Capitolo ventiquattro

MATTIA

Oggi sono arrivato in anticipo, tira una bella brezza fresca, il sole da poco ha fatto capolino fra le nuvole e non riscalda. Il cortile della scuola è deserto. A poco a poco l'istituto comincia a popolarsi, ma io me ne resto sempre in disparte. Ho trovato anche io il mio angolino. Oggi ho voglia di vederla, ieri al corso ho preferito non sedermi accanto a lei però non le ho mai tolto gli occhi di dosso.

Era troppo buffa con la mia felpa eppure allo stesso tempo troppo appetibile.

Dopo l'episodio del bagno è come se avessimo instaurato un tacito accordo. Non abbiamo sbraitato l'uno contro l'altro. Non ci siamo parlati. Non ci siamo guardati in cagnesco e non ci siamo salutati quando è finita la lezione.

Insomma, siamo in tregua e adesso ho una voglia matta di godermi quest'insolita pace e di incontrarla.

Ecco che arriva.

Solleva il volto, come fa ogni giorno per ricercare gli amici, ma quando li vede alza una mano per salutarli e non li raggiunge.

Continua a guardarsi intorno.

Mi vede. La guardo intensamente.

Cammina spedita verso di me.

Trattengo il fiato.

L'abito che indossa è di un tenue giallo, il tessuto è morbido, un po' aperto sul davanti, le fascia la vita e si stringe sui fianchi per via di una cintura infilata nella stoffa. Sulle spalle porta un giubbottino jeansato bianco così corto che a stento le arriva sotto al seno, al piede calza delle converse dello stesso colore.

È semplice e bella. Di solito non si veste in modo così carino. Di questo passo mi farà impazzire.

Mi si piazza davanti e mi porge una busta. «Grazie.»

Rimango lì impalato qualche secondo prima di occhieggiarne il contenuto, riconosco subito le mie felpe. In effetti, gli avevo già dato la prima quando si era strappato il pantalone, me ne ero completamente scordato.

«Prego.»

Non aggiungo altro, lei sposta il peso del corpo prima su una gamba poi sull'altra, imbarazzata.

«Vabbè, allora io vado» dice e si rigira su se stessa.

Muove giusto un paio di passi, quell'abito le aderisce sul culo in maniera troppo seducente, come minimo lo noterà tutto l'istituto, la afferro per il braccio e la faccio volteggiare su se stessa.

«Dove credi di andare conciata così?»

Alza gli occhi al cielo e mi fissa con scherno.

«Così, come?» domanda altera.

Sbuffo. «Così, con quel coso» ribatto con ovvietà.

Ma ancora una volta si stizza, non comprendendo le mie buone ragioni, così le sfioro l'abito. «Questo coso.» La giro di nuovo e le sfioro il sedere con leggerezza, il mio è un tocco privo di malizia, solo esplicativo. «Si appoggia qui» continuo imperterrito, indicando il culo.

Tuttavia quella strega invece di apprezzare il mio gesto si infuria, a quanto pare la mia spiegazione non è bastata a farle aprire gli occhi. Dannata ragazzina ostinata.

«Non ti azzardare mai più a toccarmi.»

Non la sopporto quando fa così. Ma che le prende? Perché non si comporta in modo ragionevole una buona volta? Non sopporto l'idea che le guardino il culo, anche se riconosco sia piuttosto infantile come atteggiamento. Forse voglio semplicemente che rimanga ancora un po' qui a parlare con me.

«Allora copriti.»

Non so chi dei due sia più accigliato, forse lei perché sbuffa e si agita ancora.

«Io non farò un bel niente.»

Si gira e si allontana ancora, ma quando sente la mia voce si arresta. «RESIA» tuono adirato, rendendo impossibile la sua fiera avanzata, parecchi visi si voltano nella nostra direzione.

Se ne accorge subito perché arrossisce. Prima mostra il culo a tutti e poi si imbarazza. Che ragazza strana.

«Smettila di urlare, stupido.»

Però urla anche lei. È pazza. È inutile. Una contraddizione evidente.

«Allora mettiti quel giubbotto in vita» peroro la mia stupida e inutile causa, al solo scopo di tenerla con me ancora un po'.

Sbatte il piede a terra e punta una mano sul fianco, il tessuto si tende, aderendo maggiormente e noto che un ragazzo alle sue spalle le guarda il culo. Mi irrito ancora di più. Stringo i pugni. Distendo le braccia lungo il corpo, l'alternativa sarebbe quella di torcere il collo a quel tipo che continua a fissarla.

«Copriti o ti porto in aula in braccio e non mi importa un accidente se strilli come una matta, non sentirò ragioni e ti lascerò solo per posarti sulla tua dannata sedia.»

Mi prende sul serio, in realtà non lo farei mai, ma sono contento che mi creda. Con riluttanza e malagrazia, si sfila il giubbotto e se lo avvolge intorno ai fianchi.

Finalmente, Dio sia lodato!

«Posso andare?»

È arrabbiata.

«No.»

«Sei seccante» si lamenta. «Che altro vuoi?»

