Capitolo trentotto

                                    MATTIA

«Ti sei fatto male? »

Smetto di massaggiarmi la spalla per rivolgermi a Katiuscia. Sento un forte indolenzimento sul lato destro, non è stata una brillante idea quella di provare a sfondare la porta.

La guardo in cagnesco: pare preoccupata per me e la cosa non ha proprio senso; fra di noi c'è nulla e perdipiù detesto quegli stupidi scherzi che fa a Resia.

«Non sono affari tuoi» ribatto sprucido, spingendola sul lato per oltrepassarla.

«Ma che modi» si lamenta, incollerita. «E io che volevo rendermi utile ed evitarti di finire in ospedale. Non capisco perché mi ostino con uno come te.»

Sbuffo, ignorandola, sembra delusa dal mio atteggiamento, ma non mi importa un accidente di lei.

Abbasso la maniglia dello sgabuzzino pronto a liberare Resia e riscuotere la mia ricompensa.

Tuttavia quando la vedo, capisco che non guadagnerò un bel niente. Il suo sguardo saetta su Katiuscia. Annulla la distanza che la separa dalla ragazzina viziata e le poggia l'indice sul petto, costringendola a indietreggiare. «Tu, lurida, viscida, serpe schi...»

«SIGNORINA MARRA» urla la sua docente alle nostre spalle, interrompendo gli epiteti che Resia stava rivolgendo alla ragazza.

Perché Resia è così incazzata con lei adesso? In fondo se non fosse per Katiuscia sarebbe ancora rinchiusa lì dentro a sbraitare come un'ossessa.

Mi volto e osservo perplesso la platea di persone che ci circonda; avevo dimenticato la folla assiepata alle mie spalle, avranno assistito tutti al mio patetico tentativo di abbattimento della porta. Non mi importa di loro, ma il mio docente di letteratura, che affianca la professoressa che ha appena sbraitato contro Resia, non è affatto contento della mia performance. Mi passo una mano fra i capelli, fingendomi indifferente eppure so per certo che a breve mi rifilerà una ramanzina.

«Con te me la vedrò dopo» minaccia lapidaria e sottovoce la mia strega alla sua salvatrice.

Ha parlato così piano che a malapena l'ho sentita io che sono qui vicino.

Si rivolge alla sua insegnante. «Mi scusi professoressa ma...» Non fa in tempo a completare la sua frase che Katiuscia la interrompe stizzita, sollevando la mano in segno di protesta.

Si schiarisce la voce e finge un'espressione del tutto innocente che poco le si addice visto che di solito sa essere molto perfida. «Mi manda la Preside, mia madre» chiarisce, calcando volutamente sull'ultima parola con fiera arroganza. «Si da il caso che se non mi fossi accorta che quella racchia di Resia.»

«Stronza» sibila alterata, Resia.

«LA MARCA, MARRA» sbraita la professoressa, sconvolta. «Ma si può sapere che avete tutte e due oggi?» si lagna ancora, fissando entrambe le alunne in malo modo.

Sbuffo anche io per par condicio, sottolineando quanto reputo infantile quel loro modo di darsi battaglia.

«Rammollita» si corregge Katiuscia, suscitando l'ennesima occhiataccia dalla docente e uno sbuffo incollerito della mia bimba che però trattengo col braccio, inducendola a tacere e temendo che possa saltarle al collo.

È livida dalla rabbia, ha le labbra increspate e la fronte corrugata.

«Se non fosse per me sarebbe ancora chiusa nello stanzino, ho rimediato la chiave di riserva dalla presidenza solo per soccorrerla e si permette anche di offendermi e lagnarsi» conclude, facendo spallucce e guardando Resia con aria di sfida.

Mi meraviglio che la mia bambina rimane ferma al suo posto e non replica alcunché. Non è da lei, non rispondere alle provocazioni dell'altra.

«Bene, bene» si complimenta la docente mentre Katiuscia ridacchia soddisfatta.

Resia invece riprende la parola e il suo tono è sarcastico quando interviene esprimendo la sua opinione sulla faccenda. «Ma tu guarda... E io che pensavo che fossi stata tu a rinchiudermi qui dentro. Che sciocca» butta lì, dandosi al contempo un buffetto sulla fronte.

Eppure l'animosità con cui si contraccambiano mi lascia intendere che quella di Resia non sia solo una battuta per sdrammatizzare, ma che Katiuscia sia davvero la colpevole. Se è così, perché non l'ha accusata subito?

«Su, filate tutti in classe adesso, sciogliamo questo teatrino» interviene il mio docente, battendo ritmicamente le mani e incitando tutti gli spettatori indesiderati a rientrare nelle proprie aule.

Purtroppo non posso disattendere ai suoi ordini. «Ci vediamo dopo» mi congedo, rivolgendomi solo a Resia che a sua volta accenna una breve risposta affermativa prima di dileguarsi, accompagnata da un gruppetto di ragazzi e dall'insegnante.

Non appena entriamo in aula, il professore De Luca mi rimprovera per lo squallido tentativo. Mi aspettavo un lungo sermone da parte sua, ma per fortuna si è limitato a dire che avrei potuto fratturarmi la spalla e che mi sono comportato da sciocco.

