59. Vieni, posa la testa sul mio petto, ed io t'acquieterò con baci e baci
Scott
Mi sveglio tardi, un fortissimo mal di testa che galleggia proprio al centro della fronte, tra le sopracciglia.
Ho gli occhi così pesanti da riuscire appena a tenerli aperti per vedere dove cammino.
Sono sfinito.
Era l'ultima cosa che avrei voluto fare, ma mi sono preso un giorno libero in anticipo.
So perfettamente di non essere nelle condizioni fisiche e mentali di lavorare ed ho bisogno di riposare, di rimettere in ordine le cose nella testa.
Stamattina è stato difficile scendere dal letto. Avrei voluto soffocarci dentro per tutta la vita. Mi sono sentito patetico quando l'ho borbottato ad alta voce e, nonostante la nausea costante, mi sono obbligato ad alzarmi, seppur con un peso sul petto e dietro al collo a martellarmi le meningi.
È tutto il pomeriggio che provo a fare spazio, a trovare un senso logico a tutto ciò che è successo, ma i pezzi non sembrano combaciare.
Anzi, più passa il tempo e più io sono combattuto, confuso, amareggiato, triste, disperato e ogni altro sentimento che non pensavo avrei più provato così intensamente nella vita. Non per mano di Amanda.
Ogni propulsione di emozione si attecchisce al mio cuore ad ogni attenzione che le dedico, proprio come se mi stesse prendendo in giro e volesse farmi invaghire fino alla totale perdizione.
Mi sono perso, effettivamente.
Ho cercato di razionalizzare quello che è accaduto ieri notte: il bacio, la non litigata con Amanda, le paure che mi hanno divorato prima di andare a dormire e il segno rosso sul calendario appeso in cucina che stamattina ho marcato una seconda volta, facendolo diventare bordeaux.
L'ho fissato per dieci minuti, forse anche più. Avrei voluto cancellarlo, ci ho provato. Il risultato sono stati il graffio sulla carta plastificata e l'inchiostro accumulatosi sotto alla mia unghia.
Non è cambiato assolutamente nulla. Anzi, ho reso quel pezzo lucido ancora più brutto e triste.
Eppure, non sono riuscito a fermarmi nemmeno a metà dell'opera. È stato un susseguirsi di azioni così meccaniche e insensate, da farmi quasi scricchiolare gli arti come fossi un automa. Qualcuno da fuori mi comandava ed io eseguivo senza opporre resistenza, come un vero codardo.
Me ne sto pentendo ancora.
Tuttavia, il pensiero principale è sempre lo stesso. Non mi abbandona mai. Cerco di sviarlo, ma lui è sempre in grado di trovarmi. Oramai è diventato la mia ombra.
È come se Amanda dovesse partire domani, la sensazione è identica, nonostante non l'abbia ancora provata. Eppure, la immagino così bene da rivivere un déjà vu che non finisce mai e si intensifica sempre di più.
Chissà... forse ho dimenticato, forse non voglio nemmeno ricordare come ci si sente, perché è talmente brutto e doloroso da farmi venire la nausea e chiudere forte gli occhi.
Se fino a qualche giorno fa avrei giurato di essere forte, ora farei qualsiasi cosa per far rimanere Amanda qui con me, anche al costo di chiederle di rinunciare a tutto e scegliere noi, perché la verità è che riesco a stare bene solo finché lei resta al mio fianco, finché so che lei ha bisogno di me e io ho bisogno di lei.
Dovrebbe rinunciare a tutto quanto per me?
Io lo farei. Per lei, per noi, per quello che possiamo costruire insieme e per tutta la bellezza di un qualcosa di solo nostro.
So che anche lei lo vuole, che anche per lei è difficile e ci stiamo perdendo, ma so anche che ci sono cose che vuole progettare da sola, per sé e non sono così egoista da distruggerle i sogni solo per essere felice. Sarebbe come fare l'opposto che amarla.
Diventerei egoista e privarla di un'opportunità del genere è ingiusto, cattivo.
Tuttavia, non riesco a capire perché le cose stiano andando in questo modo, come lei abbia potuto ferirmi così facilmente, come io le abbia permesso di scavalcare ogni pezzo della mia anima solo per metterla su un piedistallo che lei stessa sta sgretolando.
Siamo in un circolo vizioso: io costruisco, lei distrugge, io distruggo e lei incolla, io smusso i bordi e lei tagli via pezzi interi.
Andremo avanti così fino all'ultimo brandello?
Non sono arrabbiato.
Non sono arrabbiato con lei. Credo alle sue parole e sono convinto che Asher l'abbia baciata contro la sua volontà e che lei si sia trovata in una brutta situazione dalla quale non era facile uscire, soprattutto per un carattere come il suo. So anche che probabilmente sta male quanto me, che si sta dando milioni di colpe e che non avrebbe mai voluto che ci succedesse questo, che se solo lo avesse potuto impedire lo avrebbe fatto.
So tutto quanto, lo capisco e lo posso accettare, ma non posso dimenticare che sia accaduto.
Non riesco proprio ad ignorare come mi ha fatto sentire e quello che sto provando.
Farei un torto a me stesso se cancellassi con una passata di carta umida questo episodio e ripartissi da zero. Non sono quel tipo di persona, non riesco a farmi scivolare addosso ciò che mi fa male o mi turba, sopratutto quando si tratta di Amanda.
Prendo tutto troppo sul personale, anche se non lo do a vedere e pretendo che non me ne freghi un cazzo. L'ho sempre fatto, è un modo per sopravvivere e cercare di non rimanerci male per ogni cosa. Ed è divertente ma incredibilmente triste allo stesso tempo pensare quanto sia allettante l'abitudine di rinchiudere tutto in un cassetto lontano e buttare via la chiave. Fa ancora più male ricordare esattamente dove questa chiave sia finita, ma pretendere di non saperlo fino al momento in cui se ne ha bisogno.
La mente è un luogo strano. Funziona tutta a modo suo. Un giorno sta bene, l'altro ti tormenta fino a quando non ti addormenti e dimentichi tutto o pretendi di farlo per trovare respiro il mattino seguente.
Non stavolta. Se lo facessi ancora sarebbe troppo. Con Amanda ho ingoiato volta dopo volta, in continuo, un boccone talmente amaro da chiudermi lo stomaco in una morsa.
Ora non ho più fame. Ho raggiunto la sazietà.
Quindi no, decido io stesso, a mie spese, di ricordare perfettamente, ma mi riprometto di farlo con razionalità, senza farmi divampare dalla rabbia e dal dispiacere immenso. Che non sia una botta improvvisa, piuttosto che arrivi a tratti, poco alla volta.
Una furia è stata liberata proprio ad una settimana dalla partenza e noi ne siamo rimasti travolti. Non ci voleva. Non serviva anche questo proprio adesso.
Stavamo bene, sembrava che ci fossimo ritrovati, che le cose si fossero finalmente calmate e che fossimo in grado di affrontare la situazione con calma e serenità. A quanto pare era solo un'apparenza, perché è bastato uno stupido ed insignificante bacio a spezzare un equilibrio che, pur essendo precario, per noi era perfetto ed era ciò che ci faceva reggere in piedi, mano nella mano.
