32. Courage
Tamburello le dita sul legno rigido, provocando un rumore fastidioso che sembra martellarmi fra le tempie.
Le increspature venose della superficie color porpora si diramano come capillari in un mare di frammenti minuscoli, che mi incrociano la vista, fino a farmi incantare.
Il brusio delle persone intorno a me sembra farsi sempre più fastidioso ad ogni minuto che passa, quindi mi ritrovo a battere il piede con insistenza contro il pavimento piastrellato.
I miei occhi chiari setacciano ogni centimetro della caffetteria, balzando da quadri di arte contemporanea a volti di ogni semplicità e rarità.
Probabilmente sembrerò una pazza.
Mi stringo le braccia al petto, sentendomi a disagio nonostante nessuno stia facendo caso a me, che nascosta in un angolino non faccio altro che controllare la porta d'ingresso ogni tre secondi.
Ho una strana sensazione addosso.
Scuoto la testa come se ciò bastasse ad alleviare il peso dei miei pensieri, ma peggioro solo la situazione, sentendo la spremuta che ho bevuto appena cinque minuti fa, bruciarmi la gola come se si trattasse di peperoncino in polvere.
«Calmati» sussurro a denti stretti, portandomi una ciocca ribelle di capelli chiari dietro l'orecchio, «Non ti ha dato buca» mi rassicuro, lanciando una veloce occhiata di lato.
Niente... non lui.
Ritorno a guardarmi intorno, concentrandomi sul soffitto costellato di edere verdi come le fronde di un pino, raggruppate in ghirlande ordinate, che danno l'impressione di trovarsi al posto delle nuvole e guardare dall'alto un prato fiorito.
Un colpo di tosse mi fa sobbalzare sulla sedia, facendomi scivolare dalle dita il piccolo barattolino contenente i tovaglioli.
Lo seguo con gli occhi mentre rotola indisturbato verso il bordo del tavolo, pronto a suicidarsi per terra.
Una mano gracile e tempestata da tatuaggi color cenere, lo afferra proprio quando lo stavo dando per spacciato, rimettendolo in posizione verticale e stabile.
Saetto lo sguardo sulla ragazza che mi guarda con i suoi grandi occhi marroni, «Posso portarti altro o stai aspettando qualcuno?» domanda dolcemente, senza accorgersi minimamente del mio travaglio interiore.
Sto per vomitarle addosso, cazzo.
Quel succo all'arancia deve essere stato marcio, perché sento il mio stomaco sottosopra.
«I-io» umetto le labbra secche con la lingua, cercando di recuperare la salivazione che mi sta lasciando a secco, «Sto aspettando» mi limito a dire, distogliendo gli occhi dai suoi magneti succhia anime.
Ma la vedo nuovamente lì, di fronte a me, con la mano ancora posata sul pezzo di latta, come se si volesse assicurare che rimanga in quel preciso punto.
«Mi dispiace, ma non puoi restare a lungo al tavolo senza consumare» si mortifica, spostando il peso su una gamba, per attirare la mia attenzione.
Forse... dovrei andarmene.
Ho atteso a lungo.
Annuisco lentamente, iniziando ad indietreggiare con la sedia per potermi alzare.
Il cigolio delle gambe in legno provocano un rumore sgradevole, una nota stonata in mezzo al silenzio borbottato.
Io non capisco.
Perché? Perché non si è presentato?
Non c'è alcun senso a tutta questa situazione.
Tormentata come il mare in tempesta, mi faccio forza e mi sollevo, guardando il pavimento per non incontrare il suo sguardo.
Ho gli occhi rossi, posso percepirlo.
Ho sempre odiato esprimere le mie emozioni apertamente, mettermi a nudo davanti ad occhi sconosciuti, troppo ruvidi e inesperti per percepire ogni spigolo di me.
La pressione sanguigna mi fa girare per qualche istante la testa, dettata dalle poche ore di sonno che ho accumulato in queste ultime settimane.
La notte è la migliore alleata dei pensieri e risulta difficile prendere sonno quando si ha una musica costante nelle orecchie, talmente alta da coprire la propria voce.
«Lei è con me».
Una voce brusca e tagliente, roca come solo il fumo di sigaretta può creare, profonda come soltanto due labbra color mela possono scandire.
Scott.
Non alzo lo sguardo, ferita da una sensazione di orgoglio e dispiacere che non ricordo di aver provato.
Non per mano sua.