«Uscire con te» confesso nervoso.

È quello che volevo chiederle non appena l'ho vista così carina e gentile. Ho una voglia matta di passare un po' di tempo da solo con lei.

«Te lo puoi scordare.»

«Sei una mocciosa.»

Mi dà una spinta e barcollo all'indietro, sorpreso della sua mossa.

«E tu un cretino» replica e si allontana a lunghi passi.

Si sfila il giubbotto dalla vita e lo porta sulla spalla con aria di sfida. Eppure nonostante abbia voglia di inseguirla, e obbligarla ad accettare il mio invito, rimango lì, inchiodato.

Lei... mi ha rifiutato. Non mi vuole. Devo smetterla di scodinzolarle dietro come un cagnolino.

Mi dirigo crucciato al mio muretto, mi siedo, ma balzo in piedi un attimo dopo, quando mi volto per vedere se ha raggiunto i suoi amici.

Sbuffo. Io li ammazzo tutti e due.

È con Patrizio, lui le porge una scatola di cioccolatini, lei la accetta e gli sorride. Inizio a camminare, ma subito due braccia muscolose mi cingono le spalle.

«Non fare lo stupido. Sei ancora sospeso con obbligo di frequenza.»

È Federico, non mi ero accorto fosse arrivato.

Da dove cazzo è sbucato?

«Non lo faccio. Lo sono.»

Abbasso il volto crucciato, la loro vista mi agita troppo.

«Me ne sono accorto.»

Quella mocciosa mi sta facendo impazzire.

***

«Tesoro» squittisce, prima di avvinghiarsi a me come una fottuta cozza.

Da quella mattina che ho scambiato due chiacchiere con lei, si azzecca sempre addosso. Non la sopporto più, eppure abbozzo un sorriso a beneficio della mia recita.

Melina mi pare si chiami. No, aspetta, Milena. Vabbè, meglio non rischiare, le donne tendono a fare una sceneggiata quando dimentico il loro nome e non mi va che si metta a urlare e Resia, poco distante, se ne accorga.

«Ciao.»

Non me la scrollo di dosso, è il massimo della cordialità che riesco a garantire. Già tollero le sue mani sul mio corpo, quindi dovrà accontentarsi.

«Oh, ieri sei stato meraviglioso» pigola, alzando gli occhi al cielo e scompigliandomi i capelli, mentre io invece sospiro.

Si riferisce al provino. Questa settimana Miss bla bla bla ha indetto delle selezioni per scegliere i protagonisti dello spettacolo teatrale che sta organizzando per la fine dell'anno. Grugnisco e mantengo alta la concentrazione, evitando di corrugare la fronte e cerco di inarcare le labbra per sorridere.

Federico al mio fianco, sghignazza divertito, io per tutta risposta gli do una gomitata nello stomaco. Si interrompe.

«Grazie, cara.»

Mi sposto leggermente, da quando si è piazzata davanti a me, mi oscura la vista sull'angolino della strega. Siamo come al solito in pausa e lei sta lì con i suoi due amici. Sono sette giorni che ci ignoriamo a vicenda. Sono ancora arrabbiato con lei perché mi ha rifiutato.

Passo la mano attorno al fianco della cozza e la tiro accanto a me. Desideravo solo toglierla dalla mia visuale, ma lei fraintende il mio gesto e sorride sguaiata.

Federico si è abbandonato a un'altra risata, stavolta mi limito a fissarlo torvo. Sa perfettamente che tollero questa tipa solo quando c'è Resia nelle vicinanze, quindi non ci vuole un genio per capire che lo faccio solo per ripicca.

È una settimana che tento di innervosirla senza ottenere reazioni. Al contrario si è avvicinata molto a Patrizio. Quel coglione la riempie di attenzioni, dopo i cioccolatini, si è presentato a scuola con dei fiori e oggi so che vuole darle un palloncino a forma di cuore. Vomitevole. Ha intenzione di chiederle di uscire. Ecco perché io sono più intrattabile del solito. Resia sembra apprezzare i suoi gesti e sebbene mi lanci spesso delle occhiatacce quando sono con Maddalena, facendomi sperare che sia gelosa, per il resto mi ignora e ogni intervallo dedica invece un po' del suo tempo a lui.

Eccolo, è appena arrivato accanto a lei con quel coso in mano.

Che schifo.

Distolgo lo sguardo, non mi va di vederli insieme.

«Sono sicura che la professoressa sceglierà te. Non ho mai visto nessuno così portato per la recitazione. Per quanto mi riguarda non credo di aver suscitato il suo interesse, sembra che l'unica che le piaccia davvero sia quell'Asia.»

Stavolta corrugo la fronte, non riesco a evitarlo.

«Resia, si chiama Resia non Asia» puntualizzo con durezza.

Si indispettisce per l'appunto e mi guarda torva. Dannazione, così mando tutto a puttane.

«Non che mi importi del suo nome, neanche mi piace, è insolito, lo ricordo proprio per questo» recito, per risollevare le mie sorti e lei sembra rilassarsi di nuovo.

Menomale.