Ora, Amanda ed io, siamo di nuovo distanti.
Forse non siamo nemmeno un noi, a questo punto. Non lo so. Non so più cosa pensare o su cosa essere sicuro, cosa volere o fare.
Non so se riusciremo a riavvicinarci anche questa volta. Temo di no. Una parte di me ci spera, ma quella più realista è convinta che qualcosa di così danneggiato non si possa riparare in soltanto pochi giorni e che alla fine così come è, durerà nel tempo fino ad essere dimenticata ed abbandonarsi a se stessa.
Andare di fretta non ha senso. Se volessimo, avremmo tutto il tempo del mondo per farcela, ma so che ad entrambi brucia la necessità di sapere con sicurezza che cosa fare di questa relazione e che cosa aspettarsi l'uno dall'altra. In fondo è giusto così. Dobbiamo sapere se aspettarci o andare avanti, se abbiamo bisogno di altro tempo per pensarci o vogliamo buttarci di nuovo a capofitto in una storia che non sappiamo anticipare e che potrebbe durare un mese come una vita.
Non si tratta soltanto di scelte, ma di quanta forza il nostro cuore abbia ancora per riprendere a battere come prima.
Se non ci fossero sentimenti sarebbe tutto più facile, eppure, alle volte, nulla è facile a prescindere oppure siamo noi a renderci il presente più complicato.
È per questo che ora sto aspettando Amanda con un desiderio immane di vederla, ma anche un senso di disagio e scontentezza da farmi vergognare.
Appoggiato al tavolo della cucina, con le braccia strette al petto e lo sguardo fisso sulla porta, penso a tutto quello che vorrei mi dicesse e a quanto male mi procurasse nel stringermi più forte che può.
Sto pensando a moltissime cose, eppure mi sembra di non pensare a nulla in particolare.
Per la prima volta da quando ci siamo conosciuti, non so come comportarmi, cosa aspettarmi o cosa dirle. Oppure mi pare di sapere già tutto.
Su una cosa sono certo: non riesco a dire una parola. Me lo sento dalla lingua impastata e il dolore all'altezza delle tonsille. Sarà difficile schiudere le labbra, sono appiccicate fra loro e il palato è così bollente che mi fanno male le gengive.
Amanda si aspetterà tanto da me ed io non saprò darle nemmeno la metà di quello che non mi chiederà a voce, ma con gli occhi.
Forse è questo ciò che mi spaventa di più: lei che non parla ed io che parlo troppo quando in realtà non ho nulla da dire.
Però, forse, sono ancora più impaurito dal silenzio. Il tempo scorre così lentamente quando si resta ad ascoltare e poi, quando scade, non rimane nulla e tutto è sembrato inutile. Non voglio che i nostri momenti sia inutili, vuoti.
Quando il campanello di casa suona, mi sento le ginocchia cedere. Ho le mani sudate marce mentre percorro a passi minuscoli il breve tragitto fino alla porta e mi vergogno ancora di più quando indugio sulla serratura. Per poco non mi scivola la maniglia dal palmo, ma riesco a riappropriarmene appena prima che anche la mia fronte vada a sbattere contro il legno.
Ma che cazzo mi sta succedendo?
Non ho il controllo del mio stesso corpo.
La figura esile di Amanda mi compare davanti agli occhi come un'apparizione angelica contornata da forti nubi scure ed un vento gelido. Rabbrividisco nonostante faccia un caldo da sciogliere le mattonelle e non capisco se sia perché mi sto ammalando o per colpa del suo sguardo così triste e vacuo che si posa sulla mia figura quasi per sbaglio.
Rimango impalato ad osservarla, catturato ed impaurito da tanta fragilità e tristezza. Ha il malessere dipinto sul viso, ancora più scavato e pallido di quando lo ricordassi.
Indossa un paio di pantaloncini ed una maglietta semplice, i capelli sono sciolti e in mano regge il telefono, tra le dita le chiavi della macchina. Tutto nella norma, eppure non mi sembra affatto che sia tutto normale.
C'è decisamente qualcosa di pesante che si respira nell'aria. Me lo suggerisce la postura ricurva e le spalle ingobbite, richiuse su se stesse. Fatica a prendere aria, capisco perfettamente questa sensazione sgradevole.
«Ciao» mi saluta con un sussurro accennato, tenendo la testa bassa per coprirsi volontariamente il volto con i capelli.
Mi sposto per lasciarla passare, «Ciao».
Non la guardo mentre cammina, tuttavia sento i piedi sbattere pesantemente sul pavimento, nonostante nella casa non vi sia nessun rumore. Chiudo la porta soltanto quando lei raggiunge il centro del salotto. Solo allora la guardo. Le do l'ultima possibilità di fuggire, ma lei non lo fa e si siede con finta naturalezza sul divano, incrociando le braccia al petto in modo decisamente meccanico.
Questa distanza mi uccide.
È strana, non so come gestirla perché non profuma di rabbia, né di accuse o ripicche. Non c'è assolutamente voglia di puntarsi il dito contro e fare a gara a chi ha più torto e chi più ragione.
No. Questo è uno stare distanti... stanco. Fisicamente e mentalmente provato da queste settimane di prendi e lascia andare, di sì e no, di stare insieme ma volere degli spazi e di sicurezze ed indecisioni altalenanti.
Sembriamo semplicemente stufi di vederci e stare insieme, perché la maggior parte delle volte finiamo per stare male, litigare o restare nel limbo del vuoto.
Non c'è più la frenesia di un tempo, la voglia matta di stare vicini e condividere ogni cosa, perfino l'aria. E se anche ci fosse, uno dei due ci pensa sempre a rovinare tutto quanto, neanche lo facessimo di proposito. Semplicemente non possiamo controllarci.
«Come stai?» domanda sottovoce, facendomi allarmare nuovamente. Non credevo che riuscisse a chiedermi cose così... semplici.
Annuisco, «Tutto okay» mi schiarisco forte la gola, «Tu?».
«Sì».
Silenzio.
Eccolo che riempie i nostri polmoni e li richiude con un nodo strettissimo.
Mi rimbombano le orecchie, sento un cumulo di pensieri bloccarsi proprio nello spazio in mezzo alla fronte e grattare contro la pelle perché vuole uscire.
Non ho ancora acquisito il coraggio di guardarla in volto. Tengo lo sguardo su una delle gambe del tavolino in mezzo al salotto, perdendomi nell'inseguire le sue mille striature scure ed aggrovigliate.
Non ci riesco. Ci sto provando, giuro, ma ci sono così tanti motivi per fermarmi dal guardarla, che li sto ascoltando tutti, uno per uno. Magari sono importanti, o magari sono solo scuse. Probabilmente non esistono nemmeno, ma io credo sinceramente che mi possano fare da scudo per proteggermi da lei e da tutto ciò che si porta dentro e che probabilmente mi farà male.
«Sono qui».
La sua voce è candida ma spezzata. Ha la gola secca e il naso tappato. Probabilmente non ha mai smesso di piangere. Forse lo sta facendo anche ora, mentre la evito senza pietà.
Non capisco le sue parole, perché sono ingiustamente fraintendibili. Vogliono dire tutto e vogliono dire niente.
