VII. Donne nude e Donne morte
Alle anime rotte,
tornerà la luce.
Attenti agli argomenti di
questo capitolo, vi voglio bene ♡
23 ottobre 2022
LE DONNE.
Le donne sono fondamentali. Che mondo sarebbe senza le donne? Piccole creature che camminano disgraziate sopra la terra per far dannare ogni singolo mortale e non. Venivano rappresentate continuamente in ogni dove: qualsiasi quadro, anche una semplice poesia.
Basti pensare all'amore disperato che provava Petrarca per Laura (Pensavate che avrei inserito Dante e Beatrice? Suvvia, che noia! Che semplicità!) al suo distacco interiore verso Dio, all'affetto verso i beni materiali e al suo amore smisurato per la dolce fanciulla con i seni scoperti e l'animo crudele.
Ma nessuno parla di quelle donne.
Ora facciamo un piccolo esempio, per capire al meglio l'equivoca situazione. Chi avrebbe mai scelto la mela marcia, bucata dai vermi e fatta bruciare al sole, rispetto a quella verde (o rossa) con la buccia lucente e la polpa succosa?
Nessuno.
E non si tratta di fare una morale, e non ho bisogno neanche dei vostri interventi, perché nessuno vi crederebbe! In effetti, un po' per paura, ma anche per rammarico, diciamo che la mela bucata sì, è stata marcia, ma di certo la parte buona può ancora essere sfruttata.
Beh, io, quelle determinate persone li chiamo bugiardi.
Poi ci sono quelle persone che ammettono di buttare il frutto marcio, di evitarlo, e di prendersi per sé quella buona.
È veritiero.
L'avrei fatto anche io.
E così sono le persone. Nessuno prenderebbe per sé un'anima andata, marcia, da curare, lasciandole cadere nel baratro quelle poche speranze che avevano.
E così è la società.
Che classifica le donne e le mette a pari passo delle mele. Quelle buone, di famiglia gentile, le teneva per sé, e le altre donne, quelle che chiamava zingare con il rossetto rosso acceso prosciugato sulle labbra e abiti succinti, le lasciava indietro.
La società non voleva zingare perverse, quella gente, quelle donne, le lascia indietro, a vivere nella loro povertà, e loro ci provano a prodursi una vita facile e non spericolata, chiedendo aiuto.
E giustifica i suoi comportamenti con promesse non mantenute, e frasi ignoranti, dicendo che salveranno prima o poi tutte le ragazze di strada, che siano bianche o di altre etnie, ma non l'aveva mai fatto. Perché è più facile vedere che agire normalmente.
Quindi le donne che importanza avevano? Se viviamo in un mondo che fa preferenze anche su di loro, classificando quella bambina, quella ragazza come un oggetto. Giudicata dalle persone continuamente.
Lisa Winkler non aveva mai avuto questi pensieri, un po' sconnessi, un po' la divertivano, sul mondo in generale. Aveva lasciato la casa materna all'età di quindici anni, e sua madre, quella disgraziata di donna, si era fatta una risata dicendo al suo compagno che quelli erano i capricci di un' adolescente che voleva tutto, ma che con quella insolenza sarebbe rimasta a mani vuote.
Anche se lo sapeva, sapeva che non sarebbe mai più ritornata.
E quindi tra assistenti sociali, case famiglia e droga, aveva vissuto in silenzio con gli unici amici che aveva, godendo dell'estremità della vita e di come fosse uno scarto anche per lei.
Alla giovane non importava molto, e questo pareva strano agli occhi della gente che la osservava con disgusto mentre camminava per strada con la sua pelliccia usufruita e gli occhi colati dal mascara nero.
Lisa agli occhi di tutti sembrava una ragazzina cresciuta precocemente, in maniera accelerata, senza curarsi dei rischi che l'adolescenza scatenava. Poi di mezzo, oltre alla sua libertà, c'erano stati i soldi.
Quando a diciott'anni si rimane senza un appoggio era difficile cominciare ad addentrarsi, ma credeva di poter fare davvero di tutto. Il suo più grande desiderio era vivere lontano dalla sua città, sognando ogni notte (le sue notti peggiori) di abitare in un piccolo appartamento a New York mentre sorseggiava un caffè espresso attaccata alla ringhiera.
