Capitolo ventitre

MATTIA

«Per me un po' di succo di ananas.»

Si girano tutti e tre sbigottiti quando mi siedo a tavola, Dafne spalanca addirittura la bocca. Non faccio mai colazione con loro, di solito rubo un toast al volo e mi avvio a piedi a scuola, da solo. La moglie di mio padre si spiccia a darmi quello che ho chiesto, è un po' imbarazzata, a disagio rovescia un po' di succo sulla tavola.

«Scusami» balbetta, arrossendo.

È una bella donna, Dafne le somiglia, non ho mai provato rancore verso di lei, in fondo ha sposato l'uomo che ama, sono io quello fuori posto, quello che si è intromesso nelle loro vite, non viceversa.

«Grazie per il succo.»

Sorride, un po' più distesa e riprende posto accanto a mio padre.

Lo guardo. Mi guarda. Ci guardiamo. I nostri occhi parlano per noi.

«Ciao pa'» lo saluto, oggi mi risulta meno difficile, ma il mio è comunque un bisbiglio quasi impercettibile.

Piano piano mi ci abituerò.

«Dove hai nascosto mio fratello?» mi prende in giro Dafne, dandomi una pacca sulla spalla proprio mentre bevevo un po' di succo, ne rovescio anche io un po' sulla tavola. Ridiamo tutti, l'atmosfera si distende, ma un attimo dopo mi sento di nuovo a disagio. Rubo il mio solito toast e mi rialzo.

Per oggi va bene così.

«Vado a scuola» gracchio rauco, mentre addento il toast.

Ricambiano tutti il mio saluto, recupero lo zaino e mi dileguo.

Mi avvio verso l'istituto, abitiamo poco distanti, mi piace camminare e non mi è mai pesato il tragitto. I primi periodi che ero in Italia ero molto curioso, è un posto così diverso da quello dove sono cresciuto, ma ho imparato presto ad apprezzarlo.

Prima ero sempre in mezzo alla confusione, detestavo gli schiamazzi della gente, desideravo un angolo di paradiso in quell'inferno e l'ho trovato proprio qui. Mi ritrovo senza neanche accorgermene nel cortile della scuola. Scorgo subito Federico, di solito arriva in ritardo, invece è già qui, sorride mentre chiacchiera con una ragazza.

Mi avvicino alla coppia, quando riconosco la ragazza: è Diana, l'amica della strega.

«Ciao» li saluto burbero.

«Ciao, stronzetto» ribatte la tipa, a quanto pare sono antipatico anche a lei.

Fede invece mi dà una pacca sulla spalla e mi saluta contento.

«Ci vediamo dopo.» Non mi va di restare accanto al braccio destro di Resia.

Faccio qualche passo e mi siedo su un muretto, poco distante dal parcheggio e dal cortile. Mi piace starmene per conto mio, soprattutto alla mattina. Oscillo le gambe e chiudo gli occhi inspirando un po' d'aria.

Quando li riapro, la vedo arrivare insieme al solito tipo. Subito si incammina verso la coppia che ho appena lasciato e si unisce a loro.

Anche oggi però sono dannatamente sfortunato perché poco dopo li raggiunge Patrizio che stringe Resia con troppa confidenza mentre la saluta. Non ci vedo più dalla rabbia, ma non sono stupido, non commetterò lo stesso errore due volte.

Farò semplicemente quello che mi riesce meglio; sei ferito, ferisci a tua volta.

Cammino svelto, adocchio la prima ragazzina passabile che si trova nel suo stesso campo visivo e la raggiungo.

«Ciao.» Spremo le meningi per ricordare dove l'ho già vista. Sorrido soddisfatto quando lo ricordo.

«Scusami, non mi sono presentato, facciamo il corso di recitazione insieme, era da un po' che volevo conoscerti» mento, prima di voltarmi verso la mia bimba per vedere se ha abboccato all'amo.

Neanche mi sta guardando.

Sbuffo mentre la tipa davanti a me fa qualche risatina stridula e si passa la mano fra i capelli.

«Melania, piacere» si presenta e anche io faccio lo stesso. «Sei molto bravo a recitare» mi adula gracchiante.