Se un tempo avrei saputo con esattezza che cosa volessero dire, in questo momento non ne ho idea. Le analizzo in solitudine senza trovarvici un significato pertinente e alla fine sospiro, sopraffatto.
«Okay».
A cosa sto acconsentendo? Non lo so. Dovrei ritenermi abbastanza fortunato nel sentire almeno la sua voce, eppure questa sua presa di posizione mi sta destabilizzando come non ha mai fatto, perché forse, effettivamente, Amanda non è mai stata così. Non con me, con con gli altri.
È cambiata molto in queste settimane. Non saprei dire se la consapevolezza di una nuova vita l'abbia resa più matura o più infantile, più cosciente o più indecisa, più egoista o altruista con se stessa. Si è trattato di un mutamento talmente repentino e quasi nascosto, che se ci penso, mi sembra di non ricordare una versione di lei diversa. Eppure so che non è sempre stata così. Le cose sarebbero diverse se conoscessi la stessa persona.
«Non avrei mai voluto che succedesse quello che è successo» ammette, svegliandomi dai pensieri.
Se potessi abbassare ancora la testa lo farei, ma ora mi sento i muscoli dietro al collo tirare forte. «Lo so» morsico forte l'interno della guancia destra, «Ma è successo».
«Io non lo volevo. Se avessi saputo le sue intenzioni me ne sarei andata» ora sta sicuramente piangendo, «Ti ho cercato, ma tu non c'eri... avevo paura, pensavo volesse solo parlarmi».
Stringo i pugni, «Che cosa ti aspetti che faccia?» domando in tono crespo. «Vuoi che mi senta in colpa per averti lasciata sola per dieci minuti? È questo quello che vuoi? Scaricarmi addosso le colpe per sentirti un po' meglio?».
«Scott...» mi supplica.
«Cosa Amanda? Cosa c'è anche questa volta?» mi lascio andare esasperato, «Che cos'altro devo fare per farti restare? Dimmi cosa vuoi che faccia per farti innamorare di nuovo. Ti giuro che lo farò, ma basta con queste cazzate... basta con i pianti, le litigate e i torti. Sono stanco».
So di essere duro con le parole, ma non posso farne a meno. Quando si tengono le cose dentro per troppo tempo, poi basta una goccia per far traboccare il vaso.
È ora di parlarne, di dirsi le cose in faccia. Dobbiamo farlo, non c'è altra alternativa. Non aspetterò un minuto in più, ho atteso abbastanza ed è stata una sofferenza triste.
Queste domande devono trovare risposta. Me lo deve dopo tutto quello che ho passato per lei, per ogni volta che mi sono rimangiato le parole pur di non ferirla o rovinare un momento apparentemente felice.
Non chiedo molto, soltanto che mi parli e mi dica tutto quello che le passa per la testa con sincerità e senza paura. Non dico di essere pronto a quello che ne verrà fuori, ma sono stufo di aggrapparmi alla speranza e rimandare al domani qualcosa che potrebbe non fare in tempo ad essere salvato.
Voglio proteggere quello che abbiamo, in qualunque modo. Che significhi rinunciare o continuare. Odio vederla così chiusa, anche in un momento come questo, anche quando mi vede profondamente ferito. Lei mi sta ferendo, ma so che sta anche sanguinando, per tutto quello che non dice e si sente dire.
Perché Amanda è sensibile e proprio come me prende tutte le cose sul personale, facendosele sue e legandole tutte quante al suo cuore con lo stesso peso.
«Non so cosa fare» ammette, tirando su con il naso. «Non so più come parlarti, come dirti le cose per non farti arrabbiare. Non voglio che mi odi, per favore».
Aggrotto le sopracciglia in un cipiglio sconvolto. «Farmi arrabbiare...» sussurro, «Quando mai mi sono arrabbiato con te per essere stata sincera?».
Tutto questo è assurdo, non ho parole. Mi stupisco di riuscire a stare ancora in piedi, mi gira la testa.
«Tu...».
La interrompo bruscamente, «Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo?».
Eccolo di nuovo quel dolore al centro del petto. Lo sento solamente quando sono con lei, perché è proprio lei a procurarmelo, con queste parole così affilate e velenose. Mi chiedo se sia consapevole dell'effetto che hanno o se le dica senza nemmeno pensarci.
Non so quale delle due alternative vorrei fosse vera, perché entrambe indicano uno scopo, che sia esso mancato, ignorato o centrato alla perfezione.
«Ti stai arrabbiando. Per favore, calmati. Dobbiamo parlare, mi avevi promesso che oggi avremmo parlato. Non cacciarmi via, non trattarmi male» farfuglia in maniera confusa, eppure io comprendo tutto benissimo.
Probabilmente ha ragione: è esattamente rabbia quella che sto provando. Probabilmente non dovrei, ma voglio proprio sapere come si sentirebbe lei se fosse al posto mio. Immagino che non sarebbe una sensazione tanto diversa, in fin dei conti.
Il punto è che sono io e io, il solito Scott, non ho il permesso di spingermi così oltre.
Devo sempre e solo abbassare la testa ed annuire, farmi scivolare le cose di dosso, non lasciare che le persone non sia soddisfatte del mio comportamento. Devo deludere me stesso, ma mai gli altri.
Già... dovrebbe andare così, come è sempre stato. Ma perché? Perché se lei è cambiata non posso cambiare anche io?
Le relazioni vanno vissute in due, non si tratta di un atto unilaterale. Eppure, per ora, mi sembra che le cose non ce le siamo divise a metà, ma che sia stato tutto un "o troppo o niente". Non siamo in parità.
«Ti stai comportando da egoista».
L'aria del mio stesso respiro si frastaglia con una forza asciutta contro il mio viso, facendomi lacrimare gli occhi. Le pupille tremano, mi fanno male mentre cerco di smuoverle. Le sento incastonate in un deserto di sabbia arida, i granelli sfregano gli uni contro gli altri, senza pietà, senza sosta.
Le palpebre vorrebbero chiudersi, eppure riescono a restare aperte e a dare allo sguardo la forza di schiodarsi e posarsi finalmente su Amanda.
La guardo. È seduta sull'angolino sinistro del divano, aggrappata con le dita esili al bracciolo. Le unghie le sono diventate bianche, le braccia sono tese e rigide, così come le gambe.
Tutta la sua figura è un pezzo di cemento armato, all'apparenza indistruttibile ma completamente fragile e sgretolabile.
È scomoda, assente, preoccupata, stanca e mortificata. Gli leggo tutto sul viso, perfino quello che non vuole dire o non vuole che io sappia. Probabilmente leggo anche oltre le righe, ma l'importante è che riesco finalmente a trovare risposte a domande che nemmeno lei vuole sentirsi chiedere.
Capisco molte cose mentre la osservo, seduta lì inerme, con gli occhi gonfi, i capelli scompigliati ed il naso rosso. Sento un formicolio all'altezza del petto, è un miscuglio di pensieri scappato dalla mente. Mi finisce nello stomaco, lo fa brontolare tacitamente.
Esatto... è un presentimento. So già dove andremo a parare, quello che saremo dopo oggi, dopo questo incontro e ciò che ci diremo.
La domanda è: voglio che vada esattamente come entrambi sappiamo che andrà o voglio cambiare le cose?
