Capitolo tre
RESIA
Non capisco perché Tommaso si ostini con quei maledetti sudoku. Trascorre ore intere su quella sedia dal gambo un po' storto, tentando invano di completare le caselle coi numeri esatti. Non mi convincerà a provarci, io non passerò mai dal lato oscuro: Vade retro matematica.
«Cosa ci vuole qui?»
Alza leggermente la testa dal foglio stropicciato e non riesco a fare a meno di sorridere. È il bidello sul mio piano da due anni ed è tale e quale all'attore Bruno Arena: cespuglio grigiastro stempiato, fronte spaziosa sempre corrugata, bernoccolo, naso a punta, occhi a palla e labbra sottili.
«Sbircia la soluzione» suggerisco, allegra.
Mi siedo sul banchetto verde accanto a lui, schiena appoggiata al muro, gambe che penzolano come fossi su una vecchia altalena. Tommaso mi guarda interdetto, so che non dovrei intrattenermi qui, ma mi fermo sempre a scambiare due chiacchiere con lui quando voglio prendere qualche minuto di pausa dalle lezioni.
La prima volta che l'ho visto, stava scopiazzando le risposte, da allora l'ho beccato più volte a imbrogliare, ma quando glielo faccio notare, lui nega l'evidenza, inventando le scuse più improponibili. Abbiamo una certa confidenza, ormai.
«Dove posso recuperare un cassino nuovo?»
Quel tono di voce profondo è diventato inconfondibile per me, gli occhi saettano subito su di lui.
«Controllo subito» replica Tommaso, che si dirige con il suo incedere claudicante allo stanzino dell'attrezzatura.
No! Non puoi lasciarmi sola col nemico.
Lo ignora, sperando che faccia altrettanto, oggi non sono pronta a un diverbio con lui e la sua presenza mi mette sempre in agitazione.
«Sei la nuova bidella?» sghignazza, divertito.
Che deficiente!
Mi raddrizzo meglio sul banchetto. «Che battuta infelice» rispondo, fingendomi annoiata, mentre tutti i miei sensi sono in allerta, pronti a percepire anche il più minimo spostamento d'aria.
«Ehi, guarda che scherzavo» si giustifica, forse non voleva essere sgarbato, sono io che sono sul piede di guerra con lui.
Non rispondo, persa nei miei pensieri.
«E comunque, potresti pure guardarmi, non mordo sai?»
Mi limito a scrollare le spalle.
Sento i suoi passi avvicinarsi, poco dopo si siede al posto di Tommaso. Compila un paio di caselle e nel frattempo mi poggia con naturalezza una mano sulla gamba. Una scarica elettrica attraversa il mio corpo. Accidenti, non pensavo che un semplice tocco potesse innescare un cortocircuito: un incendio divampa sulle mie guance.
Gli scosto la mano. «Proprietà privata» lo redarguisco, cercando di apparire seria, ancora troppo sconvolta da un suo semplice tocco.
Non voglio che mi sfiori a suo piacimento. Non abbiamo quel tipo di confidenza.
«Sarei interessato ai modi di acquisto o godimento della tua proprietà.»
Avvampo, a quanto pare, non ha peli sulla lingua.
«Scordati l'acquisto e il godimento e ficcati bene in testa i vincoli e i limiti» dichiaro, battagliera.
Mattia sorride con strafottenza e riempie un'altra casella del sudoku. Si finge addirittura concentrato, ma sono certa che stia mettendo i numeri a casaccio.
Non può risolvere quei cosi infernali da solo!
«A che distanza devo mantenermi?» domanda, invadente e senza attendere una risposta, si alza in piedi e mi si piazza di fronte.
Quando mi sfiora il viso con i polpastrelli, sento la pelle bruciare in quel punto. Mi sento inebriata, mezza sbronza e non oso immaginare come reagirei se andasse oltre. Guardo le sue labbra piene e mi assale un'irragionevole voglia di baciarlo. Non ho mai fantasticato così su un ragazzo. Non sono una che si lascia andare con facilità, mi sento spaesata e questa smania di sfiorare la sua bocca per me è una novità preoccupante. Lo conosco a malapena.
«Sei già andato oltre» replico, ma il mio tono di voce è basso e rauco, per nulla convincente.
La sua mano mi scivola leggera sul mento, sfiorando una piccola cicatrice, che pizzica, è un mio punto sensibile, scende ancora, inclemente, lambisce il collo flessuoso e vezzeggia la clavicola con dolcezza, tracciando una bollente scia.
Cristo santo, mi sento accaldata. Una leggera pressione spinge nel basso ventre. Mi sento lo stomaco sottosopra, in preda a una strana nausea. Possibile che mi venga da vomitare proprio adesso? Non voglio dare di stomaco, trattengo un respiro e poggio il capo alla parete, mi gira la testa.
«Non ho mai onorato limiti ridicoli e non intendo farlo neppure adesso, Resia» dichiara convinto. La sua voce è arrochita, e sento un insolito calore al di sotto dell'ombelico.
