Capitolo 6

Leggere il diario è diventata la mia occupazione principale da quando, verso la mezzanotte di un sabato di sei mesi fa, mio fratello Emis è morto in un incidente d'auto. E' come se una gomma fosse passata sulla sua vita, cancellandone ogni traccia. L'aspetto più inquietante è constatare che il tempo non ha smesso di scandire i suoi attimi, come invece ha fatto il cuore con i suoi battiti. I suoi amici hanno continuato ad andare all'università, ridendo e sostenendo esami come nulla fosse; le persone a canticchiare in macchina con i finestrini aperti, mentre andavano al lavoro.

Per giorni la pioggia ha percosso i vetri della mia finestra, a rimostranza dell'incommensurabile sbaglio commesso da qualcuno, lassù. Ho ascoltato quell'incessante mitragliata di colpi, confortata dal pensiero che almeno il sole avesse la decenza di starmi lontana.

In queste pagine ritrovo ogni frammento di me sviscerato in pensieri. Ogni singola emozione denudata dalle parole. Inizio ad annaspare, a sudare freddo e sento il cuore accelerare i suoi battiti. Le sue tracce sono ancora qui. Intorno e dentro di me.

Sei mesi prima

Fisso la mia immagine allo specchio e ciò che vedo non mi piace. Vorrei apparire più grande dei miei diciassette anni. Nonostante sia molto alta, la mia magrezza ed una seconda di reggiseno mi fanno sentire come se ne avessi dodici.

Mentre spazzolo la mia lunga chioma color cioccolato, qualcuno bussa alla mia porta. So chi è, prim'ancora che faccia il suo ingresso nella mia camera.

Emis richiude la porta, mi si avvicina e il suo sguardo mi penetra come una radiografia. Indosso un abito attillato, molto corto e senza maniche, con uno scaldacuore a coprirmi le spalle. Dal modo in cui sta accigliando le sopracciglia, deduco che il mio abbigliamento gli dia sui nervi. Il fatto che mi consideri ancora la bambina di cinque anni orfana di padre da proteggere ad ogni costo, invece, dà sui nervi a me.

«Mamma mi ha detto che esci con un ragazzo, stasera». Emis corruga la fronte con aria di disappunto e dà il via alla sua paternale di fratello maggiore. «Chi è?»

«Si chiama Roberto.»

«E quanti anni ha?»

«Venti»

«Cosa? Ha solo tre anni meno di me», ribatte visibilmente turbato. «E dove ti porta?»

«Al cinema.»

«A casa per le undici, intesi?»

Afferro la borsa dall'attaccapanni e sbuffo. «Sì, papà.»

«E cosa più importante» prosegue, dopo avermi circondato il viso tra le sue grandi mani. «Non deve metterti le mani addosso.»

Sollevo la testa per guardarlo negli occhi e mi accorgo che sono lucidi. «Emis, devi smetterla di preoccuparti per me, non sono più la piccola e indifesa Livia di una volta. So badare a me stessa, rilassati.»

«Come faccio a rilassarmi, sapendo che stai per uscire con uno che ha in testa una cosa sola?». Il timbro della sua voce aumenta di qualche tono. «E stai pur certa che quella cosa non l'avrà da te!»

Mi divincolo dalla morsa delle sue mani e mi dirigo verso la porta. «Tu e Leo non dovete andare a caccia di ragazze, stasera?»

«Piccola sfacciata» brontola alle mie spalle. «Da quando mi manchi di rispetto?»

«Oh, al diavolo Emis! Tu non sei papà e smettila di comportarti come se lo fossi!». Esasperata, sbatto la porta e lascio che sfoghi tutta la frustrazione accumulata in questi anni.

Ore 22:00

Mi guardo intorno, la sala è strapiena e il film sta per cominciare. Un brivido pervade il mio corpo, quando sento una voce alitarmi sul collo.

«Sei bellissima.»

Mi volto verso quella voce e, nonostante il buio, riesco a scorgere un bagliore di eccitazione nello sguardo di Roberto. D'improvviso, nella mente sento risuonare le parole di Emis: "ha in testa una cosa sola". Le sue labbra rasentano le mie, se mi baciasse sarebbe la prima volta, per me.

«Se non ti allontani immediatamente da lei, sei morto.»

Il sangue mi si raggela nelle vene. Riconosco quella voce e mi volto di scatto. Emis e Leo sono seduti dietro di me.

«Non ci credo!» urlo, attirando l'attenzione di tutti gli spettatori che mi invitano al silenzio con un perentorio "sss". «Cosa diavolo ci fate voi due qui?»

«E' evidente che non sei capace di badare a te stessa», mormora mio fratello di rimando.

Non riuscendo a tollerare oltre quello stato di umiliazione, abbandono la sala e mi dirigo verso l'uscita.

Emis mi riacciuffa per le spalle e mi costringe a fermarmi. «Livia, aspetta.»

Mi giro e senza neanche rendermene conto gli mollo una sberla. «Ti odio!»


***

Silvia sbarrò gli occhi e urlò. Di scatto si mise seduta, visibilmente scossa e col fiato grosso. Si premette le mani sul viso, le dita che ispezionavano la pelle liscia e inumidita dalle lacrime che proruppero calde e copiose. L'incubo non era mai stato così vivido e il sangue così reale.


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