Capitolo trentasei

MATTIA

Non appena spalanca la porta del suo ufficio Veronica non mi da neanche il tempo di salutare.

«Partiamo male» mi guarda con scherno poi punta quegli occhi tondi e scuri sul polso e sbuffa infastidita. «Mezz'ora di ritardo.»

Beh, non ha tutti i torti, ma ho impiegato venti minuti solo per trovare un parcheggio. Non è colpa mia se questa dannata agenzia non ha neanche un posto macchina per i dipendenti.

«Non succederà più» mi limito a ribattere con sufficienza.

Sbuffa ancora e con un getto stizzito si butta i capelli che le incorniciavano il volto dietro la schiena.

Quando non li lega alla Pippi, facendo le due code ai lati, sono molto belli, ma preferisco comunque la lunga chioma di Resia. Mi piace un sacco accarezzare quei fili ramati. Oggi dopo l'intervallo l'ho beccata in corridoio e l'ho rivista anche all'uscita, in entrambe le occasioni abbiamo scambiato due parole con tranquillità. Pare che sta' cosa dell'amicizia stia filando.

Vorrei passare allo step successivo, ma non voglio spaventarla. Sono certo che se osassi di più, scapperebbe a gambe levate. Sono già partito del tutto sparato con lei e ne stavo ricavando solo guai, quindi meglio procedere per gradi.

«Puoi dirlo forte che non accadrà. Se non fosse che a quest'ora avrei difficoltà a trovare un animatore disponibile, ti avrei già sostituito con qualcuno. Non tollero ritardi a lavoro e la prossima volta non sarò così benevola, tienilo bene a mente: quando abbiamo un appuntamento esigo che lo rispetti.»

Detesto che qualcuno mi rimproveri e il modo in cui mi tratta da quando l'ho conosciuta mi fa sentire un bamboccio. So onorare un impegno e mi dispiace aver cominciato col piede sbagliato, ma le farò cambiare opinione su di me.

«Non succederà più» ribadisco di nuovo, stavolta più deciso e guardandola dritto in faccia. Ha un trucco leggero, niente buffe lentiggini, un po' di mascara le allunga le ciglia nere e già folte e un velo di rossetto le colora le labbra piene.

Sospira scocciata e alza gli occhi al cielo. «Seguimi» si limita a ribattere con arroganza.

Rimango qualche secondo immobile. Appena l'ho conosciuta l'ho giudicata strana e forse inadatta a gestire un'azienda vista la sua giovane età, però ha un modo di fare tutto suo che credo in realtà sia invece efficace. Mi tocca cominciare a darle retta se voglio conservare il posto di lavoro.

Si volta un attimo e quando mi ritrova nello stesso punto, grugnisce. «Ti muovi?»

Inizio a camminare frettolosamente per raggiungerla, che presuntuoso che sono, credevo di interessargli e che quindi lavorare con lei sarebbe stato un gioco da ragazzi, ma ogni minuto che passa mi accorgo che non è così, non mi pare per nulla comprensiva e accomodante, anzi. La osservo da dietro mentre ancheggia il culo in quel leggings aderente e cammina fiera con passo svelto, comincio a credere che quel fare provocatorio le appartenga per carattere e non sia studiato per eccitarmi, altrimenti non mi spiego il suo rancore verso di me e le sue continue minacce velate di licenziamento.

Raggiungiamo un salone abbastanza grosso dove sono stipati alti scaffali con bauli di diverse grandezze, cestini colorati, cerchi, palle rimbalzanti, motori e giostre gonfiabili ripiegate in bustoni blu. Su diversi Stand sono appesi vestiti di carnevale di ogni genere, riconosco anche Topolino e le maschere di diversi animali: un leone, una scimmia e addirittura un elefantino. Guardandomi intorno noto anche bersagli, canestri, birilli e palle per il bowling, pistole giocattolo, archi, insomma un po' di tutto.

Da piccolo avrei tanto desiderato ritrovarmi in una stanza di questo tipo, avrei incontrato il Paradiso per scambio invece adesso mi sento un pesce fuor d'acqua e non so che fare.

«Ci sei?»

Veronica mi sventola la mano davanti al volto facendomi sentire un deficiente completo. Non sto guadagnando punti ai suoi occhi, quindi cerco in qualche modo di rimediare, mostrandomi interessato.