Il suo sguardo non dice nulla a riguardo. È solo spaventata, non sembra nemmeno vedermi.
Ha gli occhi cristallini, schermo di una mente che è lontana dal presente e farnetica in qualcosa che è solo suo e non vuole condividere con me.
È vero, è egoista. Ma tutti noi lo siamo nei riguardi di noi stessi. Per quanto possiamo ammettere il contrario, facciamo di tutto per proteggerci e non farci ferire, soprattutto quando si tratta di chi amiamo.
Amare una persona è giusto, ma annullarsi per lei no. Lo comprendo mentre la guardo e mi rendo conto che non sono il solo ad averlo fatto, ma che anche lei sembra essersi persa per me.
Stiamo sbagliando entrambi. Abbiamo dato troppo di noi, tutto all'improvviso, consumato subito ed ora rimane poco, quasi nulla.
Il punto è che appena conosciuti condividevamo qualcosa che avevamo in comune; ora stiamo staccando pezzi di noi per colmare quel vuoto.
È per questo che siamo egoisti, perché siamo diventati due persone a sé, due soggetti distinti, distanti.
«I-io...» manda giù faticosamente un cumulo di saliva, «Egoista?».
Ha gli occhi da cerbiatta, da animale ferito che giace sanguinante in mezzo alla strada mentre auto menefreghiste gli sfrecciano accanto. Spera in un aiuto, ma nessuno si ferma. Forse sta immaginando lei stessa di trovarsi in quella situazione, quando in realtà sta perfettamente bene.
Serro forte la mascella, «Sì» è difficile confermarlo, «Ti comporti come se fosse qualcosa di normale, come se dovessi essere comprensivo e dimenticare, solo perché sei tu e sai benissimo come funziona con me». Le distolgo lo sguardo di dosso, «Dimmi... cosa faresti, come ti sentiresti se fossi stato io in questa situazione? Se io avessi baciato o fossi stato baciato da un'altra?».
Nulla. Non dice nulla.
Aspetto ancora qualche secondo, i pensieri mi rimbombano nelle orecchie e le narici si dilatano in maniera scomposta.
«Come pensavo...» schiocco la lingua sul palato, «Non vuoi o non puoi darmi risposta».
«Non farmi questo...» quasi mi supplica.
«Farti cosa? Chiederti di essere sincera?».
«No» lo dice con troppa forza, «Cercare in tutti i modi di ferirmi ulteriormente per quello che è successo, pur sapendo che non avrei mai voluto accadesse».
«Quindi... è colpa mia».
Sono un disilluso. Credevo che saremmo stati in grado di affrontare il tema, ma mi sbagliavo.
«No, non è vero. Non è colpa tua» risponde, addolcendosi, «Ti sto solo chiedendo di non trattarmi come se avessi voluto io la cosa o l'avessi iniziata».
«Peró vi siete baciati. Stiamo tornando al punto di partenza, Amanda, quello in cui io dovrei far finta di niente solo perché sei tu a chiedermelo».
«Non devi farlo, so anche io che non è possibile e che se fossi al posto tuo non ce la farei...» la interrompo.
«Ma?».
«Ma» sospira quasi arresa, «Niente».
Mi impunto, quasi anche con i piedi. «Parlami, dimmi quello che devi dirmi».
«Non ci riesco se mi tratti così. Ho l'impressione che qualunque cosa io dica, tu la voglia capire a modo tuo e non voglio che ti arrabbi con me se non mi lasci nemmeno cercare di spiegare».
«Amanda, non c'è nulla da spiegare! Asher ti ha baciata e questo ha mandato a puttane tutto quello che eravamo riusciti a mantenere a galla fino ad ora. Non è difficile: quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Cazzo, non puoi dirmi che si è trattato di un semplice bacio» mi gratto il mento disperato, «Questo cambia ogni cosa, letteralmente tutto. Lo vuoi capire?».
Ho straparlato, mi sono lasciato andare. Ho sbagliato, avrei dovuto dire le cose con più calma, non aggredirla così.
Mi dispiace.
Non so fare altro, non so essere diversamente.
Probabilmente sono una brutta persona, un pessimo fidanzato, ma nonostante questo, non riesco ancora a guardarla negli occhi. È difficile anche soltanto posare lo sguardo su di lei, almeno sul suo capo, giusto per accertarmi che sia ancora lì.
Ci spero. Mi auguro che stia continuando ad ascoltarmi, anche se è difficile e le fa male.
Giuro che non voglio ferirla, ma semplicemente farle capire come mi sento. Sicuramente lo sto facendo nel modo sbagliato, ma è l'unico che riesco ad esprimere. Sono troppo arrabbiato e deluso per pretendere di non essere tale.
Respiro, cerco di darmi una calmata e mettere a freno la lingua. «Tu forse non sai come mi sento... come mi sono sentito in queste ultime settimane». Faccio una pausa di esitazione, non so se essere sincero o nascondere nuovamente quello che mi porto dentro.
Non voglio essere un ulteriore peso per lei, non voglio farla stare in pensiero o sentirsi colpevole anche per questo, eppure... sono bruciato vivo dal desiderio di farle sapere quanto sto male. E sì... voglio anche che provi pena per me, che mi compatisca un pochino e magari cerchi di curarmi.
Se non sarà questo a smuoverla, allora non ci sarà più nulla da fare. Sono disposto a farmi vedere a terra, nel buio più profondo, pur di avere anche solo una possibilità che lei verrà a cercarmi e mi tirerà su con sé.
«Ti sei allontanata di colpo da me, senza avvisarmi o darmi una spiegazione. Ho semplicemente dedotto e alla fine le mie paure sono state confermate: mi stai lasciando indietro. Non so se lo stai facendo per me, per te stessa, per noi o per Dio sa chi, ma è chiaro che tu non mi voglia più al tuo fianco, o meglio, che tu non mi voglia nella nuova vita che inizierai a New York».
È doloroso. Mi si stringe il cuore e lo sento creparsi, perché non avrei mai pensato di dover dire certe cose ad alta voce. Finché dei pensieri sono dentro di noi possono sembrare innocui, ma una volta scivolati fuori dalla lingua, via dalle labbra, diventano realtà, non più fatti fittizi.
Queste sono le mie paure ed ora sono vive, sono vere e divorano entrambi.
«Il problema non è nemmeno questo, non posso obbligarti a volermi o ad iniziare qualcosa che entrambi sappiamo essere difficile, ma... è il modo in cui mi stai lasciando andare» chiudo gli occhi. Quello che sto per dire è così difficile, che mi fa male la gola e la voce scricchiola.
«Ho paura di toccarti, di prenderti per mano o darti un bacio. Temo che la tua reazione sia negativa, che tu non lo voglia o ne senta il fastidio. Lo vedo come mi guardi quando lo faccio, sembra quasi che ti faccia male, che... lo odi».
Aia. Questo l'ho sentito anche io.
Un colpo dritto allo stomaco.
«Due persone che si amano non dovrebbero odiarsi. Non dovrei nemmeno stare a pensare di fare una cosa, dovrei farla e basta, ma ultimamente con te ho paura di sbagliare in ogni cosa che faccio e ho il terrore di allontanarti ulteriormente».