Ma quella città poteva sognarla con il cannocchiale, anzi, non la sognava affatto, perché aveva una realtà davanti da farla smettere di pensare. Ora poteva dire per certo che non era una donna di buona famiglia, che non era normale, che non viveva come gli altri, ma solo per sopravvivere, dividendo un appartamento pagando l'affitto in tre, che non mangiava (lo faceva quando poteva) perché preferiva comprarsi la droga rispetto al cibo. Allora che cosa voleva la terra da lei?
Quando essa le aveva causato soltanto dolore?
Smettere di pensare, chiudere il cervello, andare in strada e rincorrere le macchine per trovarsi un cliente, anche se era illegale. Aveva imparato a sue spese che nessuno salva nessuno, e che delle volte è meglio stare in silenzio, perché quando parlerai, facendo così sentire la paurosa voce, sarai spacciato.
Lisa aveva incontrato nella sua vita un miliardo di donne, e la maggior parte non erano entrate neanche nell'età adulta per essere definite tali. Accovacciate sul ciglio di quella stradina, le gambe strette tra di loro e tremolanti, quelle erano le giovani che avevano cominciato da poco e lei non aveva detto nulla, perché ci era passata anche lei in quel momento terribile. Senza nessuno accanto.
Lisa quelle ragazzine le chiamava le Donne Morte.
E poteva definirsi anche lei come una di loro, lacerata dal dolore, della crescita, sapendo benissimo che non potevi fare nient'altro. La società, quelle giovani donne, sembrava non calcolare. E in che mondo poteva sperare? Se in cambio otteneva l'indifferenza che provavano per quelle ragazzine?
Poi c'erano le più grandi, quelle che ottenevano più clienti delle altre, quelle erano le Donne Nude.
Fiere di sé, e nonostante il loro disgusto riuscivano a risultare forti e senza regole, che indossavano la loro gonna corta preferita con zero paura, indosso il loro giubbino che copriva il seno nudo. Non c'era vergogna, non poteva esserci vergogna, qualcuna inoltre si innamorava anche. E Lisa le sentiva nei bagni lerci della stazione, con una siringa infilata in vena, o la polverina sotto al naso, e le lacrime accalcate sulle guance formando un pasticcio di trucco, mentre maledicevano il loro amore sbagliato verso qualcuno (o qualcuna) che le aveva donato troppo affetto.
Lisa Winkler aveva provato quella sensazione sulla sua pelle, in giovane età, anche se aveva promesso a sé stessa di rimanere lucida, inflessibile sui sentimenti, e di non farli prevalere. Ma non ci era riuscita, iniziando un po' per gioco, si era innamorata di una ragazza che era il suo completo opposto.
Lisa era fuori dalle regole, una che la società odiava, sgretolata e rotta, poi era arrivata lei. Il suo tormento, una nuova ossessione, si chiamava Camilla e studiava Giurisprudenza a Roma, trovandosi a Torino in quella giornate estive per fare visita alla famiglia che aveva lasciato da un pezzo.
Camilla, dalla prima volta, le sembrò diversa, un'attrazione che non credeva di poter dominare, era gentile, un po' timida (Lisa ricorda con affetto le guance costantemente rosse) i capelli neri ricci con una frangetta e i suoi vestiti floreali con le bretelle sottili.
Sapeva di estate, del caldo insopportabile, della vita che le avevano rubato.
E si era innamorata davvero.
La loro storia non durò molto, come se fosse un piccio avvenuto in estate, e se n'era andata senza dire assolutamente niente, né un messaggio, né una chiamata, neppure un bacio, e per la prima volta aveva pianto per amore. Neanche sapeva se lo fosse, ma i sentimenti erano reali.
«Tieni»
Sul letto di Lisa, Camilla si era rotolata su un fianco mostrando i seni nudi e tra di loro una collanina argento, velata di sudore Lisa la trovò incantevole. Aveva distolto lo sguardo facilmente, vedendo che le stava porgendo una collana simile alla sua appoggiandola tra di loro sul materasso. Fu stupita e un sorriso nacque sul volto, quasi estraneo, non formulò nessuna frase. Prese la collana, baciandola successivamente come aveva fatto prima, come aveva fatto per tutta l'estate. La frangetta della giovane le solleticava la fronte, e strinse con più potenza i ricci, «Ti amo» aveva detto Camilla nascondendo le lacrime facilmente.
