di guardarlo e cerco di mantenere la calma, prendo il libro di storia e lo apro aspettando la sua prossima mossa. Sento silenzio ma non mi giro, ad un certo punto lo sento muovere, prende qualcosa da vicino a me e lo sento camminare.

«Adios dolcezza, hai perso l'occasione.» dice prima di andarsene.

Io rimango ferma, osservo il libro aperto davanti a me, da come sono arrabbiata non riesco neanche a leggere cosa c'è scritto. Come cavolo ho fatto a pensare che sarei riuscita in questa cosa? Dopo aver riordinato le mie cose esco dalla stanza.

Domani andrò a parlare con il preside, non è possibile lavorare con lui, sono stata una stupida a pensare di riuscirci. È un arrogante, presuntuoso e maleducato. Mentre penso a tutti i suoi difetti però l'immagine dei suoi occhi mi distraggono, due pezzi di cielo incastonati in un volto da angelo. Ma no, non devo pensarci.

Uscita dalla scuola, mi accorgo che la luce del sole è tenue, si sta facendo buio, non riesco a non pensare di avere buttato via un pomeriggio! È la persona più arrogante e incivile che abbia mai conosciuto, ma devo ammettere che ha due occhi meravigliosi. Mentre mi era davanti potevo vederli e devo dire che è proprio bello. Ma non devo ragionare così, basta. David è il male ed io non voglio perdere tempo con lui.

Mi avvio alla fermata del pullman. Non è lontana ma il tramonto è inoltrato e voglio fare veloce. Cammino a passo spedito e arrivata alla pensilina, noto che ci sono altre persone. La cosa mi fa stare tranquilla. Rimango fuori appoggiata al plexiglas e mi metto a scorrere Facebook sul telefono.

«Ehi bella! Che fai?» Una mano mi prende il cellulare.

Alzo gli occhi e vedo un ragazzo che ride con il mio telefono in mano.

«Guardiamo cosa stai cercando con tanto interesse.» dice mentre ficca il naso nel mio cellulare.

«Puoi ridarmelo, per favore.» chiedo mostrando la mano.

Lui m'ignora e continua a usare il mio telefono a suo piacimento.

Capitano tutte a me oggi, i più sfigati oggi li trovo tutti io!

Mi avvicino e tento di riprenderlo, lui riesce a scappare e lancia il mio cellulare al suo amico seduto sulla panchina, che si alza e viene verso di me ridendo.

«Volevi questo...?» mi dice porgendomi il cellulare.

«Sì, grazie.» dico io mentre allungo la mano per riprenderlo, ma lui lo lancia di nuovo al ragazzo che me lo aveva preso. Stanno ridendo di me e io non ho nessuna voglia di ridere. Inizio ad arrabbiarmi.

«Fatela finita! Datemi subito il mio telefono.» dico alzando la voce.

«Sennò... Cosa ci fai?» mi chiede il ragazzo mentre si avvicina a me, con il mio telefono in mano.

Io arretro ma lui viene sempre più avanti. Me lo ritrovo davanti, proprio come David nel pomeriggio. Inizio ad avere paura ma non voglio che se ne accorgano.

«Allontanati da me. » dico con voce ferma mantenendo lo sguardo su di lui.

«E perché dovrei? Sei carina, sai?» mi dice ridendo.

Sento il suo respiro ma non voglio farmi intimidire, prendo coraggio e alzo il ginocchio colpendolo sui genitali. Lui si piega dal dolore, io velocemente riprendo il mio cellulare e mi allontano.

«Brutta stronza» mi urla dietro mentre a passo svelto cerco di mettere una distanza di sicurezza tra me e loro. Sento che si stanno muovendo e mi giro, stanno venendo verso di me, la paura ora mi invade e senza pensare inizio a correre.

Un rumore attira la mia attenzione e una moto si ferma inchiodando tra me e loro. Mi giro e vedo il conducente scendere, ha il casco quindi non lo riconosco. Lo vedo avvicinarsi ai due bulli che m'inseguivano e appena si leva il casco loro si fermano, vedo che dice loro qualcosa che non capisco, sono troppo lontana.

Loro si allontanano a testa bassa e lui si gira e si avvicina a me, appena mi è vicino lo riconosco: è David.

«Cosa cavolo pensavi di fare?» mi chiede, passandosi un mano tra i capelli.

«Io nulla, quegli stronzi mi hanno preso il cellulare, mi stavo difendendo poi però stavano esagerando e mi sono spaventa, non prima di tirargli una ginocchiata sulle palle.»

«Ma sei tutta matta!» mi dice ridendo. «Dai salta su, ti do uno strappo a casa... hai fatto già troppi danni per stasera.».

Lo guardo e cerco di capire se ho capito bene. Poi vedo che mi fa cenno con la testa di sedermi dietro di lui.

«Tieni questo, è quello che di solito mettono le ragazze che porto in moto.» mi dice mentre mi porge un casco blu elettrico con disegni bianchi.

«Non ho nessuna intenzione di mettermi in testa il casco che hanno messo tutte le tue ragazze» gli dico offesa. Non ci penso neanche a mettermi quel casco.

«Come sei complicata, va bene... Tieni questo allora» mi dice mentre mi porge il suo casco rosso.

Il suo casco, cavolo e ora che faccio?

«Muoviti, non ho tutta la sera.»

Prendo il casco e salgo sulla moto senza fare obiezioni.

Dove cavolo metto le mani? Mi guardo in torno ma non c'è nessuna maniglia.

«Puoi reggerti a me.» mi dice lui, sembra che abbia sentito i miei pensieri.

Appena David accende la moto, il rumore mi fa sussultare e d'istinto metto le mani intorno ai suoi fianchi. La moto parte e sento il vento sulle spalle, cerco di rimanergli distante ma non riesco e mi ritrovo adagiata alla sua schiena con le mie braccia che lo cingono totalmente.

Sento il suo profumo, sa di buono, non riconosco nessun odore in particolare ma è inebriante, mi piace da morire. Sono totalmente stregata dal suo profumo che non mi accorgo della strada che passa veloce, percepisco il vento che per una strana forza mi fa stringere ancora di più a lui.

All'improvviso la moto si ferma e io ritorno alla realtà, vedo che sono davanti a casa mia. Mi tolgo il casco e come una magia quel profumo che mi ha stregato si discioglie lentamente, lasciandomi stordita.

«Come sapevi dove abito?» chiedo mentre gli rendo il casco e cercando di mantenere il controllo di me stessa.

«Facile, io sto laggiù.» e indica in fondo alla strada.

«Non lo sapevo.» rispondo guardando il punto che ha indicato, e mi rendo conto che è più vicino di quello che sembra.

«Ci vediamo.» mi dice mentre mette in moto.

«Verrai agli incontri?» chiedo io.

Lui mi guarda e mentre mi saluta con la mano, io rimango lì a guardarlo andarsene e non ho capito nulla. Verrà o no?

Mi avvio verso la porta di casa. Non è stato male parlare con lui, andare in moto poi è stato davvero inebriante. Sono ancora immersa in quel profumo, nel suo profumo. Spero che venga domani.

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