Capitolo undici
RESIA
«È una cretina, questa volta giuro che non la passerà liscia» asserisco nervosa, camminando avanti e indietro nel corridoio della scuola.
Non mi importa se sembro un'invasata, non tollererò oltre i suoi colpi di testa!
«Resia... davvero... sto bene. Non voglio scatenare un'inutile guerra, non ne vale la pena» tenta invano di convincermi Giulio, passandosi con agitazione una mano fra i capelli.
Non me ne fotte un accidente di quello che dice, si vede lontano un miglio che c'è rimasto malissimo, anche adesso è poggiato al muro con aria assente e mi fissa vacuo mentre continua imperterrito ad aggiustarsi quel dannato ciuffo. Odio vederlo così e detesto quella bagascia senza un minimo di buon senso. Sono stanca, il suo accanimento contro il mio amico è ingiustificato!
Questi giorni ero già di pessimo umore, oggi ho la seconda lezione di recitazione e un'ansia pazzesca mi tormenta, attorcigliandomi lo stomaco.
Da quando Lucifero mi ha fatto delle avance si è praticamente dileguato; non l'ho neanche incrociato per puro caso in corridoio o adocchiato fuori scuola, eppure nonostante io mi imponga di non pensare a Mattia, lui affolla sempre la mia mente.
Non capisco perché debba dominare i miei terminali nervosi, non lo merita, vuole soltanto una cosa da me, anzi non da me, dall'intero genere femminile.
«Taci» urlo, forse più aggressiva di quanto volessi, ma indispettita a causa della piega malconcia
assunta dai miei pensieri, mi dà fastidio non avere il pieno controllo delle mie emozioni, soprattutto in casi seri, come questo.
Giulio deve darsi una mossa e smetterla di subire con passività gli scherzi della bagascia, non è giusto che le permetta di agire così senza opporsi e se lui non riesce a controbattere significa che d'ora in poi provvederemo io e Diana a ristabilire l'ordine con le gemelle.
Stavolta ha esagerato, quella stronza non doveva permettersi di tappezzare il suo banco con foto di peni dalle svariate dimensioni.
«Quindi cosa vorresti fare?» domanda preoccupato, giocando con la cintura dei pantaloni.
Lo osservo con attenzione mentre continuo a passeggiare e stringo il corrimano delle scale al mio fianco, sono arrabbiata e non so ancora che fare, sto aspettando che Diana sgattaioli fuori dall'aula, quella secchiona impiega sempre un po' a raggiungermi quando le intimo di seguirmi fuori.
Dobbiamo assolutamente escogitare qualcosa per vendicarci.
«Allora?» chiede Diana non appena ci raggiunge. «Tu devi smetterla di...» inizia aggressiva, ma si interrompe e strabuzza gli occhi non appena le mostro le foto dello scempio.
«Quella figlia di buona donna, io la ammazzo!» sbotta adirata porgendomi con malagrazia il cellulare.
«Cos'è questa delicatezza?» la derido per sdrammatizzare, di solito borbotta epiteti molto più colorati quand'è nervosa.
«Non merita che sprechi il mio fiato, questa volta passeremo direttamente ai fatti» dice irritata, poi si volta verso Giulio e gli punta l'indice sul petto. «E tu smettila di comportarti come un cane bastonato e tira fuori le palle ragazzo, in senso figurato» precisa subito dopo per smorzare la tensione.
Del resto non è il caso che lo tiri fuori adesso. No, decisamente.
La sua battuta riesce a strappare un sorriso al nostro compagno che finalmente pare riscuotersi dallo stato di torpore in cui era sprofondato. Mi avvicino a loro e poggio le braccia sulle spalle.
«Io in realtà ho appena avuto un'idea» affermo esaltata e gli racconto quel che intendo fare.
***
«No, è una follia...» dice Giulio, qualche ora più tardi.
È preoccupato e si gratta con fare ansioso il capo, snervandomi oltremodo. Non può pretendere che dopo tutta la fatica che ho fatto rinunci al mio piano.
Non mollerò mai!
«Taci tu!» gli intimo, inarcando le sopracciglia per sembrare più aggressiva.
Non credo di fargli un granché spavento, ma mi piace pensare di riuscire a intimorire la gente.
Siamo quasi arrivati in aula per la lezione di recitazione dove verrà pure quella stronza che adora divertirsi alle spalle del mio amico; stavolta però ha fatto male i suoi conti. Un sorriso mi incurva il volto al pensiero della sua faccia disgustata non appena si accorgerà della piccola sorpresa che ho deciso di riservarle.
Voglio una marea di sue foto in versione isterica, così avrò anche io un bel banco da tappezzare per metterla in ridicolo davanti a tutta la classe.
Occhio per occhio, dente per dente, mia cara!
«Sei consapevole che cercherà vendetta?» mi avvisa, più ci avviciniamo alla classe, più si agita.
In fondo mi fa tenerezza vederlo così, è un fascio di nervi, teso e in allerta, sobbalza al minimo rumore.
«Credi che la cosa possa spaventarmi? Saprò sempre come ripagarla. Non mi tiro indietro adesso» preciso sicura e non mi importa se quest'azione avrà delle conseguenze, Katiuscia non resterà impunita per quel che ha fatto.
«Continuo a credere che sia una pessima idea.»
È proprio di coccio, inutile!
Lo incenerisco con un'occhiataccia. «Anche ricoprire il tuo posto di peni non mi è parsa un'idea astuta, sai?» rispondo a tono.
