Capitolo ventinove

MATTIA

Continuiamo a passeggiare per il percorso pedonale che costeggia il Santuario di Pompei tra qualche battuta stupida di Federico, un po' di chiacchiere futili e commenti simpatici di Diana e Giulio. Di tanto in tanto entriamo in alcuni negozi, ma nessuno ha veramente voglia di fare delle compere, è giusto un modo per curiosare un po'.

Per tutto il tempo né io né Resia abbiamo interrotto il nostro contatto. Da quando le ho afferrato il braccio, non l'ho più lasciata e lei, a sua volta, non si è mai scollata da me.

Assurdo sì, ma troppo piacevole.

Pochi metri più avanti, avvisto un bar e senza avvisare gli altri, che camminano poco più avanti, trascino Resia con me all'interno. Mi guardo intorno impaziente e scorgo finalmente ciò che cercavo. Prendo con la mano libera una busta di patatine rustiche della San Carlo, ho notato che le mangia spesso, quindi sono certo di fare la scelta giusta.

«Uh, sono le mie preferite» esclama, regalandomi l'ennesimo sorriso della mattinata, che mi fa gongolare e ridere come uno stupido.

Purtroppo sono costretto a lasciarle il braccio, ci ho provato prima di demordere, ma non riuscivo a prendere il portafoglio nella tasca posteriore con la mano sinistra e stavo anche apparendo abbastanza ridicolo nel tentativo.

Pago di tutta fretta e le passo il pacchetto, ansioso di rimettere la mia mano dov'era, sperando che appaia di nuovo un gesto casuale.

«Ogni promessa è debito» affermo, esibendo l'ennesimo sorriso.

Di questo passo becco una paralisi facciale.

Resia arrossisce mentre afferra il suo premio, io sospiro.

«Grazie.»

Si accosta e mi scocca un bacio leggero sulla guancia.

I ringraziamenti mi mettono sempre un po' a disagio, quindi a dispetto delle mie precedenti intenzioni mi avvio fuori, lasciandola alle mie spalle, senza scortarla più con il mio braccio. Forse sembro un po' sgarbato, ma è più forte di me.

«Non potevate avvisare? Giulio e Diana volevano già creare un post sulla pagina di Chi l'ha visto» scherza, con toni un po' canzonatori, Federico.

«Non ci scanneremo a vicenda» gli rispondo, per tranquillizzarlo, forse temono che possa scoppiare una battaglia da un momento all'altro se ci lasciano soli.

Non faccio in tempo a parlare che Diana e Giulio, accorgendosi di noi, ci raggiungono; prendono a braccetto Resia, guardandomi in modo strano e si allontanano a passo svelto, tirandosela dietro.

«E ora che diamine gli prende?»

Mi passo una mano fra i capelli, sorpreso.

«Oh, lasciali perdere. Suppongo vorranno fargli il terzo grado per il vostro comportamento. A proposito, com'è che non vi scollavate più?» chiede, fingendo un tono indifferente, mentre dal suo sguardo trapela un malcelato interesse.

«Uh, non rompere le palle» minimizzo, dandogli una pacca sulle spalle.

«A te come va con l'amica?»

In realtà non me ne importa un accidente, ma preferisco sviare su di lui la conversazione piuttosto che parlare di me e Resia. Non saprei cosa dire.

Ci incamminiamo anche noi, quasi l'ho dovuto trascinare per smuoverlo. Si aspettava che rimanessi qui fuori come un imbecille mentre il terzetto si allontana a tutta velocità?

«Ti muovi?» lo incito pure, vedendo che mantiene un passo troppo lento.

Stavolta cammina più svelto mentre risponde. «Diana mi piace. È diversa dalle altre. Non so neanche io cos'abbia di speciale. Non cede alle mie manovre di seduzione, mi tiene testa. È una settimana che tento di abbindolarla, ma proprio non si smuove.»

Fa un piccolo sospiro mentre la osserva in lontananza.

«Ha la battuta sempre pronta, mi fa sorridere e non è da poco. La trovo molto divertente, tu non hai notato com'è carismatica? E poi... guarda che cazzo di culo che ha.»

Federico boccheggia come un pesce lesso, così mi ritrovo anche io a fissare il sedere di quella ragazzina, e mio malgrado, devo ammettere sculetta in modo simpatico. Tuttavia preferisco quello di Resia, infatti è a lei che mi riferisco quando commento, dopo una veloce sbirciatina al suo didietro.

«Sì, sul culo non posso darti torto.»

«È mia» chiarisce deciso, sorprendendomi.

Non è mai stato un tipo geloso. Una sera ci passammo la stessa ragazza e non ne fu affatto dispiaciuto.

Mi do un buffo sulla fronte e lo guardo in cagnesco. Come può credere che possa piacermi quella ragazzina? Mi basta e avanza la mia strega.

«Figurati. Hai tutta la mia comprensione, se è ostinata almeno la metà dell'amica, sei nella merda pure tu.»

Alzo le spalle e accelero un po' il passo per raggiungere quei tre.

«Macché. Sono abbastanza sicuro che la prossima settimana le ruberò un appuntamento.»