Gli afferro le dita, bloccando quella carezza, ma non riesco a condurlo via dal mio corpo. Gli stringo la mano, forse con più foga di quanto volessi.
Sorride, audace. «Mi piace la tua proprietà, e non credo che la mia immissione sia così intollerabile.»
Immissione? Che diamine sta blaterando! Si riferisce al suo tocco? Oh, non solo lo tollero, vorrei che non si fermasse mai, ma non posso lasciarmi andare.
«Sì, va oltre la mia normale tollerabilità» mi costringo a ribattere.
Mattia storce il muso, ora infastidito. Non ha apprezzato la mia menzogna. Inarca entrambe le sopracciglia e un bizzarro solco si forma al centro delle tempie. Vorrei appianare quella ruga con una carezza. Santa Vergine, sto diventando bipolare, perdonami!
«Sei soltanto una mocciosa» mi attacca, indietreggiando.
Che stronzo! Quindi è così che stanno le cose? Se non gli do quello che vuole mi schernisce. Del resto è Lucifero. Non devo dimenticarlo! Lui ammalia e saccheggia, affascina e disarma, abbindola e depreda, miete le sue vittime con disinvoltura, sono io che devo impormi. Non posso lasciare che mi conduca nel suo inferno tentatore.
«E tu, sei un arrogante.»
Simulo un sorriso indifferente e scendo dal banco per fronteggiarlo a viso aperto. Sono costretta sempre a sollevare il capo per guardarlo.
«Tieniti cara la tua proprietà.»
Gli poggio una mano sul petto, dandogli un colpetto. «Sarei interessato ai modi di acquisto o godimento» lo prendo in giro, ricordandogli che era lui quello che accampava pretese sulla mia proprietà.
Ridacchia, ma il suono è isterico. Sono sicura che finge, è indispettito. Voleva che io gli dessi campo libero, però con me non funziona così.
«Cambiare idea è sinonimo di intelligenza» dice e sembra pure convincente con quel sorriso strafottente stampato in faccia.
Misero bugiardo, non hai affatto cambiato idea. Sono io che ho imposto dei limiti.
«Non incassare un rifiuto è sinonimo di stoltezza» continuo, caparbia.
Mi afferra per i fianchi e mi spinge col bacino contro di lui, avvinghiandosi con impeto al mio corpo. Sento una strana pressione sul fianco, calda, minacciosa e ancora una volta avverto quell'insolito languore.
Forse è il muschio, quella fragranza è così intensa da destabilizzarmi. Sì, sicuramente è il suo profumo a darmi la nausea.
Mi stringe l'esile vita e le sue labbra si avvicinano pericolose al mio collo. Lo inumidisce, tracciando un sentiero con la lingua, dal basso verso l'alto, fino a raggiungere il lobo dell'orecchio, lo mordicchia e ne traccia i contorni. Non riesco a dirgli di fermarsi. Vorrei parlare, ma ho la gola secca. Mai nessuno aveva osato così tanto con me. Mi sento debole, diversa, mi piace questa sensazione anche se mi spaventa. È un'emozione troppo forte. Mi aggrappo a lui, temendo di non riuscire a rimanere in piedi, mentre il formicolio allo stomaco aumenta a dismisura.
Tommaso esulta a perdifiato dallo stanzino, facendomi sprofondare nella realtà, mi districo dall'abbraccio del diavolo e prendo di nuovo le distanze.
Sono una cretina. Cosa stavo combinando?
«Non farlo mai più» affermo, arrabbiata per la mia stupida resa. Se non fosse per Tommaso, l'avrei lasciato continuare.
Mi sento ancora stordita, detesto non avere il controllo di me e solo con lui mi succede.
«Non sembravi così infastidita poco fa» gongola, soddisfatto.
«Mi hai colto solo alla sprovvista» tento di difendermi. Avrei potuto respingerlo, ma non volevo. È questa l'amara verità. Tra le sue braccia mi sentivo più viva.
Grugnisce, indispettito. «Ipocrita.»
«Maleducato.»
Tommaso, inconsapevole del nostro diverbio si frappone tra noi, esibendo vittorioso il cassino.
«Tieni e scusa per l'attesa.»
Porge con gentilezza il cancellino a Mattia, che ricambia con un'alzata di spalle e si allontana senza dire neanche una parola.
Rozzo cavernicolo dai modi barbari.
Prima di svoltare l'angolo mi fissa un'ultima volta. Vorrei fargli una faccia di schiaffi. È così pomposamente fiero di sé.
«Tu non rientri in classe?»
«Sì, sì, ora vado, Tommaso.»
Prende di nuovo posto sulla sedia e solo allora nota il lavoro svolto dal mascalzone.
«Non esaltarti troppo. Sono tutti sbagliati.»
Volta il giornaletto e sbircia nelle soluzioni.
«Non è vero, sono esatte» ribatte, corrucciato. «Sei sempre la solita burlona.»
Che cosa?
Gli rubo il sudoku incredula e sfoglio io stessa le ultime pagine. Non è possibile! Lucifero ha oscure capacità cerebrali.
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