Dopo quella che mi è sembrata un'eternità, riesco finalmente ad alzare lo sguardo. Non so cosa aspettarmi, quindi lo faccio lentamente, mi prendo tutto il tempo di cui ho bisogno.
Prima le mie iridi si posano sulle sue caviglie.
I piedi sono poggiati a terra, bloccati contro il pavimento.
Scorro verso l'alto, arrampicandomi sui lembi di pelle nuda delle gambe, lasciati scoperti dai pantaloncini vecchi. Anche il tessuto della maglia mi è d'intralcio, quindi lo oltrepasso con fretta, scaraventandomi con troppa forza contro il suo collo teso.
Non so nemmeno come faccia a deglutire, perché le nervature della gola sono così aggrovigliate e fitte, da distinguersi chiaramente perfino a questa distanza.
Ha le clavicole troppo sporgenti, le si vedono le ossa delle spalle. Sembrano due chiodi incastonati in una trave di legno troppo matura per essere usata.
Sono preoccupato. Ha perso tanto peso in queste settimane ed è successo di colpo. Non sembra essere nemmeno lei, sinceramente.
È fragile e richiusa su se stessa, una persona insicura che non era.
Possiamo dare la colpa allo stress e alla partenza, ma so benissimo che che c'è qualcosa di più grave che la turba e si tratta esattamente di me. Ne sono consapevole perché anche per me queste settimane sono state difficili e ci sto soffrendo così tanto, da trascurare me stesso.
Quando si sta male per un'altra persona, quella persona stessa diventa il centro dei nostri pensieri e spesso, magari senza nemmeno rendercene conto, è come se ci fosse uno specchio a dividerci.
Se lei sta male, anche noi stiamo male.
Non contano tutte le volte in cui ci diciamo che non c'importa o che va bene così e le cose possono andare avanti. Il pensiero è sempre fisso in quel punto. Possiamo girarci attorno quanto vogliamo, ma riusciamo ad allontanarcene un poco di più solo quando ce ne dimentichiamo. Che poi non ce ne dimentichiamo mai veramente...
Non potrò mai dimenticare l'intensità del suo sguardo. È in grado di attanagliarti con una sola mossa. Diventa la tua prigione se non sai come guardarlo. Non vuoi più liberartene, si trasforma in qualcosa di essenziale, una delle poche ragioni che sono in grado di farti sentire qualcosa, di far battere più velocemente il cuore. Amanda ha sempre avuto uno strano effetto su di me, quasi afrodisiaco.
Mi viene un brivido quando i nostri occhi si incontrano. Questo formicolio mi mangia la spina dorsale, incastrandosi in ogni cellula del mio corpo.
È un impatto forte, brutale ma dolce, bello ma difficile. Pare la prima volta. Un flash mi riporta alla sera in cui ci siamo incontrati, all'istante in cui i miei occhi si sono posati su di lei e la mia mente ha ideato un pensiero tanto banale quanto sincero: questa è la donna più bella che abbia mai visto.
Questa donna la è ancora. Rimane bellissima, con i suoi capelli scompigliati e gli occhi gonfi, con le iridi arrossate e il naso che cola, con le labbra rosse dai morsi e il corpo così esile da sembrare potersi spezzare.
Amanda è ancora tutto quello che voglio.
Ma io non sto parlando di una bellezza che è solo fisica. Sto parlando di chi è lei veramente e dell'aura che la circonda. Ha una forza di attrazione impressionante e gli occhi sono il passaggio attraverso il quale fa incatenare a sé cuori come il mio.
Tuttavia, ora i suoi colori sono sbiaditi ed io non posso che pensare che sia colpa mia, che probabilmente se fossi diverso anche lei sarebbe diversa e starebbe bene. Forse, senza di me starebbe meglio. Tornerebbe a risplendere, non dovrebbe pretendere nulla e nemmeno dare più di quello che le viene chiesto. Sarebbe serena e felice... libera.
Questo pensiero mi tormenta. Sembra materializzarsi davanti ai miei occhi sotto forma di ombra nera. Mi oscura la vista, spezzandomi via dallo sguardo di Amanda, che mi fissa inerme senza sapere cosa dire o cosa fare. È paralizzata, immobile. Mi fissa.
Aspetta dell'altro, probabilmente ha già capito tutto quanto.
È questione di minuti prima che la verità trapeli, bisogna resistere solo un altro po'.
Mi mordo nuovamente l'interno della guancia, facendomi male. «Non- non facciamo l'amore da settimane. Mi sembra quasi di aver dimenticato la morbidezza della tua pelle o il profumo sul mio cuscino dopo una notte passata ad amarci».
«Non voglio farlo, ho paura. Sono terrorizzato all'idea che non riusciresti a guardarmi negli occhi o che mi allontaneresti» abbasso la testa, «Questo mi distruggerebbe».
«Non ho bisogno di farti mia per sapere che la sei, ma l'odore della tua pelle e il respiro sulle mie labbra mi hanno sempre detto che c'eri e che eri lì per me, per noi. Pensare di vivere un momento del genere in altro modo, con noi distanti e solo dei corpi che si vogliono... non lo posso accettare» scuoto forte la testa, nauseato a parlarne, «E non voglio viverlo. Non sarei più la stessa persona, dopo. Cambierebbe tutto quanto e io voglio avere un ricordo bello dei nostri momenti, di ogni singolo istante passato insieme, anche quelli più difficili».
Mi manca il respiro. «Però, se non ti senti al sicuro con me, significa che non abbiamo motivo di esistere. Se non riesci a parlarmi o a guardarmi, vuol dire che non ti fidi più. Se fai fatica a baciare me, ma con qualcun altro è semplice ed è cosa da niente, allora io non sono quello giusto per te. Probabilmente siamo cambiati entrambi ed ora non stiamo più bene insieme, non come un tempo».
Taccio. Mi prendo del tempo per respirare e scrollarmi di dosso questa strana sensazione che mi mangia la bocca dello stomaco. Cresce in me come un campo di rose, facendo dilagare le spine per tutto il mio corpo.
Poi mi attaccata ed io incasso ogni singolo colpo. Certo, non senza difendermi, ma mi prendo tutto, perché in fondo è quello che merito e se deve andare così, allora è giusto che vada così.
Lo abbiamo deciso entrambi, oramai non si può cancellare quello che abbiamo deciso di scrivere. Bisogna soltanto andare avanti, non staccare la penna dal foglio.
«Sei meschino».
La voce di Amanda è un ruggito. Rimbomba tra le pareti del salotto come fosse un terremoto.
Mi fa sobbalzare dall'inattesa.
Non mi lascia il tempo per riprendermi, perché parla di nuovo, sempre con un tono forte e deciso.
«Parli come se fossi sempre io quella nel torto, come se non m'importasse nulla e mi stessi vivendo tranquillamente la situazione, fregandomene di te e di quello che provi» vacilla per un solo misero secondo, «Ti ho messo davanti a tutti, perfino a me, molte volte. Ti ho perdonato anche quando mi hai ferita in modi che per qualcuno potrebbero essere imperdonabili. Ho accettato rabbie scaricate addosso a me per colpa di frustrazioni di terzi, parole così scarne e nere da spezzarmi il cuore in due e scenate denigranti dalle quali avrei soltanto voluto scappare».