«Di solito che giochi organizzate coi bambini? C'è una scaletta fissa?»

La mia titolare per tutta risposta ride e non lo fa in maniera pacata, la sua è una risata rumorosa, aperta, sincera. Si sta divertendo a mie spese e neanche ne capisco la ragione.

«Sì può sapere che diamine ti prende?» mi infastidisco, è davvero snervante. Perché non si comporta come una persona normale? Mi tratta come un moccioso.

«Una scaletta» sghignazza ancora. «Come se coi bambini si potessero fare programmi! Quanto sei ingenuo, Mister faccia appesa.»

Sbuffo spazientito, manderei tutto all'aria se non avessi bisogno di guadagnare qualcosa. Non la sopporto proprio: è una vipera. Mi poggia una mano sul braccio, e addolcisce lo sguardo.

«I bambini sono imprevedibili. All'inizio la pensavo esattamente come te, per questo mi hai fatto sorridere. Mi hai ricordato com'ero ingenua. La mia prima festa credevo di poter scegliere io cosa fare, che dire, come gestirli. Nulla di più sbagliato.» Si prende una piccola pausa, quasi fosse persa nei suoi vecchi ricordi, poi prosegue. «Adesso a distanza di dieci anni posso dirti che non è affatto così. Certo, ho imparato a intuire le loro preferenze, so come rapportarmi con loro e capisco subito in che modo gestire il party, ma fidati di me, non potrai mai seguire una tua scaletta, sono loro a dettare l'ordine dei giochi.»

Dovrei essere ancora risentito per come mi ha trattato prima, ma il modo in cui mi ha spiegato la cosa mi ha sorpreso. Per tutto il tempo ha avuto un luccichio negli occhi e dalla sua voce traspariva un'enorme passione. Ama questo lavoro e sono certo lo faccia con totale devozione.

Decido di abbandonare i miei propositi di fuga e affrontare con maturità questa sfida con me stesso. Sono certo che questa cosa dell'animazione potrà solo rendermi migliore di ciò che sono.

«Beh allora spiegami un po' che giochi possiamo fare, almeno non ti sarò d'impiccio e cercherò di darti una mano.»

Veronica mi illustra ogni cosa in dettaglio, scopro addirittura che quelli che a me sembravano semplici secchielli della spazzatura vengono utilizzati in diversi modi, sia per fare la raccolta delle spugne quando si organizza una guerra con due squadre, sia per montare un castello, proprio come si farebbe coi bicchieri di plastica e regalare un premio al bambino che lo costruisce più velocemente.

I bauletti invece contenevano materiale per laboratori vari. A quanto pare ritiene che è impossibile riuscire a sopportare i marmocchi se per tutta la festa si sfrenano con giochi dinamici, quindi ha pensato bene di alternare staffette, corse sulle palle rimbalzanti e giochi simili ad altre attività decisamente più ricreative e tranquille. È infatti provvista di matterelli in legno della misura più piccina, adatti ai bambini, grembiuli e capellini da cuoco, trucchi di ogni genere, tutù di vari colore, boa di piume, pom pom per far sfilare le bimbe più vanitose. Ci sono anche bottigliette in plastica trasparenti che da quanto ho capito vengono riempite col sale che i bambini colorano durante le feste.

Quando usciamo da lì, carichiamo in fretta e furia la mia macchina e sebbene sia un po' insicuro mi sento comunque carico e certo di poterle dare una mano. Raggiungiamo subito il luogo della festa, durante il tragitto mi bombarda di consigli, preparandomi a ogni eventualità ma, solo qualche ora più tardi mi ritrovo comunque con la voce rauca, esaurito e sotto shock.

Non mi sarei mai aspettato una cosa del genere.

«È sempre così?» domando quando siamo soli e ormai lontani da quello che per me è stato decisamente un campo di battaglia.

«No. Anche peggio» mi informa tranquilla sorridendo, mentre lega i capelli in una coda di cavallo improvvisata.

Ha un po' di farina sulla guancia, rallento un attimo l'andatura della vettura e le tolgo quella polverina. Si è creato uno strano feeling tra noi durante la festa e mi è venuto naturale sfiorarla. Non è da me, ma a quanto pare passare delle ore così in sintonia ha generato questa strana confidenza.