Il resto dell'ora scorre fin troppo lenta mentre il professore si dilunga nel racconto della biografia di Niccolò Machiavelli parlando del Principe in modo così nauseabondo che quando dovrò studiarlo sono certo che faticherò a concentrarmi e estrapolare dai miei ricordi di questa lezione qualcosa di lontanamente positivo.

Quando suona la campanella della ricreazione scappo subito fuori dall'aula senza attendere neppure Federico. Sono troppo ansioso di vedere Resia e raggiungo a lunghe falcate il suo angolino che ormai è diventato anche il mio. Chi l'avrebbe mai detto che un giorno avrei usurpato il suo posto!

Ho tanto invidiato i suoi amici prima di guadagnare lo stesso privilegio e adesso che mi è concesso starle accanto faccio fatica a crederci. Non mi sembra ancora vero fare parte della sua vita, ma vorrei tanto che mi confessasse che mi desidera, così la smettiamo con questa maledetta farsa dell'amicizia. Noi non siamo amici e non lo saremo mai.

Il terzetto è già lì a confabulare ma oggi voglio Resia solo per me e non intendo rimanere qui e dividerla con tutti.

Saluto in modo sbrigativo gli amici, ormai mi sto abituando a questi futili convenevoli, ma solo perché adoro poter approfittare della cosa per stringere un po' in più Resia fra le mie braccia.

«Ciao.» Sorrido sincero e intreccio i nostri corpi con fare possessivo, ne inspiro il buon profumo a pieni polmoni e le sfioro la fronte con le labbra. Vorrei fare molto di più, ma mi contengo. C'è voluto parecchio per conquistare questa quiete e non oso azzardare un passo falso che possa compromettere il nostro equilibrio.

«Ciao Mattia» ricambia allegra, stringendomi i fianchi e poggiando la testa nell'incavo del mio collo, lasciandosi cullare dal mio caldo abbraccio.

«Col vostro permesso» informo ironico gli altri due, senza districarmi da quella dolce stretta che tanto mi fa star bene. Passerei le ore così, mi piace stringerla contro il mio petto. È questo il suo posto.

«Fate con comodo» replica Giulio, mentre sia lui che Diana ridacchiano divertiti.

In realtà non ho bisogno di dar conto a loro se voglio rubare la mia bimba ma per ammorbidire la strega e non risultarle rozzo e maleducato, improvviso anche gentile. Questo posso sopportarlo. Basta che non pretenda che diventi uno di quei tipi eccessivamente sdolcinati, perché solo il pensiero mi fa accapponare la pelle.

«Dobbiamo parlare» taglio corto con un tono che non ammette repliche.

Non voglio risultare troppo pressante, ma anche adesso a una spanna dal suo volto e ancora permeato dalla sua fragranza mi sento in completa balia di una tempesta e divento incapace di governare il battito del mio cuore e filtrare le mie parole.

«Ah sì, vuoi parlare? E di cosa?» mi provoca, civettuola.

Non è da lei comportarsi così. Non ha idea di quanto mi ecciti quel tono così seducente. Il suo alito mi solletica le labbra e sono maledettamente persuaso dalla voglia di baciarla qui davanti a tutti, ma non credo mi abbia provocato di proposito. Lei è fatta così, neanche si accorge dell'enorme ascendente che ha su di me. Io invece a un centimetro dalla tentazione che scivola inclemente su ogni fibra del mio corpo mi sento impotente.

È duro rimanere indifferente, non la bacio solo perché non credo apprezzerebbe l'idea di dare spettacolo nel corridoio della scuola. Io non mi limiterei di certo a un approccio casto, anzi, quindi è preferibile un posticino appartato. Quest'ultimo periodo sto arrivando all'esasperazione, la desidero troppo e non credo riuscirò a frenarmi quando potrò assaporare di nuovo il suo gusto.

«Sì, parlare» ribatto deciso, anche se ho tutt'altre idee.

Il mio non è solo desiderio, ho voglia di lei a prescindere. Desidero confidarmi, raccontarle il mio passato e liberarmi dai pesi che mi porto dentro, ho voglia di abbracciarla, prenderla in giro, sfiorarla, accompagnarla a comprare un libro, fare una passeggiata, guardare un film.

Però quando le sto così vicino, come adesso, la passione prevale su ogni altro pensiero coerente e la razionalità va a farsi fottere su rotaie che seguono un percorso del tutto diverso e decisamente più peccaminoso.

«Tu vuoi fare altro?» domando malizioso.

Quando si accorgerà che c'è qualcosa di più importante fra noi e che non la considero veramente un'amica? Io non ce la faccio più, sto scoppiando. Anche ora, mentre racchiudo il suo corpo fra le mie braccia, mi sento un perfetto idiota.

Resia sospira alla mia proposta, spinge il capo all'indietro con lentezza e accenna una risposta negativa, muovendo il viso prima a destra e poi sul lato opposto. Scioglie il nostro intreccio e indietreggia di un passo, frapponendo una distanza maggiore fra i nostri corpi.

«Vieni con me» la prego allora, e senza darle il tempo di rispondermi, stringo le sue dita fra le mie e la trascino con me.

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