Ora non le tolgo gli occhi di dosso, ho paura che spostando il volto incroci la coppietta e non ne ho proprio l'intenzione. Non intendo rovinarmi l'ennesimo intervallo. Ogni giorno esco dall'aula nervoso e rientro ancora più esaurito.

«Sai?» Si mordicchia le labbra prima di continuare. «Oggi sarò sola. I miei sono partiti stamane e non credo rientreranno prima di stasera» conclude annoiata.

Non ho intenzione di tollerarla al di fuori dell'orario scolastico. Non avrebbe senso. Resia non può guardarmi.

«Oh, peccato. Io ho promesso a mio padre che gli avrei dato una mano in ufficio, quindi non credo di riuscire a liberarmi per raggiungerti.»

Simulo un'espressione afflitta, quella che lei mi rivolge in risposta, lo è per davvero.

«No, ma non intendevo questo. Io, ecco, insomma, sarà una noia stare sola in casa, questo volevo dire» tergiversa, sempre più frustata.

«Sì, lo so, sciocchina.» Assesto un pugno a Federico, giusto come avvertimento, sono certo che così riuscirò a evitare un altro inutile scoppio di ilarità per il mio appellativo. «Solo che mi avrebbe fatto piacere passare del tempo con te» concludo, abbozzando un altro risolino deficiente.

Mi sento disgustoso. Non so come ho fatto a pronunciare simili assurdità, ma è tutto merito di quel coglione. Prima di parlare non ho impedito ai miei occhi di vagare, Patrizio e Resia sorridevano e le mie labbra si sono mosse da sole, comandate solo dal risentimento.

Passa qualche altro minuto di chiacchiere inutili. Non vedo l'ora di rientrare in classe e togliermela dai piedi.

«È fatta» esordisce proprio in quel momento quel coglione di Patrizio, dando una pacca sulla spalla di Federico.

Non mi ero accorto del suo arrivo. Gongola. È soddisfatto. C'è solo una ragione che mi viene in mente che giustifichi tanto gusto e le due parole appena pronunciate purtroppo me ne danno la conferma. Mi volto verso Resia. I nostri sguardi si incrociano. Il suo è battagliero, accigliato, il mio semplicemente deluso. Come ha potuto farmi questo? Come ha potuto accettare di uscire con lui e non con me.

Stento a trattenere la collera. Ormai non ragiono più.
Strattono Martina, cogliendola di sorpresa, è piuttosto infastidita per il mio trattamento rude, ma metto a tacere le sue rimostranze tappandole la bocca con la mia. Neanche la assaporo, il mio è un tocco violento, duro, ma lei risponde con impeto lasciando danzare la sua lingua selvaggia contro la mia.

Sono così poco concentrato che neanche le sfioro il corpo, le mie labbra si muovono in modo meccanico, la mia testa è del tutto altrove, riesco addirittura a udire perfettamente Federico mentre porge la sua domanda.

«Quindi ha accettato?»

Smetto subito di baciarla, certo di ricevere una conferma ai miei sospetti, quindi rivolgo la mia totale attenzione alla bocca di Patrizio, neanche potessi leggervi in anteprima la risposta che già rimbomba nella mia testa, ma che ancora non ha annunciato. Sono masochista. Mi piace torturarmi a quanto pare. Un'altra mia insana perversione.

Finalmente parla. «No, ma ha detto che ci penserà. Insomma è come se avesse già acconsentito, altrimenti avrebbe rifiutato, giusto?»

Federico si passa una mano sulla fronte, evitando di rispondere e io distolgo lo sguardo, sentendomi un completo imbecille. Vorrei spaccargli la faccia, urlare, prendermela con chiunque tranne che con me stesso. Sono uno stupido. Mi volto di nuovo verso quel maledetto angolino. Resia non è più lì, avanza fiera, ancheggia i fianchi in maniera superba, nello sguardo un'ardente determinazione. È regale.

La tipa al mio fianco, mi stringe il braccio, non me ne può fregar di meno se si è offesa perché ho interrotto il bacio, neanche stavo partecipando.

«Aspetta un attimo Maddalena.»

Resia si ferma esattamente dinanzi a noi. È bella da togliere il fiato, vorrei allungare una mano per sfiorarla, lei invece, dopo un'occhiataccia verso di me, rivolge la sua completa attenzione a Patrizio.

«Ho deciso, accetto volentieri.»

Gira su se stessa e se ne va senza neanche attendere una risposta.

Il mio braccio ricade sul fianco. Il coglione accanto a me esulta, Mafalda intanto si è dileguata frignando.

«Sei uno stupido amico mio» mi ricorda Federico, dandomi una pacca di consolazione sulla spalla.

«Lo so» replico, ormai di pessimo umore.

«Comunque, per la cronaca, si chiama Melania.»

Ci dirigiamo verso la classe, io a capo chino, lui che mi sorregge, quasi tema che non riesca ad arrivarci da solo. Ha ragione. Ho le gambe molli e fatico davvero a tenermi su.

«Fa lo stesso.»

Sono proprio uno stupido.

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