Capitolo 1


Erano trascorsi pochi istanti, da quando Silvia aveva varcato la soglia di casa dopo un viaggio estenuante di tre ore, che affrontava ogni weekend per riabbracciare la sua famiglia. Parcheggiata la valigia sul pavimento di marmo nero, la ragazza tirò giù la zip del giubbotto, se lo sfilò e lo lanciò sul bracciolo di pelle della poltrona. Poi, fu la volta delle sneakers che scalciò via, una dopo l'altra e si lasciò cadere sul divano. Aveva assoluto bisogno di un bagno ristoratore e di impiegare quelle ultime ore della domenica in totale relax. Sciolse la fluente chioma bionda dalla treccia spettinata, acconciata frettolosamente in treno per contrastare il caldo opprimente della carrozza e sprofondò tra i soffici cuscini che odoravano di casa.

Il buio era calato da un pezzo su quell'umida sera di ottobre e il salotto era sommerso dal silenzio, a tratti interrotto dal fruscio dei rami che grattavano la finestra. Silvia girò distrattamente la testa in quella direzione e pensò che fosse arrivato il momento di chiamare il giardiniere, quando un movimento fulmineo al di là della tenda catturò la sua attenzione. Un brivido le saettò lungo la schiena e la ragazza scattò in piedi. Una voce nella sua testa la istigò ad armarsi di coraggio per andare a vedere di cosa si trattasse, mentre l'istinto di sopravvivenza s'impossessò di lei paralizzandola. La tenda si gonfiò in tutta la sua lunghezza, come se un essere abnorme si fosse improvvisamente materializzato sotto di essa. Un tonfo sordo e inquietante seguì subito dopo, facendo sussultare Silvia che dovette aggrapparsi alla spalliera del divano per non cadere. Le ante della finestra si erano richiuse violentemente, sospinte dal vento. La sagoma si sgonfiò e la giovane poté tirare un sospiro di sollievo. Contrastò a fatica quel senso di riluttanza che le stava impedendo d'indagare oltre e arrancò verso la finestra.

Ci si avvicinò molto lentamente, con aria guardinga e quando fu lì chiuse la finestra con le mani in preda ad un attacco precoce di Parkinson. Sentendosi più al sicuro, Silvia sbirciò oltre il vetro ma riuscì a scorgere soltanto un ritaglio del giardino abbagliato da un riflesso lunare. Gli abeti creavano una gigantesca ola, scossi da una forte brezza proveniente da est. La ragazza sospirò e il suo alito caldo impresse sul vetro un piccolo cerchio di condensa bianco. Una risatina nervosa inarcò le sue labbra, quando si rese conto che si stava solo autosuggestionando e che lì fuori non c'era nessuno.

Silvia indietreggiò, decisa a chiudere in una cella della sua mente quel piccolo timore, quando un rumore la mise nuovamente in allarme. Questa volta il responsabile non era il vento. Non si era trattato di un fruscio prodotto dalle foglie, quanto piuttosto di uno stridere di unghie. Lo aveva sentito bene, perché quel rumore era proprio sotto di lei, sul davanzale della finestra. Così intenso che continuò a risuonarle nelle orecchie, anche se non vedeva alcuna mano. Per un istante, il suo sguardo scivolò sul cordless in carica sul tavolino alla sua sinistra, il pensiero d'impugnarlo per chiamare qualcuno la stava seriamente tentando. Silvia era dilaniata da un dilemma: chiamare o non chiamare. L'essere un avvocato la metteva continuamente di fronte a un bivio ma, in quel momento, non sapeva cosa fare. Per la prima volta nella sua vita, Silvia non riusciva a pensare lucidamente. La paura che qualcuno si fosse introdotto furtivamente nella sua proprietà la stava braccando, mettendo sotto scacco le sue facoltà mentali.

NOTE DELL'AUTRICE:

Per la riproduzione dell'immagine di copertina mi appello al "principio della lecita citazione" come previsto dal  comma 1-bis, art. 70 della legge 633 del 1941.

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