«Oh... perfetto. Vi porto i menù, allora» la ragazza si dilegua con la stessa rapidità con cui mi è piombata addosso, facendomi sentire uno strano senso di disagio... a stare con Scott, sola, ad un tavolo di pochi centimetri quadrati, che ora sembrano continenti interi.
Quanto ci vorrà prima che uno dei due scavalchi la propria boria e non abbia paura di chiedere?
So già la risposta, ma non la penso a voce troppo alta, perché potrebbe ferirmi più di quanto io stia immaginando.
Ci immergiamo in un silenzio appiccicoso, che si incastra nello spazio che ci divide, facendolo sembrare ancora più difficile da oltrepassare.
Guardo le mie mani strette l'una all'altra sopra al tavolo, dopodiché prendo coraggio e inseguo le sue, trovandole nella stessa identica posizione.
La pelle è leggermente screpolata fra le nocche, molto più bianche rispetto al resto del dorso abbronzato.
Risalgo lungo le braccia rigide, lasciate scoperte da una semplice maglietta bianca, che segue il contorno del collo, fino a chiuderlo parzialmente nei bottoni allacciati con cura.
Un lembo di pelle più rigonfio e voluminoso, crea un'ombra tagliente proprio sotto l'orecchio, in maniera verticale rispetto al collo.
Rabbia.
Ecco cosa percepisco in quella vena pulsante, violacea e tesa come una corda di violino sul punto di rompersi per colpa delle numerose sinfonie create.
Me la sento addosso, come fosse una folata di vento gelido che mi prende alla sprovvista, impedendomi di voltargli le spalle per non doverlo affrontare di petto.
Scott, tuttavia, non mi concede questo lusso.
No. Non lo fa. Non oggi. Non adesso.
«Ciao» sgretolo il ghiaccio, liberando con le mani il nostro legame, nonostante sia ricoperto di schegge di vetro.
Due magneti, i nostri occhi che si scontrano con vigore.
Le lunghe ciglia folte gli ricadono come piume sulle palpebre, sfiorando ad ogni battito l'arcata fitta, densa delle sopracciglia fuligginose.
Mi osserva attentamente, studiandomi senza rendersi conto di avermi vista un'infinità di volte.
Ma non sono sempre la stessa, nessuno lo è mai.
Le labbra sono strette in una linea dura, che gli crea una piccola infossatura sul mento stretto.
I muscoli della mascella sembrano essere fatti di marmo, stretti in ingranaggi ben avvitati, portatori di parole trattenute con forza, pensieri risucchiati poco prima di essere rivelati.
La pelle perlacea risplende sotto alle luci artificiali color neve, le quali incastrano ombre sinuose sul suo viso già cupo e spigoloso, conferendogli un'aria ancora più tetra.
Potrei pungermi un dito se lo toccassi.
Si schiarisce la gola, «Ciao» breve e coinciso – come lo è sempre stato d'altronde – ma non negli ultimi tempi.
No, non così.
Adesso... nessun abbraccio, nessun bacio, nessuna carezza.
Niente...
Sento il vuoto e la cosa che mi spaventa non è il fatto di percepirlo, ma di non saperne il perché.
Tutti, nessuno escluso – e sfido chiunque a dire il contrario – siamo divorati dalla necessità di dare una risposta a quello che ci tormenta l'anima, ciò a cui non smettiamo di pensare perché abbiamo paura di conoscere, ma di cui, allo stesso tempo, non possiamo fare a meno.
Per la prima volta dopo tanto tempo, preferisco non parlare, ma lasciargli lo spazio e il tempo per raggruppare i pensieri e schiuderli.
È difficile per una come me, abituata a non avere un filtro, un'imposizione che mi obblighi a fermarmi e mettermi da parte.
Non sono così.
E mentirei se affermassi il contrario.
Quindi aspetto, tanto... ma Scott non parla.
Non mi guarda nemmeno, fa finta che io non ci sia, forse per non far scoppiare la bomba il cui timer sta per scadere.
Il conto alla rovescia echeggia nel silenzio delle nostre parole vuote.
«Avete scelto, ragazzi?» la mora ritorna, alleviando la tensione che si era creata.
Scott si volta verso di lei, mostrandomi il suo profilo talmente perfetto da essere degno di un quadro, «Per me un caffè amaro» proclama, dopodiché ritorna a fissare il tavolo, come se fosse in castigo.