È troppo buono, possibile che abbia riservato solo a me e Diana la sua lingua tagliente?
Con noi non si premura di contenersi, è pungente, brillante, simpatico, al resto del mondo invece si mostra come un tipo timido, impacciato e introverso.
Scommetto che se desse anche ad altri l'opportunità di conoscerlo verrebbe apprezzato da molti, quelle poche volte che si è mostrato socievole è sempre stato ben accolto, solo che bastava una semplice frecciatina di qualche idiota per farlo isolare di nuovo, così i suoi tentativi di integrazione con gli anni si sono dimezzati fino quasi a scomparire del tutto.
«Hai ragione» ammette finalmente, regalandomi un sorriso appena accennato ma comunque sincero.
«Era ora... ogni tanto una risposta sensata!»
Gli do una pacca d'approvazione sulla spalla e rido a mia volta, poi mi fermo al distributore automatico per comperare un paio di buste della San Carlo. Non vorrei che il mio stomaco continuasse a brontolare in questo modo anche in classe, non sarebbe affatto lusinghiero per me. Inizio a sgranocchiare il primo pacchetto, offrendo qualche patatina al mio compagno che inquieto com'è mi dà della matta, temendo di vomitare solo all'odore del cibo.
Non appena facciamo capolino nell'aula lo scorgo, presa dalla frenesia della vendetta avevo completamente scordato che ci sarebbe stato anche lui e non avevo previsto il tumulto del mio stomaco alla sua sola vista. Il mio battito accelera repentino, il calore affluisce rapido sulle gote, le gambe diventano mollicce e la testa vortica, detesto l'effetto immediato che scatena su di me, vorrei essergli immune, ma mi rendo conto che invece non gli resisto.
Indossa un semplice completo dell'Adidas che aderisce in modo sublime sulle sue forme.
Il suo volto è un mix di sensualità e fascino, adoro quando si inumidisce le labbra e sgrana gli occhi, pare quasi che il suo sguardo possa penetrarmi tanto è intenso.
Una tale bellezza dovrebbe essere bandita.
Io e Giulio ci accomodiamo al solito posto, più o meno a metà dell'aula. Lui però si avvicina svelto e a ogni passo sento il mio cuore galoppare sempre più frenetico, approfitta del mio stato confusionale lasciandomi un lento bacio all'angolo destro della bocca, prendendosi una confidenza che come al solito non riesco a negare.
Si può sapere perché lo assecondo?
«Ciao» dico, quando riesco a recuperare l'uso della parola, mi sfioro con le dita il punto in cui le sue labbra mi hanno lambito, ho i brividi al pensiero di averlo avuto così vicino.
L'ultima volta che l'ho visto ero livida di rabbia e più che mai decisa a evitarlo per il resto dei miei giorni, invece mi è bastato rivederlo per diventare una povera svitata senza un minimo di spina dorsale.
Sono proprio un caso pietoso!
Mi guardo intorno e scorgo Katiuscia che sbraita con un ragazzino del primo anno, chissà quale rimprovero gli sta muovendo. Mi assale una voglia matta di strangolarla, ma per fortuna la scena mi ricorda che ho un conto in sospeso con lei.
«Ho bisogno di un favore» dichiaro seria a quel punto, spostando di nuovo lo sguardo sul diavolo che tenta abilmente di trascinare tra le fiamme il mio buon senso. Non capisco perché voglio coinvolgerlo nel mio programma, non potevo limitarmi a ignorarlo e basta?
«Non dovevo starti lontano?» borbotta con una punta di rammarico, imitando la mia voce.
In effetti sembrerò una pazza, prima gli intimo di allontanarsi, poi come se nulla fosse gli domando un piacere.
Come spiego che quando sono dinanzi a lui perdo il lume della ragione e dimentico le mie stesse pretese?
«Non mi pare che tu abbia esaudito la mia richiesta, quindi...»
Simulo un'espressione persuasiva che temo risulti un po' ridicola, devo ancora far pratica in questo campo, non credo di essere molto ammaliante e soprattutto dubito che con un sacchetto di patatine alla mano possa risultare credibile.
«Quindi, cosa?» domanda scettico.
Sgranocchio una patatina e con educazione gli porgo la busta, sperando che accetti, così recupero un altro po' di tempo.
Mi sento una completa imbecille, sotterratemi!
«Quindi tanto vale che mi dai una mano» asserisco, cercando di apparire convincente.
«Dipende...» replica sfacciato, iniziando a giocare con una ciocca di capelli che mi incornicia il volto.
Ha un ghigno divertito, chissà cosa sta tramando però non mi risulta difficile indovinare il verso dei suoi pensieri.
«Sei proprio cocciuto» affermo stando al gioco, troppo consapevole di quella mano che vaga a una spanna dal mio volto.
«Ne avete ancora per molto?» domanda invece Giulio. Indica con lo sguardo lo zaino che porta in spalla.
Lo ignoro e fisso ancora una volta Mattia. «Sì o no?»
Sbuffa e lascia ricadere i miei capelli, però si trattiene volutamente con le mani sul mio volto, scivolando lento sulla pelle e guardandomi con malizia le labbra.
Sento subito caldo. Possibile che debba sempre reagire in modo così svenevole?
Sbuffo. «Mi aiuterai?»
«D'accordo» risponde sicuro.
Lo abbraccio in modo innocente, ma non appena mi accorgo di ciò che ho fatto, mi scosto impacciata da lui.
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