Sgrano gli occhi! È sicuramente fuori di testa. Di solito non esce con le ragazze. Fa come me, o meglio, come facevo io... incontra una tipa in un locale, azzarda qualche battuta di spirito e poi se la tromba in piena tranquillità da qualche parte.

Ora al massimo riesco a vomitare sulla preda prima che mi sbattano fuori.

«Ci stiamo rammollendo» mi lamento, al pensiero che io non solo ho chiesto a Resia di uscire, ma quella strega mi ha anche rifiutato per un altro.

«Parla per te, io ieri mi sono scopato l'amica della rossa, dopo che ti ho messo a letto. Tu invece hai rimesso anche l'anima e poi sei collassato.»

Lo fulmino con un'occhiataccia, deciso a chiudere il discorso. Federico però sembra deciso a mantenere viva la conversazione. «Dai, scherzavo. Ultimamente sei troppo suscettibile. Dovresti farti una sana trombata, sai?»

Lo ignoro di nuovo, per fortuna il trio dei fuggiaschi rallenta l'andatura e si scioglie. Si fermano dinanzi un piccolo parco giochi, io e Fede' li raggiungiamo con poche falcate.

«Entriamo?» propone Diana esaltata.

Federico ovviamente subito cede alla sua proposta, assecondandola, io invece non mi esprimo e fisso Resia che ancora non apre il sacchetto di patatine e mi guarda a sua volta imbambolata.

Bene, almeno una volta sembra che sia lei quella che cede al mio fascino e non viceversa.

«Tu vuoi?» domando curioso.

Giulio si abbandona a un risolino, probabilmente divertito dalle attenzioni che rivolgo alla compagna,

Federico neanche mi ascolta che si tira Diana verso la biglietteria del parco, deciso a comprare i gettoni di ingresso. Io invece sono bloccato qui e continuo ad attendere una risposta da Resia.

«Sì che lo voglio» grida eccitata, ha le guance rosse e una folata di vento le scompiglia i capelli, avverto la sua delicata fragranza alla nocciola.

In questo momento sembra davvero una bimba, ma i pensieri che mi suscita, come sempre, non sono affatto infantili.

Prendo a braccetto sia lei che Giulio, non voglio farlo sentire un terzo incomodo. Di solito non ho questo genere di delicatezza, anzi ne sono del tutto sprovvisto. Ma Resia apprezza il mio gesto e io me ne compiaccio non poco.

«Andiamo» mi ritrovo a dire con una certa dose d'entusiasmo nel tono, pari forse alla sua, solo che a me non mi importa un fico secco delle giostre. Non mi sono mai piaciute, soffro di vertigini e per me sono solo una tortura.

Raggiungiamo la biglietteria e ci districhiamo da quell'insolito intreccio per pagare i nostri ingressi. Ci tengo a fare bella figura con lei, quindi decido di offrire, muove qualche lagnanza alla mia proposta, ma alla fine mi lascia fare.

Mi rimane solo qualche banconota nel portafoglio, quindi si rafforza in me il pensiero di cercare un lavoro. Fino a poco fa non mi ero mai posto il problema, volevo prima ambientarmi e imparare bene l'italiano, ma adesso che sono perfettamente a mio agio, voglio procurarmi un piccolo impiego part-time, da conciliare con gli impegni scolastici.

Non voglio dover dipendere da mio padre, non che mi faccia pesare qualcosa, mi ritrovo sempre soldi sulla scrivania e sono certo che sia lui a farmeli avere, nonostante io non gli abbia mai chiesto nulla. Ha un'azienda di Autotrasporti molto redditizia e anche se sono suo figlio e ne avrei ogni diritto, non voglio approfittarmene, desidero guadagnare qualcosa di tasca mia.

Ultimamente sta diventando sempre più una vera e propria esigenza. Non credo che lui sarà d'accordo, vorrebbe che mi concentrassi solo sulla scuola adesso, ma non intendo continuare a vivere a sue spese.

Prima di varcare i tornelli del parco, Federico propone di sederci su una panca, immagino voglia approfittarne per fumare una sigaretta, in effetti da stamattina non ne ha ancor accesa una ed è molto strano visto che fuma come un dannato.

Gli altri lo assecondano, pur non avendo intuito il suo bisogno, non lo conoscono bene quanto me.

Anche io di tanto in tanto fumo, ma non ho il vizio, lo faccio più quando sono nervoso o stanco. Quando accende la sigaretta intuisco subito perché finora non l'aveva ancora fatto: Diana lo guarda con fredda disapprovazione.

Evito di accenderne una anche io, non vorrei contrariare Resia proprio adesso che sembra così bendisposta con me.

Approfitta di quel momento di pausa per aprire la busta di San Carlo, scommetto che non vedeva l'ora. Sgranocchia le prime patatine, offrendole anche agli altri. Io ho lo stomaco chiuso, sono troppo assorto a contemplare le sue dita; le lecca più volte assieme al cibo, senza neanche accorgersi di quanto appaia sensuale in quel gesto.

«Siete già stati qui?» domando, visto che nessuno chiacchiera e io desidero distrarmi dalle quelle maledette dita che vorrei succhiare io stesso.  

Tutti rispondono affermativamente e come al solito mi sento l'unica voce fuori dal coro. Dovevo immaginarlo, come mi è saltato in testa di fare una richiesta simile?

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