Solo Caravaggio sarebbe in grado di immortalare il suo volto su tela, definirne ogni increspatura della pelle con contrasti di luce e tenebra, rispecchiare la sua essenza attraverso pennellate piene e sciolte, trasformare la sua anima in fiumi di colori.
«Uhm, io prendo una bottiglia d'acqua naturale» asserisco, seguendo con lo sguardo la banconota da cinque che il riccio le porge.
Ah... quindi paghi per me, ma non mi parli?
Che cosa ti prende?
Veniamo lasciati soli troppo velocemente, impreparati a provare ad affrontarci di nuovo, ma questa volta metto da parte le contraddizioni.
«Ti ho aspettato per quarantacinque minuti» proclamo schietta, mettendo da parte la rabbia e il risentimento.
Voglio solo che lo sappia, che se lo ricordi.
Avvicina le labbra, sporgendo quello inferiore, mentre scuote la testa in segno di assenso, come se stesse rispondendo implicitamente alla mia affermazione.
«Avresti potuto avvisarmi» proseguo, non potendo fare a meno di notare la sua indifferenza forzata.
Perché mi sta trattando così, dopo tutto quello che c'è stato?
«Ho il telefono scarico» ribatte immediatamente, come se conoscesse già la mia domanda e si fosse preparato una risposta pronta ed impacchettata.
Fittizia.
Afferra il cellulare con una mano, dopodiché lo posa con poca delicatezza sulla parte del tavolino più vicina a me, «Vedere per credere».
Aggrotto le sopracciglia, sentendo una fitta dolorosa allo stomaco.
Questo è un colpo basso.
Mai... mai mi sono permessa di invadere la sua intimità, isolandolo da ciò che lo circonda per tenerlo solo al mio fianco, forzatamente.
E ora, lui mi ricopre di un ruolo che non ho mai recitato: la fidanzata gelosa e possessiva.
Non è giusto.
Lui mi conosce.
Distolgo lo sguardo dal telefono, mordendomi forte la lingua per bloccare le parole che si aggrappano alle corde vocali, proclamando di essere liberate.
Sento che il tempo sta per scadere.
«Maia è incinta».
Tre parole dette alla rinfusa, come se fossero velenose e la lingua non riuscisse più a trattenerle.
Cosa?
Sgrano gli occhi, mentre il sangue mi si gela, e il respiro rallenta. La testa scoppia e le vene alle tempie tamburellando contro la pelle, creando conche di rimbombi urlati.
Maia... sua sorella, è incinta...
Come... come è possibile?
Duncan non mi ha detto nulla. Io, io non pensavo che loro due volessero... creare... una famiglia?
«Duncan?» sussurro flebile, immersa nella confusione più totale.
Mio fratello, una persona d'oro e affabile, ma troppo giovane e confuso per sorreggere una responsabilità del genere, diventerà padre.
Non si tratta di uno scherzo, vero?
«Mia sorella non è una puttana» sputa Scott, bruciandomi con le sue parole aspre.
Ora mi è chiaro, ma fa pur sempre male.
Non ne è felice, non lo è per niente.
Lo posso capire dal linguaggio del corpo, dal modo in cui si muove meccanicamente e con impazienza.
Maia e Duncan... genitori.
Sono contenta per loro, non fraintendetemi, ma conosco Duncan e sono disposta a mettere una mano sul fuoco per convincervi che tra lui e Genelle c'è stato qualcosa.
Entrambi hanno troppo in gioco per ammetterlo, ma ora le cose diventano ancora più complicate.
Impossibili e... dolorose. Arrovellate su loro stesse e su chiunque li circondi.
Duncan avrà bisogno di parlare con me, di confrontarsi con qualcuno di cui si fida.
Io ho bisogno di parlare con lui, di sentire la sua versione, i suoi pensieri.
Semplicemente la sua voce.
Questo, cambia tutto.
E non sto parlando soltanto di loro due, ma di tutti noi.
Le nostre famiglie saranno legate per sempre, se Duncan farà la scelta giusta.
Altrimenti, immagino che tutto si sgretolerà, che l'orgoglio predominerà e alla fine ci allontaneremo tutti, decisi a difendere i nostri pezzi di cuore.
«È una bella notizia» cerco di farlo ragionare, di ritrovare l'animo gentile con cui ho trascorso giorni e notti.
Sembra essere ferito, forse dall'atteggiamento passato di Duncan e ora teme che Maia dovrà crescere il bambino senza un padre.
Ma allora perché mi tiene così distante?