«L'ho fatto per te, per amore» marca ogni singola parola ed ad ognuna di esse è un colpo allo stomaco.
Poi fa qualcosa che non mi aspetto, qualcosa che per poco non mi fa indietreggiare di alcuni passi e rischiare di cadere all'indietro. Si alza dal divano e in un lampo mi si piazza davanti, fronteggiandomi
«Io ti ho perdonato quando mi hai umiliata davanti alla mia famiglia perché eri insensatamente geloso di Froy, quando eri arrabbiato per la notizia di Maya, quando quel giorno stesso hai accusato mio fratello di essere un infedele incapace di diventare padre, quando non hai aperto bocca o alzato un dito per difendermi da un'altra donna e per tutte le volte in cui mi hai ferita e poi hai fatto finta di nulla ed abbiamo preteso che niente fosse mai accaduto».
«Ho messo da parte i miei sentimenti, il dolore e il rancore... solo per te, perché ti amo e voglio averti al mio fianco in ogni istante della mia vita».
Azzardo ad alzare lo sguardo ed il suo volto è cosparso di lacrime.
Eppure, nelle pupille verdi le leggo una convinzione così ardente ed una tale determinazione, che mi sgomento profondamente, colto completamente alla sprovvista.
D'accordo, Amanda. Ho capito.
Mi dispiace.
«Ho sbagliato. Non ho mai detto il contrario. Lo ammetto e non mi nascondo, altrimenti non sarei qui davanti a te, adesso a prendermi tutte queste parole e questi sguardi» raccoglie la salsedine dalle guance, sfregandosi gli occhi, «Mi sento malissimo per quello che è successo, sono così disgustata che faccio perfino fatica a guardarmi allo specchio, perché ogni cosa mi riporta al tuo sguardo deluso e mi fa male, tanto tanto tanto male sapere di averti ferito, soprattutto per qualcosa che non avrei mai voluto, che mi fa schifo e che odio.
Ma dimmi... cosa posso fare? Cosa devo fare per farti capire che per me ci sei sempre stato solo tu e che non sto passando nemmeno un giorno senza pensarti? Cosa posso fare per assicurarti che Asher è il passato e il mio presente sei solo tu?».
Si avvicina ulteriormente, ma solo di un piccolissimo passo. «Sei il centro di ogni mio pensiero. Ti porto con me in ogni momento, anche quando avrei bisogno di una pausa ed un po' di tempo per me stessa. Eppure quando ne ho la possibilità, non lo voglio più. Io non ci riesco proprio ad eliminarti dalla mia vita, mi dispiace tanto Scott».
Non farlo. Ti prego.
Però...
«Ho provato a pensare come sarebbe se tu non ci fossi ed ogni risposta che ho trovato mi ha terrorizzata. Pensala come vuoi, che sia amore, bisogno, abitudine o tutto insieme, ma quello che conta è che provo questo per te e non posso pensare di farlo per qualcun altro. Non credo ci riuscirò mai».
Come sono letali parole tanto dolci. All'apparenza sono perfette, ma sotto alla corteccia celano armi spaventose.
«Allora perché mi stai tagliando fuori?» domando con un filo di voce.
Non trovo un nesso logico tra le sue parole e le sue azioni. Sembrano intenzioni provenienti da due persone diverse. Se davvero mi volesse così vicino come dice, non farebbe di tutto per allontanarmi.
Non riesco proprio a capire.
La sua risposte è immediata, «Non lo sto facendo. In realtà non so nemmeno cosa sto facendo, sono molto confusa».
Distogliamo lo sguardo nel medesimo istante, ma anche se ce ne rendiamo conto, non lo riagganciamo.
«So solo che non voglio deludere nessuno, soprattutto me stessa e tutto quello per cui ho lavorato, rinunciando a tanto» ammette.
Sento di dovermi difendere, «Non ti ho mai chiesto nulla, lo sai».
«Sì. Però lo sai anche tu che se ti avessero trasferito a New York io sarei stata la ragazza più felice al mondo. Non ti avrei mai lasciato indietro, eppure mi fai sentire come se fosse colpa mia, come se io potessi o dovessi fare qualcosa per trovare una soluzione».
«Non è così, per nulla».
«Però mi fai sentire in questo modo, quindi evidentemente, qualcosa che non va c'è» rilascia un sospiro gravoso, «Dimmi la verità, sei più arrabbiato per il bacio o per il fatto che parta e ci dobbiamo separare?».
Sto per rispondere d'impulso, ma mi trattengo all'ultimo. «Sono triste perché non voglio fare nulla per farti rimanere. È giusto che tu parta». Lo penso davvero, lo giuro.
«E sono arrabbiato perché un altro uomo ti ha baciata con tanta semplicità, senza sapere il riguardo che ci metto io, solo perché temo che tu non lo voglia o che per entrambi sia troppo».
«Non lo è, Scott. Non lo è mai stato» soffia, «Ma ho bisogno dei miei tempi. Mi dispiace, ma non riesco ad essere quella che ero, né con te né con altri» si scusa, «Se vi metteste completamente nei miei panni, forse mi capireste davvero, ma va bene così, non posso pretendere nulla».
«Cosa vuoi che faccia, allora? Mi sembri irraggiungibile. Ogni cosa che cerco di fare per starti accanto, mi porta ancora più lontano e tu prendi distanza. Non parliamo più come una volta, non riesco a capirti. Forse tu non ti esprimi o sono io a non ascoltare. Non lo so...».
«Questo è il problema» annuisce, «Che non riesci a capire quello che dovrò affrontare da sola. Riponi troppa fiducia in me. Tutti voi pensate che solo perché ho un certo carattere e mi dimostro forte, allora andrà tutto bene. Ma non è così, la verità è che mi ritroverò sola da un giorno all'altro e dovrò pretendere di stare bene anche quando starò malissimo, solo per non farlo pesare a nessuno».
«Questo è ciò che ho sempre fatto, fin da bambina: farmi andare bene tutto. Sorridere e ringraziare, sorridere ed annuire... solo per compiacere gli altri, per non farli stare in pensiero per me. Ed eccomi qui, a farlo di nuovo, per l'ennesima volta. Sola, ma con te ed i miei che mi mettete pressione e mi soffocate senza nemmeno rendervene conto e per qualcosa che non posso darvi senza dover per forza rinunciare ai miei desideri».
«Quindi no, Scott... non sono egoista» incrocia le braccia al petto, «Mi rifiuto di pensare di essere egoista dopo tutto quello che ho fatto per noi. Non posso permettere a me stessa di credere una cosa del genere, perché quando sarò a New York, nessuno si ricorderà più di questo egoismo, tranne me, che sarò sola a rimuginare su tutto quello che avrei potuto fare per non sentirmi così miserabile e tenerti nella mia vita nella maniera in cui tu vuoi stare».
«Ma io ci sarò...».
«No che non ci sarai!» spezza l'aria, «Nessuno di voi ci sarà. Tu non sarai a cinque minuti di macchina, così come la mia famiglia ed i miei amici non saranno a distanza di una stanza o un isolato. La vita funzionerà in modo diverso per me e per voi. Possiamo girarci attorno quanto vogliamo, ma andrà così. Dobbiamo accettarlo, prima o poi».