«È stato un inferno, ma mi sono divertito» confesso soddisfatto, riprendendo a guidare con attenzione.

Ho cercato di mostrarmi attivo per tutto il tempo, non mi sono fermato un attimo. Alla fine non è andata male, ma stare dietro a tutti quei capricci non si è rivelato affatto facile per me e credo che spesso ho dimenticato di inarcare la bocca per sorridere.

«Lo so. Mi sei piaciuto e in tutta onestà non l'avrei mai detto. Non mi sembravi affatto portato e non credevo ci sarebbe stata occasionare di lavorare ancora con te, invece mi sbagliavo.»

Speravo mi dicesse qualcosa di simile, non mi andava giù che mi considerasse un impiastro visto l'inizio non proprio idilliaco.

Comunque anche lei è davvero ingamba, dopo la prima mezz'ora i bambini erano tutti in suo potere. Riusciva a gestire ogni cosa con facilità, dispensando sorrisi a destra e a manca, io mi sono limitato a imitarla; in fondo recitare è pur sempre il mio asso nella manica.

«Ma perché Tiziano si lamentava con te?» chiede curiosa, mentre accelero un po' l'andatura visto che la strada è completamente vuota.

Ripenso a quel moccioso e mi scappa un sorriso: aveva a stento quattro anni, ma era uno dei bimbi più vispi della festa; non stava un attimo fermo; sembrava il piccolo diavolo della Tasmania, Taz, che mia sorella Dafne tanto adora.

«Aveva mal di pancia e non sapeva come fare cacca» rispondo sbrigativo, sperando non approfondisca l'argomento.

Mi sono sentito uno stupido quando mi ha letteralmente chiesto come fare i suoi bisogni. Che cazzo di domanda è. Ti pare che uno a quattro anni non sa come fare la cacca? Gli sarà capitato altre diecimila volte.

«In che senso?»

Stacco le mani dal volante e tiro il freno a mano visto che siamo già fuori l'agenzia e dobbiamo scaricare l'auto.

«E che ne so. Gli ho spiegato di sedersi sul water e spingere forte, ma non mi è parso molto soddisfatto e continuava a lagnarsi con me della cosa. Tu che diamine rispondi a un bimbo che ti chiede come si fa» ribatto scettico, mentre mi passo le mani fra i capelli.

«Hai tutta la mia stima allora. Anche io non avrei saputo che dire. Comunque non gli faceva male così tanto la pancia visto quello che ha combinato» afferma sicura e in effetti Tiziano tutto pareva fuorché un bambino sofferente, per questo non me ne sono affatto preoccupato.

Mettiamo a posto ogni cosa, ripercorrendo ancora qualche momento della festa, non sono mai stato così loquace, ma lavorare coi bimbi mi dà molta adrenalina e per quanto mi senta stanco sono ancora molto energico e stranamente chiacchierone.

«Stesso orario domani?» domando quando ormai è tutto in ordine e sono pronto per rientrare.

Ho anche le tasche piene, cosa che mi rende ancora più propenso a ripetere quell'esperienza.

«No, va bene anche per le diciassette tanto non ho nulla da spiegarti. Mi raccomando, puntuale però» allunga la mano per salutarmi, ma cambia subito idea perché si alza sulle punte e mi scocca un bacio sulla guancia.

Non mi fa lo stesso effetto del bacio di Resia, in realtà non mi provoca nessuna emozione sentire quella bocca che mi sfiora, ma per qualche strana ragione un po' me ne compiaccio.

Comunque sono certo che il rapporto con Veronica rimarrà solo lavorativo. Il mio capo avrà anche il suo fascino, ma è un'altra la donna che voglio e su questo ormai non ho proprio dubbi.

«Ciao Veronica» la saluto, allegro.

Non vedo l'ora di rivedere Resia, voglio raccontarle la mia nuova esperienza, ci tengo a fare bella figura ai suoi occhi.

«Chiamami Veve» risponde con lo stesso tono gioviale.

Sorrido, in fondo non è così difficile farlo. Potrei diventare molto meno musone di questo passo.
«D'accordo.»

Me ne vado di buon umore, stanco e appagato.

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