Io non sono Duncan. Io non...
«Bella notizia» ripete, ridacchiando senza divertimento, «Bella notizia» scuote il capo contrariato, passandosi le dita sulla barba ispida e scura.
«Ti rendi conto di quello che dovranno affrontare?» chiede, guardandomi come se la causa di tutti i problemi fossi io.
Ha la mente annebbiata, troppo nitida per rendersi conto del dolore ingiustificato che mi sta recando.
Perché, Scott?
«Lui la lascerà sola» proclama, con tale sicurezza da farmi accapponare la pelle.
Scuoto la testa, «Perché dici così? Tu non lo conosci Duncan» lo difendo, consapevole in cuor mio, che Scott si sbaglia di grosso.
«Ma conosco te» ribatte, puntandomi l'indice affusolato contro.
Mi blocco, sentendo il battito accelerare a dismisura, fino a farmi venire la nausea.
Lui... sa. Sa tutto quanto. Lo ha scoperto prima che avessi la possibilità di parlargliene.
Ed ora ha paura quanto me, solo che la percepiamo da due punti di vista diversi.
«Scott...» sussurro flebile, «Te lo avrei detto» giuro, cercando di afferrare il suo braccio, ma lui si scosta in tempo.
Non si fa sfiorare.
«Quando? Mancano due mesi, Amanda» si morde il labbro inferiore con forza, passando poi all'interno della guancia.
La notizia più bella della mia vita... sfaldata in questo modo, resa triste in un solo istante.
New York è sempre stata la mia sola ed unica scelta.
Non ho mai desiderato altro, non c'è mai stata una seconda alternativa se non la Columbia.
Avevo così paura di fallire nell'unica cosa che conta veramente, che non ho pensato ad un se o un ma. Non ho pensato ad un momento del genere.
Io sono così, rinchiudo le paure ed i dubbi in una scatola, convincendomi che prima o poi le affronterò, ma la verità è che posticipo sempre, arrivando con l'acqua alla gola tutte le volte.
Ed è successo anche questa volta.
Avrei voluto dirglielo subito, ma sapevo che non sarebbe stato facile e trovare le parole giuste è sempre difficile per me.
Ci rimugino ogni secondo e poi, mi pento di ciò che ho detto, o che mi sono tenuta dentro.
Non c'è mai un solo lato della medaglia, per me.
Ma di una cosa non dubito: non rinuncerò a New York.
E sarebbe ingiusto da parte sua chiedermelo, perché io non lo farei mai.
Quindi... perché è così arrabbiato? Perché al posto di tenere nascosti gli occhi non mi stringe forte?
«E quindi tu decidi di buttare tutto all'aria? Proprio adesso?» chiedo furiosa, alzando leggermente la voce.
Pessimo luogo per litigare, una caffetteria.
Scott sembra leggermi nella mente, perché mi indica con un cenno la porta, così ci alziamo, incamminandoci in silenzio.
Una volta fuori, sono costretta a respirare con più veemenza.
Il caldo intenso di luglio sembra volermi avvolgere come una coperta, stringermi fra le proprie braccia fino a farmi mancare il fiato.
«Rispondimi» insisto, guardandolo. «Perché mi allontani, Scott?».
«Tu lo stai facendo, cazzo! Cancelli tutto come se non ci fosse mai stato» riprende, estraendo una sigaretta dal pacchetto quasi vuoto.
Se la infila tra le labbra carnose, «New York rappresenta la nostra fine e tu non ci hai pensato due volte a tenermelo nascosto e saresti andata avanti a farlo, se non l'avessi scoperto io» inspira una boccata lunga, che sembra bruciargli il petto.
«Ero spaventata, okay?» chiudo gli occhi tremanti, «Sapevo che sarebbe andata così, ma speravo che saresti stato felice per me, che mettessi da parte la rabbia e mi mostrassi il tuo appoggio».
L'ho detto.
Non potevo più tenermelo dentro, mi dispiace.
«Io ti sto a fianco, ma tu mi lasci indietro ogni volta, Amanda. Non è questione di essere arrabbiato o no, ma di quello che ne sarà di noi».
Distolgo lo sguardo, addolorata e stremata. «Hai ragione, mi sei sempre vicino, ma è in momenti come questi che ho più bisogno di te e tu... sei così distante».
Sono confusa.
Io andrò a New York, Duncan diventerà padre, Maia avrà un figlio... e di Scott che ne sarà?