Lisa non aveva risposto, aveva chiuso gli occhi leggera unendo le loro fronti. Era speciale, credeva di amarla, ma qualcosa la bloccava. La teneva ferma.
Non c'era tempo, non c'era mai stato tempo per lei. E aveva sbagliato, perché ora Camilla era andata via. Sparita dalla circolazione, era tornata a Roma senza dirle niente, lasciando con sé il ricordo di quella collanina e il vuoto.
Dopo Camilla aveva giurato di disprezzare qualsiasi forma umana, che sia, chiudendo il cuore a chiunque. Non sembrava neanche più umana. Passava la maggior parte del tempo a fare quei piccoli lavoretti che aveva ottenuto per poi passare alla vita di strada nel giro di un secondo. Aveva visto il buio quell'anno, bruciando ancora per quell'amore che provava per Camilla, sembrava essere passata un'eternità, come un soffio di vento, e quell'estate malinconica era sfociata in un nuovo autunno, che portava con sé tutto il calore estivo. Odiava l'inverno, non aveva i soldi neanche per permettersi il riscaldamento, costretta a battere i denti, ma aveva sperato che qualcosa cambiasse.
E ancora persa nei suoi ricordi, aveva incontrato una nuova anima che gli aveva rubato il cuore. Era riccio proprio come Camilla, e aveva le lentiggini in volto proprio come lei. Si chiamava Matteo, e anche se aveva promesso a sé stessa di lasciar stare l'amore e non caderci più, qualcosa l'aveva legata in modo spregevole a lui. Forse si era invaghita di lui per colpa dei suoi capelli ricci, che al tatto parevano i suoi.
O forse per dimenticarla completamente perché il suo ricordo non smetteva di accoltellarla. Allora si era buttata in quella nuova avventura, non sapendo che giorno dopo giorno i sentimenti nascevano a dismisura dopo ogni incontro. E la loro storia, cominciata con delle semplici pasticche, era diventata reale. Dimenticando nei loro incontri la droga, la società, e quella vita inutile e lacerante.
Come si reagisce quando qualcuno muore?
Di solito la prima tappa del lutto è la negazione, riuscire a negare la morte non è mai un bene, soprattutto quando è accanto a te in quel modo. Poi qualcuno la prende con rabbia, altri piangono, e c'è chi rimane inflessibile. Lei aveva fatto la stessa cosa quando è morta Greta.
Sempre in conflitto con gli altri e con sé stessa, era morta la notte del 22 ottobre, lontano da casa, di overdose. E non era neppure così sconvolta, perché quella era la fine che facevano tutte, chi non si salvava e chi rimaneva futile.
Era anche un po' arrabbiata, quando alla notizia l'unico parente che aveva, che le mandava alcuni soldi in una busta come ai vecchi tempi, si era messo a piangere alla morte delle sua nipotina. Aveva prima lasciato che si prosciugasse con la sua dipendenza, per poi fabbricare lacrime di coccodrillo, era patetico. Sua madre non avrebbe fatto una piega, anzi, addirittura avrebbe rinnegato dicendo che quella drogata non era assolutamente sua figlia e che c'era stato un errore.
Era stata una cerimonia silenziosa, con poche persone, facendo passare la sua morte come uno spregevole attacco cardiaco avvenuto nella notte. Quella era un altro gioco della società, far passare quei morti come cosa inutili, dimenticanze, facendo nulla per aiutare i tossico dipendenti. E i parenti chiudono gli occhi, negano la droga in ogni caso, perché è difficile aiutarli, perché è un percorso che prosciuga. E aspettano che quelli come loro facciano il primo passo, credendo che sia facile. Lanciò uno sguardo a Chantal, distrutta da quel dolore, mettendo la sua mano sopra la sua.
Ci provò a piangere. Odiava non farlo.
Ma ingoiò il groppo trattenendo, non aveva pianto per Camilla, e neanche per Greta, forse il problema era sempre stata lei.
Matteo era arrabbiato con lei. Quando ancora, come le altre volte, pareva avergli dato buca a un misero appuntamento inutile che aveva organizzato lei. Era ritornato a casa a mani vuote, buttando nel cestino quel mazzo di fiori che aveva comprato soltanto per Lisa, aveva preso un foglio cominciando a scrivere tutto quello che gli veniva in mente.