Già non la sopporto più, ma mi fingo lo stesso bendisposto. Mi giro di nuovo, stavolta i suoi occhi mi stanno guardando e sono due saette lucenti.

Ben ti sta, strega.

Sorrido in modo genuino e le sfioro il braccio con fare innocente, facendolo sembrare un gesto naturale, cortese, voluto. «Grazie, sono sicuro che anche tu sei molto brava. Devo proporre alla professoressa di chiamarti sul palco con me.»

Si abbandona a un gridolino esasperante e mi getta le braccia al collo. Vorrei scaraventarla a terra. È di una noia mortale, ma sono sicuro che lei mi sta ancora guardando, quindi mi limito ad alzare gli occhi al cielo, tanto sono di spalle e non può vedere il mio volto.

La campanella mi salva da quella tortura, la saluto e mi dirigo verso l'ingresso, non prima di dare un'ultima occhiata alla mia vittima. Patrizio guarda lei. Lei guarda me. Io guardo lei. Quanto cazzo è bella!

***
Più tardi, quando ormai è pomeriggio inoltrato, mi dirigo al corso e con lentezza, quasi in punta di piedi entro nell'aula magna, sbirciando tra i banchi.

L'atmosfera è un po' tesa, c'è agitazione, ma non me ne può fregar di meno. La cerco, non c'è. Eppure al suo solito posto, vedo l'amico, è lì che fissa un punto imprecisato. Cerco di indirizzare gli occhi nella stessa direzione, quasi divento strabico nel tentativo, c'è una folla di ragazzi vicino la prima fila.

Finalmente, la vedo. È di spalle, proprio in mezzo a quel mucchio, ma la riconosco subito.

I capelli le svolazzano sulla schiena fino ai glutei, oggi fasciati in dei jeans piuttosto attillati. Sta sbraitando, come suo solito, eppure la sua voce mi sembra più acuta e incrinata del solito. Sta discutendo con Katiuscia e quella svampita la fissa altezzosa e beffarda. Quanto è odiosa!

Muovo qualche passo nella sua direzione per ascoltare la discussione, ma non ce n'è bisogno perché in quel momento Resia comincia a urlare come una dannata.

«Tu, lurida, viscida, schifosa serpe.»

Avanza verso la sua interlocutrice che adesso sembra pietrificata. Oh, lo sarei anche io al suo posto, la mia piccola deve essere davvero infuriata, eppure, nonostante sia arrabbiato con lei per stamattina non posso fare a meno di preoccuparmi per lei.

Non voglio che finisca sospesa come me.

Corro, annullando la distanza che ci separava e mentre mi avvicino, storco il naso, sentendo una puzza infernale. La afferro da dietro, ma non sembra felice dell'interruzione, mi fissa inviperita mentre mi riversa una scarica di colpi sul petto. Contraggo la faccia in una smorfia. Dannazione, sembra proprio che qualcuno si sia cagato sotto.

«Cos'è questo tanfo?»

I colpi si interrompono, Resia si morde le labbra, sembra offesa e non ne capisco la ragione. Si libera dalla mia presa e scappa via.

Si può sapere cosa diavolo le prende?

Rimango un attimo immobile, sbigottito, eppure ora che si è allontanata non sento più quella puzza infernale. Strabuzzo gli occhi e stavolta sono io a incenerire la vittima che ho appena salvato dalle grinfie della strega.

«Cosa le hai fatto?»

«Non sono affari tuoi.»

Stringo i pugni lungo i fianchi. Insisto. «Dimmi che cazzo le hai fatto.»

Si morde il labbro e mi offre la risposta che cercavo, confermando i miei sospetti.

«Le ho spruzzato una fiala puzzolente sulla maglia. Le è andata bene. Il suo lassativo nei cioccolatini mi ha fatto vomitare tutto il santo giorno» si lamenta malevola.

Sbuffo e ignoro le sue rimostranze, non mi importa un accidente che sia stata male. Abbandono anche io quella massa di ragazzini. Mi dirigo verso il bagno delle donne, sicuro di trovarla lì. Apro la porta, non mi interessa se non posso entrarci, devo parlarle.
La vedo rannicchiata a terra. Otturo il naso con le dita, non si respira tanto dalla puzza, quasi do di stomaco.