Lui in che piani rientra?
«Cosa devo fare? Dimmelo e lo farò» spalanca le braccia, gonfiando il petto. «La mia vita è stata stravolta nel giro di due fottute ore. Non credo di riuscire a pensare razionalmente».
«Anche la mia, Scott» sussurro, torturandomi le mani. «Ne faccio parte anche io ed è per questo che credevo sarebbe stato diverso.
Non avrei mai immaginato che proprio tu mi puntassi il dito contro per qualcosa in cui non ho nulla a che vedere».
Sento il petto pesante e addolorato mentre parlo e lui mi guarda arrampicarmi su una scogliera scivolosa. «Vorrei dispiacermi per la gravidanza di Maia, ma la verità è che sono felice per lei. Comunque andrà sono sicura che sarà una splendida madre. E anche Duncan sarà un bravo padre, indipendentemente dai tuoi giudizi sul suo conto. Quindi ti prego di non odiare me per qualcosa che non ho fatto e nemmeno per una scelta che riguarda il mio futuro. Sarebbe meschino e tu non sei così. Sei gentile e generoso».
Quando smetto di parlare tutto il silenzio del mondo pare rinchiudersi nella bolla creata dai nostri corpi marginali.
Non siamo così distanti, eppure mi sembra di vederlo dall'altra parte del mondo, guardandolo attraverso con un binocolo.
Se potessi dargli il mio cuore ancora, glielo regalerei tutte le volte che bastano a fargli capire quanto per me sia importante.
Perché le parole possono essere fuorvianti e condurre a sentieri che sono distanti dalla strada principale.
Ho bisogno che lui percorra un'unica via e che lo faccia insieme a me.
Glielo posso chiedere, oppure sarebbe una pretesa?
«Non voglio lasciarti andare».
Riesce a dire solo questo, la voce spezzata e la gola stretta in un pugno.
«Nemmeno io. È per questo che avevo bisogno di più tempo. Volevo cercare un modo per dirtelo chiaramente, per farti capire tutto quanto» se solo ne avessi avuto la possibilità, sarebbe andata tutta diversamente e ora non saremmo fragili.
«Io lascio ogni cosa qui, la mia famiglia, i miei ricordi, il mio passato....» trattengo a stento le lacrime, «Sei un ingiusto se hai creduto che sarei partita da un giorno all'altro, dimenticandoti, senza renderti partecipe del mio futuro» lo accuso, strappandogli dalle dita la sigaretta fumante, per gettarla a terra e schiacciarla con la suola delle scarpe, in un gesto di sfogo.
Deve guardarmi negli occhi, farmi capire che noi siamo importanti in questo momento, perché altrimenti potremmo rinunciarci.
Lui deve dirmelo chiaro e tondo.
«Semplicemente non puoi. Vogliamo cose diverse e nessuno dei due è disposto a rinunciarci» mi fissa dall'alto, scandendo le parole per bene, ma io ho già rimosso tutto.
Stronzate. Vuole solo ferirmi ed allontanarmi prima che io possa fare lo stesso a lui.
Quello che non sa, che non riesce ancora a capire, è che io non lo farò.
«No» esclamo con durezza, «L'unico ostacolo ad impedircelo siamo noi e io non ho nessuna intenzione di lasciarti andare. Hai ragione, forse dovremmo rinunciarci, ma non prima di aver provato. Questo non è un discorso che voglio affrontare ora, quindi non lo farai nemmeno tu» questa volta si lascia sfiorare, quindi lo afferro per i lembi della maglietta, attirandolo a me nonostante la sua resistenza.
Lui deve capire. Deve fidarsi.
«Scott...», «Sto realizzando il sogno della mia vita» sussurro al suo orecchio.
La pelle delicata del collo si cosparge di brividi profondi, fino a creare una costellazione di sentimenti, che oggi ci hanno sommerso come onde abissali del mare, per non lasciare altro che schiuma perlacea.
Inspiro il suo profumo, beandomi del calore del suo corpo, nonostante percepisca la rigidità dei muscoli pietrificati.
«Amanda...» soffia flebile, come se non avesse forze.
Poi succede qualcosa di inaspettato.
Mi afferra con uno scatto, chiudendomi la schiena con braccia tenaci. Mi tiene stretta, imprigionata contro il suo petto, mentre continua a respirare l'aria che scorre tra i miei capelli e la maglietta.