«Cosa devo fare? Cosa posso fare per starti vicino?» sono io a chiederglielo con le mani in mano.
«Accettare la mia scelta».
«L'ho fatto, l'ho accettata».
Scuote il capo, «No, non l'hai fatto, altrimenti non ne staremmo discutendo».
Aggrotto le sopracciglia, «Ma non ti ho mai chiesto di rinunciarci».
«Non a parole... ma credimi che l'ho capito anche così».
Sono io a non capire, invece.
Cosa avrebbe voluto che facessi? Chiederle di restare non era cosa da fare, ma nemmeno fingere che non debba partire.
Come mi devo comportare? Più di così non so cosa fare, dico davvero.
Cosa mi sta chiedendo esattamente?
«Io tornerei da te ogni volta, altre cento o mille volte, pur di non perderti. Sono disposto a resistere alla distanza e a tutto quello che comporta, nonostante la tua insicurezza su tutto quanto. Ma per te questo non esiste e non è ancora abbastanza. Non lo trovi un po' ingiusto?» chiedo, senza filtri.
Mi guarda e nega con la testa. «È esattamente quello che ho fatto io, Scott». Intensifica lo sguardo, «Potrei porti la stessa identica domanda».
«E ha funzionato, secondo te?».
Si stringe nelle spalle, sconfitta in viso e in cuore. «Non lo so».
«La vera risposta è no» dico per entrambi, «Ma perché?».
Non la trova. Rimane a guardarmi come se ce l'avessi scritta da qualche parte sul volto.
Io faccio lo stesso con lei, scrutandola nel disperato tentativo di scovarla e porre fine a questo momento straziante che dura da così tanto ma anche da così poco, da non sembrare nemmeno star accadendo.
Forse è un sogno. Nulla è reale e niente sta accadendo. Mi sto immaginando tutto quanto, a breve mi sveglierò e sarà diverso, noi saremo uniti e staremo bene. Deve sicuramente essere così, altrimenti non si spiega.
Come un ingenuo, mi porto di nascosto due dita sul braccio opposto e mi pizzico la pelle quel poco che basta a darmi dell'idiota da solo.
È reale. Siamo entrambi fatti di carne e siamo qui, in questo momento.
Purtroppo, non c'è ancora risposta alla nostra domanda. Ne rimaniamo entrambi delusi. Lo vediamo una negli occhi dell'altro.
Siamo anche spaventati, perché pensavamo davvero di poterla trovare. O per lo meno uno di noi. Una sola risposta sarebbe stata abbastanza, avrebbe arginato le cose per il tempo che bastava a trovare anche l'altra e alla fine avremmo risolto le cose.
Ma non c'è stata e questo significa tanto. Significa una serie di cose di cui entrambi abbiamo paura e che fino a questo momento pensavamo di poter affrontare con il reciproco sostegno. Tuttavia, ora ci ritroviamo a dover fare tutto da soli, individualmente, separati.
Come è potuto succedere? Pensavo che avremmo davvero potuto superare anche questo, che questa volta avrebbe funzionato.
«Perché?» ci voglio provare ancora.
«Perché?» lo rifaccio.
«Ti prego, dimmi perché» la supplico, sentendomi le ginocchia tremare.
Non cadere. Non inginocchiarti davanti a lei. Non supplicarla. Non aggrapparti al suo corpo. Non chiederle di amarti per ancora un altro po'. Non dirle che lei è stata la prima che tu abbia mai amato veramente. Non farle pensare che senza non sai cosa fare e ti senti perso. Non condividere tutti i progetti futuri che avresti voluto realizzare con lei. Non prometterle che la aspetterai. Non chiederle di non gettarti via. Non lasciarti andare.
Sii forte. Sii forte.
Questo è il limite. Il mio. Il suo. Di tutto.
Siamo al capolinea. Sembrava impossibile per due come noi, innamorati perdutamente e insaziabili di noi stessi, ma è accaduto.
Abbiamo lasciato che accadesse ed abbiamo deciso di perdere, di perderci.
Odio quel momento in cui la rabbia si trasforma improvvisamente in lacrime. Questa volta è un altro tipo di rabbia, però. Si chiama "consapevolezza di non poter fare più nulla".
È un nome furbo per nascondere la codardia e la debolezza.
La verità è che mento a me stesso. Dico menzogne mentre penso a quanto non potrei mai essere arrabbiato con lei, voltarle le spalle o arrivare ad odiarla.
Amanda è una bella persona, la donna di cui sono innamorato e per cui farei ogni cosa.
Lei mi rende felice. Come posso pensarla in una luce negativa quando tutto ciò che vedo è soltanto l'amore che provo?
Devasta sapere di non poter cambiare idea su qualcuno così velocemente, di essere corroso dall'interno da sentimenti in guerra, perché per quanto dovrei allontanarmene subito, c'è sempre qualcosa che mi spinge verso di lei.
Tutti i momenti che abbiamo passato insieme, i gesti, le parole, le promesse, le confessioni e le difficoltà... non possono essere spazzati via con un solo gesto della mano. Continuano ad esistere e temo che lo faranno per sempre, perché sono stati troppo importanti per venire rinchiusi in un angolo polveroso del cuore.
Mi dispiace ammetterlo, ma sarebbe troppo facile. Significherebbe che non ci è mai importato nulla e che non siamo mai stati veramente innamorati, importanti l'una per l'altro. Noi sappiamo che è il contrario, che quello che abbiamo avuto è stato vero e vivo, forse anche più di noi stessi.
È per questo che ora è così difficile. Perché io non voglio rinunciare a niente, non voglio sentirmi perso o venir privato di tutto quello che ho avuto fino ad ora, per cui mi sembra di aver aspettato una vita intera.
Non è giusto. Pensavo di meritarmelo. Credevo che finalmente anche io sarei potuto essere felice e che questa volta sarebbe durato a lungo. Ero sinceramente perduto nell'idea che con Amanda sarebbe andato bene per sempre, perché avevo trovato la persona giusta. Lo penso ancora, in verità. Sono più che convinto che lei sia la sola, l'unica in grado di farmi sentire cosa sia veramente l'amore.
Ma allora... perché?
Perché deve andare così?
Perché sono bloccato su di lei?
Perché non riesco a pensare ad un momento in cui siamo separati e non dobbiamo renderci conto di nulla?
Perché mi sento morire se mi chiedo cosa sarebbe successo se non ci fossimo mai conosciuti?
Perché è così difficile?
Perché continuo ad amarla?
Perché lei non mi ama quanto io vorrei essere amato solo da lei?
Perché non possiamo semplicemente stare insieme e fregarcene di tutto il resto?
Cade. Una lacrima mi scivola via dall'angolo dell'occhio destro e si butta verso il basso, precipitando nel vuoto.
Un'altra. E poi un'altra ancora. Sono inarrestabili e io le lascio andare, di nascosto ed in silenzio, sicuro che Amanda non mi stia guardando, fiducioso che i suoi occhi siano così pieni e straripanti di emozioni da non distinguere ciò che è suo da ciò che in realtà è mio.
Non ci si accorge di chi piange quando noi stessi stiamo piangendo. Le lacrime sono lacrime, sono come uno scudo oltre al quale non si riesce a vedere nulla. Tuttavia, non proteggono. Anzi, rendono ancora più deboli, ti sgretolano dall'interno e lo rinfacciano a tutto il mondo.