Mi avvicino. Non si è accorta di me. Faccio per allungare la mano, ma sento un singhiozzo e la ritiro subito.

Grugnisco per attirare la sua attenzione. Solleva il volto e leggo nei suoi occhi imbarazzo e dispiacere.
Oh, bambina mia, cosa sei!

Ancora una volta sono tentato di accarezzarla eppure mi trattengo.

Lei invece non contiene lo sdegno quando capisce che sono io il suo interlocutore. Tira su con il naso e sebbene in altri casi avrei trovato quel gesto disgustoso adesso non trattengo un sorriso tenero. È così buffa. Ha i capelli scarmigliati, il volto umido e le labbra increspate in una smorfia. La bacerei anche in questo stato pietoso, mentre emana quell'odore nauseante.

«Puzzi, ragazzina.»

Si alza di scatto e mi scarica un altro pugno sul petto, in effetti potevo cucirmi la bocca, ma volevo smorzare un po' la tensione. Cominciavo a sentirmi troppo eccitato e sarebbe stato abbastanza imbarazzante e ridicolo. Mi allontano di un paio di passi e mi sfilo la felpa, rimanendo con una polo a mezze maniche. Mi guarda sorpresa e quando gliela lancio non la afferra, facendola finire a terra.

«Sfilati il maglione.»

Adesso è ancora più attonita.

«Pensi che non abbia mai visto due tette. Levati quel coso e smettila di fissarmi così.»

Si intrappola il labbro fra i denti e si avvolge le braccia attorno al corpo. «No.»

Sbuffo, la folle determinazione di quella mocciosa riesce sempre a farmi perdere la pazienza. Mi avvicino e senza tanti preamboli le blocco le braccia in alto e inizio a sfilarle la maglia. Scalcia e si dimena come una furia, ma quando concludo l'operazione mi guarda sbigottita, con occhi da cerbiatta. Non riesco a impedire che i miei occhi vaghino sul suo corpo. E quando mi ricapita un'occasione simile? Cazzo. Non indossa neppure la canottiera, un reggiseno di pizzo bianco le trattiene a stento il seno pieno. Avevo intuito che avesse un bel corpo, ma non immaginavo fosse così graziosa. Ha un triangolo di nei vicino al petto, sul lato sinistro, tre puntini neri che sembrano racchiudere il suo cuore. Vorrei passare le mie labbra su quella strana figura geometrica. Scendo con lo sguardo verso il basso, ha la pelle liscia, bianca, il ventre piatto. Maledizione.

Grugnisco e guardo il soffitto mentre la trascino di peso al lavandino, stranamente non oppone resistenza, getto il suo indumento a terra. Con una mano continuo a tenerle le braccia bloccate verso l'alto, con l'altra apro il rubinetto e lascio correre l'acqua.

«Ti lavi tu o vuoi che lo faccia io?»

Mi calpesta un piede con sdegno e balzo all'indietro sorpreso, mollando la presa.

«Bastava una risposta, strega.»

«Fottiti, idiota.»

Si spruzza il sapone in una mano e inizia a sciacquarsi, i suoi movimenti non sono per niente femminili e sensuali, eppure io continuo a eccitarmi come un coglione che non ha mai visto una donna in reggiseno. Si abbassa un po' per far colare l'acqua nel lavandino, sporgendo il busto in avanti e i fianchi all'indietro.

«Bel culo» la prendo in giro, ancora una volta desidero smorzare la tensione.

Si volta e mi incenerisce con lo sguardo. Si asciuga l'acqua che le bagna il corpo con movimenti sgraziati.

Diamine tutto sta facendo fuorché provocarmi e io mi esalto. Ridicolo.

Getta la carta nel secchio e raccoglie la sua maglia che subisce la stessa fine. Prende la mia felpa e la infila. È enorme addosso a lei, quasi scompare lì dentro, è molto buffa e io continuo a fissarla inebetito senza proferire parola.

«Menomale che avevi già visto delle tette» mi provoca, ora di buon umore. «Comunque, grazie.»

Mi sorpassa, apre la porta e se la sbatte alle spalle, lasciandomi solo in quel bagno. Mi appoggio al muro e sorrido, amaro e deliziato al tempo stesso.

È assurdo. 

La adoro.

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