La sua pelle è calda ma innaturalmente tesa. Anche i muscoli prima lo erano, ed ora sembrano sciogliersi ad ogni secondo che conto nella mente.
È una sensazione strana, perché sembra un abbraccio dato con irruenza.
Con un bisogno rabbioso.
«Mi dispiace, mi dispiace tanto» simile ad un'amara cantilena. «Maia è mia sorella, capisci? Quando me l'ha detto non ho fatto altro che pensare a tutto il fottuto casino con Genelle e ho sofferto io stesso nel saperla sola in un momento simile. Mi dispiace di aver dubitato di te, di esserti saltato addosso come un vigliacco, senza nemmeno lasciarti il tempo di spiegare. Ho pensato solo a me stesso, come un vero egoista».
Prende fiato per un solo secondo, «E a tutto questo si è aggiunta la notizia di New York ed ho avuto paura, come se dovessi perderti dall'oggi al domani. Scusami, ma non ho mai provato un simile terrore e... e non sapevo cosa fare, cosa dirti o se nasconderlo. Ero arrabbiato perché non riuscivo a capire il motivo per cui non lo stessi condividendo con me, ma ora mi è chiaro e mi sento una persona terribile. Mi dispiace di averti ferita. Lo dico davvero, Amanda».
Ci vuole del tempo per processare tutto quello che ha detto. È stato così veloce e naturale, da sembrare un lampo.
Non riesco a ricordare tutto, ma sento che è comunque abbastanza per poterci fidare l'una dell'altro.
Abbiamo sbagliato entrambi. Io sono rimasta in silenzio e lui ha frainteso. Lui ha esagerato e io non sono riuscita a stargli accanto.
Non fingerò che sia normale, che dovesse per forza andare così, ma non posso mentire dicendo che non mi sento sollevata.
Ne abbiamo parlato e anche se non tutto è stato risolto, siamo stati forti quanto basta da dar voce ai nostri pensieri, alle preoccupazioni che ci stavano divorando.
Non posso pretendere da lui un comportamento che si basa su anche un mio errore. Non riesco in nessun modo ad allontanarmi di punto in bianco da qualcuno che è talmente importante.
Non ora e non domani. Nemmeno quando arriverà il momento di partire per New York.
Dobbiamo almeno provarci.
«Ti racconterò tutto, Scott. Fin da quando ho avuto la risposta di ammissione il mio unico pensiero sei stato tu. Fin dall'istante successivo ho sentito il bisogno di chiamarti e condividere questo piccolo traguardo con me» passo una mano tra i suoi capelli, «Ora so che avrei dovuto farlo».
«No... se non lo hai fatto è perché non era il momento giusto. Mi fido dei tuoi sentimenti e forse è troppo tardi, ma voglio che tu sappia che sono fiero di te. Ci sei riuscita e sono così felice di sapere che è quello che vuoi».
Mi allontano leggermente, portando il viso di fronte al suo.
Gli occhi verdi sono più scuri, ma non nascondono il calore e la luminosità dello sguardo della verità, mischiata ad una mesta malinconia.
Alzo un angolo della bocca, sfiorando la sua guancia con l'indice liscio.
«Voglio anche te, in tutto questo».
Abbozza un sorriso, «Ora lo so».
Mi stringe per i fianchi e si china sul mio esile corpo per eguagliare le diverse altezze.
Le nostre labbra si toccano per qualche istante, in maniera superficiale e dolce, cercandosi per rimediare alle parole dette troppo duramente, in preda al furore del momento.
Risucchiano il rancore iniziale, perdonandosi a vicenda. O almeno ci provano.
CIAO SCOTTINE🍓
Mhm... capitolo piuttosto intenso e viscerale.
Scott non lo abbiamo quasi mai visto perdere la testa, ma sono state la paura e il rancore a prendere il sopravvento.
Il bagaglio di notizie gli è piombato addosso come un uragano, cogliendolo alla sprovvista. 🌊
Maia... incinta. 🐝
Bella storia! Duncan adesso ha un grosso peso sulle spalle e deve fare una scelta molto importante.
Mentre Amanda, ha scelto di inseguire il suo sogno e non rinunciare a New York. 🗽
Voi cosa avreste fatto al posto suo?
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto, ci tengo moltissimo al vostro parere. ❤️
A presto, vi voglio bene. ✨
🦋
Ps. Questo è il mio nuovo nome utente, quindi non spaventatevi se non trovate la notifica del vecchio. Vi piace? 🍀
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