Capitolo 5

Silvia avvertiva l'inspiegabile sensazione di essere spiata e l'assenza di luce non l'aiutava a tornare in sé. Muovendosi a tentoni, raggiunse un cassetto e rovistò tra le posate in cerca della torcia. La brandì come una spada e si fece strada affettando il buio, muovendosi di soppiatto come se avesse paura di fare rumore. Inforcò il corridoio, ma pochi passi più avanti si arrestò. Il cuore le schizzò in gola quando vide un riflesso sull'anta a specchio della scarpiera.

"Un'ombra", pensò. Un attimo dopo, non c'era più. Silvia si guardò intorno spaventata a morte; si costrinse a proseguire verso il salotto, per mettere a tacere la paura che si sentiva crescere dentro e per dimostrare a se stessa che in casa non c'era nessun altro. Si stava solo suggestionando. Provò ad avanzare, ma le gambe si erano radicate al pavimento come tronchi. La paura si trasformò in panico quando vide una figura riflettersi sulla finestra, abbagliata dalla luna.

Una figura, con un cappuccio a occultarne il volto, era a pochi passi da lei e, sotto i suoi occhi, stringeva un coltello. Dava le spalle al salotto, puntando con lo sguardo il corridoio che conduceva in cucina. La lama oscillava come scossa da fremiti d'irrequietezza.

Silvia fu percorsa da una fulminea scarica di adrenalina, che le mandò il cuore in fibrillazione. Indietreggiò, inciampando nel portaombrelli che stramazzò a terra. La mente fredda le suggerì di scappare, ma la paura ruppe quello schema di razionalità ingabbiandola in un gemito di terrore. Silvia non ebbe la possibilità di reagire che sentì una fredda lama attraversarle il petto in profondità.

Il tempo intorno a lei si fermò, sospeso in un limbo di dolore che le stava attraversando il corpo come lava incandescente. La figura sfilò via il coltello e Silvia d'istinto si portò una mano sulla ferita. Le dita si ricoprirono di un liquido bollente che schizzò impetuoso, imbrattando la parete di fronte. La ragazza ondeggiò nel cercare un appiglio a cui aggrapparsi. Si appoggiò al muro e provò ad allontanarsi da quel mostro, ma altre coltellate la raggiunsero alla schiena. Uno. Due. Tre. Dieci colpi violenti e fulminei. Le sue urla di sofferenza si mescolarono alle fitte lancinanti. Silvia oscillò ancora fino a quando si accasciò sul pavimento. Ebbe la forza di strisciare lungo quel marmo nero, mentre il dolore raggiungeva il suo culmine e la vista le si annebbiava sempre più.

La luce tornò, improvvisa e indesiderata, come uno spettatore ritardatario alla prima di uno spettacolo ormai giunto alla sua conclusione.

Silvia sollevò la testa e, con le ultime energie che le restavano, si voltò a guardare il suo assassino.

«Il passato non muore», sussurrò la figura, con un ghigno a deformargli la bocca. «Uccide.»

Silvia non ebbe il tempo di calare le palpebre su quell'ultima scena, che le s'impresse negli occhi per sempre. Il suo aggressore le massacrò il viso con altri colpi. Sordi. Indolore. Silvia non sentiva più niente. Lo shock stava ormai cedendo il passo alla consapevolezza che presto avrebbe smesso di soffrire. Altri colpi si accanirono contro il suo viso, con una ferocia inaudita.

Colpi sordi.

Indolore.

***

Certi giorni ho la sensazione di essere cambiata. Oggi è uno di quei giorni.

La professoressa De Candia chiude il libro e con lo sguardo ispeziona le nostre facce sconvolte. Dopo la lettura, nessuno ha voglia di parlare. Gli sguardi fissi sui banchi, catturati da quelle immagini macabre e sanguinolente che le nostre menti continuano a proiettare senza sosta.

Il mio stato d'animo, in questo momento, è stranissimo. Mi sento sospesa in un silenzio rimbombante, come quello che accerchia un subacqueo. Quel racconto ha smosso qualcosa in me, qualcosa di cui ho paura. La routine scolastica non mi aiuta, è tutta la mattinata che avverto la sensazione che la vita, quella vera, sia al di là di questo edificio. Al di là di quell'orizzonte tra cielo e mare, che traccia confini invisibili. Inviolabili.

Ho voglia di correre, di scappare via. Di prendere le distanze da quel passato che si ripresenta nei ricordi, non concedendomi la libertà di vivere il presente. Parlare della morte non è mai facile, ma ignorarla è anche peggio. Per troppo tempo ho cercato di evitare qualsiasi argomento tirasse in ballo mio fratello, comportandomi come se niente fosse. Ho sempre considerato la nascita e la morte come i due punti estremi della vita; la dimensione che concorre a separarli, il tempo, è l'effetto collaterale a cui devo soccombere per averne preso consapevolezza.

Non ho mai pensato alla morte, non seriamente. L'ho sempre considerata come un concetto astratto, un avvenimento che riguarda gli altri e non me. Non che mi consideri immortale, ma preferisco non affrontare l'argomento in maniera diretta. Lasciarlo ai margini dei pensieri fa meno paura.

Da quando Emis non c'è più, non cerco di liberarmi di un pensiero e basta, ma di qualcosa che esiste sul serio e con cui devo fare i conti ogni giorno.

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