Questo pianto non è rabbioso, furente. È una cascata di stille salatissime, rigonfie di così tanta tristezza e amarezza da farmi strozzare con il groppo in gola. Tristezza per quello che stiamo perdendo e amarezza per tutto quello che saremmo potuti ancora essere.
Mi sento in colpa. Mi sento in difetto per ciò che sto pensando di lei, per quello che sto provando e che mi è entrato in testa con così tanta profondità da scombussolarmi perfino le viscere. Non sono pensieri razionali, sono guidati dal momento.
Una parte di me si era da tempo convinta che Amanda non mi avrebbe mai portato a questo limite, che non avrei dovuto rispolverare emozioni chiuse nel cassetto da un lucchetto grande quanto una montagna. Eppure è successo. Però è esilarante, perché non è mai esistita nessuna chiave per aprirlo, non è mai stato chiuso, non per lei.
Non è mai esistito nessun lucchetto.
Le ho concesso il libero accesso alla mia anima, senza voler nulla in cambio, nessun accordo su come trattarla o fino a dove poter arrivare.
Quindi, è naturale che lei ora la stringa con un pugno per vedere quanto possa resistere prima che esploda e scompaia.
Sono andato io troppo in là, lei non ha colpe. Mi sono affacciato ad un tetto senza ringhiere e sto guardando verso il basso nonostante soffra di vertigini. Se cado, è solo colpa mia, non di chi mi spinge o di chi ha ideato questo tetto.
Forse è questa la risposta: non credere di poter essere feriti da qualcuno e venir trafitti proprio da colui per il quale si aveva abbassato tutte le difese, lasciandosi completamente scoperti.
Insomma... il nemico inaspettato. Una delle persone più care che si hanno, l'unica presenza che si vuole e si custodisce.
Quindi è così. Alla fine è stata proprio Amanda a farmi più male.
Ed anche se è un male non comparabile a nulla di quello che ho provato, so che il suo è quello più forte, dal quale difficilmente guarirò, per il quale rimarrò sveglio notti intere e la cui percezione non dimenticherò a lungo.
Lo vivo già adesso questo vuoto. Mi libera il petto e me lo appesantisce allo stesso tempo.
Sto piangendo per lei. Non ho più paura di farmi guardare.
«Amanda» la richiamo, perché oramai mi sembra svanita nel nulla.
«Vieni qui, per favore» supplico, cercando di muovere le gambe, senza alcun successo. Sono di pietra, dure come macigni.
Una folata del suo dolce profumo mi suggerisce che mi ha sentito e che lo sta facendo veramente. Infatti, ci ritroviamo in un battito corpo contro corpo, senza però riuscire a guardarci direttamente negli occhi a causa della differenza di altezza.
«Hai ragione, su tutto» sussurro, con le corde vocali che si spezzano, «Non ho alcuna voglia di lasciarti andare e vorrei che rinunciassi a tutto pur di stare con me. Sono egoista e uno stronzo senza fine, per oggi, per ieri e per tutte le volte in cui ti ho trattata male senza un motivo e soltanto perché sapevo che ci saresti stata comunque».
«Anche ora, credimi che farei di tutto per dissuaderti dal partire e farti credere che stai facendo la scelta più sbagliata della tua vita» vorrei tirarmi uno schiaffo da solo e farmi più male che posso. «E non dovrebbe andare così. Non dovrei metterti di fronte ad un bivio ed obbligarti a scegliere tra me e te. Una persona che ti ama in modo sano non farebbe questo».
«Tu-».
Non le lascio spazio per parlare. «Così non va bene. Questo non è il modo giusto per dirti che ti amo. Vorrei che fosse il contrario, ma sono consapevole di quanto impreparato io sia ad offrirti quello che tu più desideri» le afferro un braccio con la mano, trasalendo a quel contatto tanto vicino. «Quindi te lo dico con una sincerità che mi strazia. Amanda, io non penso di essere pronto a renderti veramente felice» piango, senza pudore, senza difese. «Come tu non sei pronta ad amarmi senza freni, con l'intensità di cui ho bisogno».
Respiro a malapena. Mi sento mancare, ma ho ancora la forza per aggrapparmi a lei.
«Noi non siamo pronti» sussurro. «Scusami».
Lei ha bisogno di stare bene, di cominciare una nuova vita felice.
Con me non può farlo. Non ora, non nelle condizioni in cui entrambi versiamo. Tenerla legata a questa relazione significherebbe soltanto ferirla e farla star male. Sarebbe un peso di cui non ha bisogno e per cui non voglio sentirmi in colpa.
Amare dovrebbe essere un gesto spontaneo, che porta gioia e serenità. Non qualcosa di forzato e tempestoso, al solo pensiero del quale ci si vuole nascondere o si sente il bisogno di scappare.
Io devo lasciarla andare.
Tendo il braccio verso di me, facendola sbattere contro il mio petto. Smuovo le spalle dure e l'avvinghio contro il mio corpo rigido. L'abbraccio forte, più stretto che posso, facendole anche male.
È calda, bollente. Ha un profumo buonissimo, mi fa subito distendere i nervi. Inspiro l'odore della sua pelle all'altezza del collo, dietro l'attaccatura dei capelli morbidi. Mi godo la sensazione di totale pace e serenità che il tocco della sua guancia sul mio petto mi trasmette.
Penso alla fragilità del suo corpo, così piccolo e indifeso contro il mio. Imprimo nella testa, in profondità, la sensazione dei miei polpastrelli ruvidi contro la carne fatta di porcellana e ripenso alla morbidezza contro cui le mie labbra si sono sempre scontrate.
Ho sempre dato tutto per scontato. Ed ora, nonostante sia immerso nel momento più bello di sempre, ne sento già la mancanza, quasi fosse una strana malinconia codarda.
Uno riesce a vivere per mesi con le lacrime agli occhi, le notti rumorose, il nodo alla gola e la rabbia. Però, difficilmente si ricorda dei momenti come questi, belli da morire ma fugaci come l'aria.
Per Amanda deve essere diverso. Si merita di essere veramente serena, di non piangere per nessuno e di sapere toccare con un dito la felicità. Una persona bella e genuina come lei non deve stare male per uno come me. Io starò bene, ma lei no se continuiamo ad agire in questo modo e a prendere decisioni sbagliate pensando invece di farci del bene. Non è giusto, non lo è affatto.
«È finita».
Mi sbagliavo prima. La persona a farmi più male sono stato proprio.
E continuo a farlo, perché proverei tutto il dolore di questo mondo pur di non farne sentire nemmeno una goccia a lei.
Questa è la mia decisione. Non tornerò indietro.
È la cosa giusta da fare, per il bene di entrambi.
BUONASERA SCOTTINE 💌
Per una volta, non starò a dilungarmi troppo, ma lascerò parlare voi.
Io ho fatto abbastanza.
Quindi sì, ve lo chiedo: cosa ne pensate?
So che ci sarebbe tanto da dire, ma nemmeno io riesco a trovare le parole giuste. Spero che abbiate colto ogni singola emozione, ogni parola e ogni frase. 🗝
Grazie. A presto💗
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