Era da un paio di anni che il suo amore per la musica si espandeva a dismisura, scrivendo raramente quei pochi versi che gli venivano in mente.
Ma ora si sentiva davvero pronto a cacciare di tutto, a buttare anche parole inutili pur di far passare il tempo.
Aveva preso una penna, la luce fiocca dell' abat jour, iniziando a scrivere ogni cosa, anche la più insignificante.
Tesoro, il tuo faccino mi fa tenerezza. Provi a dimenarti anche sotto la mia presa.
L'aveva cancellato, sapendo che quei versi perversi non gli appartenevano per nulla, ma soltanto l'idea di Lisa, del suo essere diversa da lui, lo trasformava in un'altra persona. Con mentalità diversa dai suoi principi.
Ho firmato la condanna,
e tu sei il frutto del mio inferno.
Tratteggiò condanna con più frequenza, fino a bucare il foglio, sentendo il campanello suonare. Ritornò nel mondo reale, ricordando che la maggior parte dei loro incontri avvenivano in quello stato. Con lui che le apriva la porta pronto ad arrabbiarsi, ma quell'affronto non portava a nessuno svolgimento. Sembrava farlo a posta per ottenere un suo perdono, ma in quel caso non l'avrebbe fatto perché era assolutamente incazzato volendo chiudere definitivamente i rapporti con lei.
Afferrò la maniglia con riluttanza, pronto a buttarla fuori di casa, borbottò a vederla lì davanti con le mani in grembo, un vestito nero stretto le arrivava al ginocchio, mostrando le gambe tappezzate di nuovi lividi. La squadrò per un secondo, per poi guardarla negli occhi
«Vattene via-»
Stoppò la frase quando fu preso alla sprovvista dal suo totale affetto, si era tuffata contro di lui, stringendo le braccia attorno al busto stritolando la sua maglietta. Quell'abbraccio disperato gli aveva tolto il respiro, trovandosi stordito al pensiero di quella vicinanza che non sembrava appartenerle. Incredulo cominciò a stringerla chiudendo gli occhi, mandando a soqquadro il suo piano, accarezzando i capelli e baciando dolcemente il suo capo.
Con quel gesto Lisa esplose. Come un vulcano, e dopo anni che provava, che non riusciva, cominciò a piangere troppo, troppo, forte, singhiozzando senza fiato e la vista offuscata dalle lacrime mentre bagnava anche la maglietta di Matteo.
«Greta è morta. Io... io non volevo farti questo» disse tra i lamenti con maggior forza di volontà, «Sei arrabbiato, lo so bene, non perdonarmi. Non farlo, mi odierei anche io»
«Lisa...»
«Io ci provo a essere normale. Ma guardami sto portando nel baratro anche te, e non voglio. Eppure continui a venirmi dietro, quando io avrei già allontanato da me questo malessere inutile»
Lisa alzò la testa verso di lui, ancora le braccia strette, e quella rivelazione sembrava fare male più a lui che a lei. Aveva messo sempre in primo piano quello che pensava, non accorgendosi di quanto lei soffriva. Quanto si sentiva sola, chiedendo aiuto.
«Non sei un malessere inutile, Lisa.» Spostò la ciocca dal suo viso, «E mi dispiace per Greta»
Non sapeva che altro dire, forse quell'abbraccio scaturiva altri miliardi di parole che non riusciva a esternare.
La strinse a sé maggiormente, facendola zittire, voleva parlare di quell'argomento a porte chiuse, perché l'unica cosa che voleva era stare lì accanto a lei in silenzio.
Lisa si avvicinò più a lui, maledicendo il danno della società, ma per un istante, in quel momento, si sentì felice e capita e soprattutto pronta. Pronta a quello che non era riuscita a dire a Camilla, capendo che Matteo poteva essere il suo sbiadito futuro.
«Matteo...»
Matteo si abbassò di poco per incontrare di nuovo il suo sguardo, rimanendo congelato sul posto. Lei sembrò tremare con le labbra, sorridendo tra le lacrime.
«Ti amo»
Ti.
Amo.
tengo tanto a questo capitolo,
trattatelo con dolcezza. 💗
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