Capitolo sei

MATTIA

Soldi e un preservativo difettoso. Quanti potevano vantare di essere stati concepiti in circostanze analoghe? Si nasce per amore o per errore, io appartenevo senza ombra di dubbio alla seconda cerchia e quella era la mia condanna. 

L'incubo da cui, pur volendo, non potevo sfuggire, quell'assurda verità mi perseguitava, era il mio marchio di fabbrica. Purtroppo ero un disgraziato e lo sapevo bene. Ero nato a causa di uno scherzo del destino, dietro pagamento. Ero un oggetto. Uno di quelli che si ottiene comperando un servizio. Niente di più, niente di meno. Concepito ad Amsterdam, figlio di una prostituta e di un ragazzo, appena maggiorenne, che aveva deciso di regalarsi un'esperienza erotica del tutto legale. Non avrei mai potuto cambiare quella realtà, potevo solo conviverci.

La porta della mia stanza cigola, mi raddrizzo subito sulla sedia,  aprendo un libro a caso sulla scrivania e fingendo di studiare.

«Che fai?» esordisce mia sorella, Dafne.

Alzo gli occhi verso la piccola intrusa. Non mi somiglia affatto. È bionda, i suoi capelli sono lisci come spaghetti, e gli occhi, sempre vispi e allegri, sono di un verde molto intenso.

Abbiamo un solo genitore in comune, lei assomiglia a sua madre e io invece sono identico a nostro padre.

Per Ada, mia madre, dopo una vita di menzogne in cui ha sostenuto che mio padre fosse morto, quando ho raggiunto l'adolescenza non è stato difficile capire chi fosse il cliente malcapitato con cui mi aveva concepito. L'ha tenuto segreto per dispetto probabilmente. Neanche per Stanislao è stato arduo riconoscermi quando mi sono presentato qui, due anni fa.

Non dimenticherò mai quel giorno. Avevo solo diciassette anni e non immaginavo neanche quanto sarebbe cambiata la mia vita da quel momento. I nostri sguardi si incrociarono, lui non sapeva di avere un altro figlio in Olanda, ma per me quell'istante fu folgorante e credo sia stato lo stesso per lui. Era come riflettersi allo specchio, solo che io mi sono immaginato più adulto, maturo e lui ha rivisto il giovane scapestrato che era stato.

Ricordo che avevo cercato di imparare qualche parola in italiano durante il viaggio, altrimenti non avrei saputo spiegargli perché fossi lì, chi ero, come avevo saputo di lui. Avevo scritto una lettera utilizzando google traduttore. Non l'ho mai utilizzata, ma quel giorno, prima di incontrarlo ero molto nervoso, non mi fidavo di mia madre e avevo paura che avesse inventato l'identità di mio padre solo per sbarazzarsi di me. Per lei sono sempre stato un peso. Non ho mai capito perché non si è liberata di me quando ha scoperto di essere incinta.

«Allora? Perché non parli?» chiede, arricciando il naso. «Hai proprio uno sguardo strano.»

Simulo un'espressione naturale, non voglio si preoccupi per me mentre sono alle prese coi miei demoni. «Domani ho un compito in classe» mi giustifico.

In realtà è vero, ma oggi non riesco a studiare. Negli ultimi giorni il mio umore era buono, l'inizio della nuova scuola mi aveva elettrizzato, solo che dopo pranzo ho sentito al telegiornale la notizia di un maxi arresto, a seguito della scoperta di una casa di prostituzione e da allora mi sono chiuso in camera e non ho più spiccicato parola con nessuno.

«Che materia? Posso aiutarti?»

Si avvicina alla scrivania, entusiasta.

Non so dove trovi tutta quella voglia di studiare. Io vorrei solo eclissarmi di nuovo nel mio malumore, però non voglio cominciare l'anno con un'insufficienza. Desidero prendere buoni voti, altrimenti non diventerò mai un carabiniere. È il mio sogno. Sarà che sento il bisogno di ripulirmi. La prostituzione in Olanda è legale, ma questo non mi impedisce di sentirmi logoro e sporco dentro quando penso a come sono venuto al mondo.

Sì, forse è per quello che voglio entrare nelle forze dell'ordine. Per una volta voglio stare dalla parte del giusto, così da poter lavare la mia anima nera.

«E intendi provare una nuova tecnica di apprendimento?» chiede scherzosa, fissando il tomo di letteratura.

Non capisco che intende. Del resto mia sorella è un po' strampalata, ma io le voglio un gran bene. Non mi ha mai giudicato, nonostante quello che sono. Mi ha accettato fin da subito, prendendomi sotto la sua ala protettiva e difendendomi con tutti i nostri parenti, come una buona crocerossina.

Quando guardo il libro di italiano, comprendo la strana affermazione di Dafne. Lo tengo al contrario.

Che stupido!

«Tu non hai compiti da fare?» domando, per sviare, altrimenti inizierà un terzo grado per capire cosa mi passa veramente per la testa. Anche se credo che lo sappia, ha visto la mia faccia quando ero davanti alla televisione.

Tarda a rispondermi, forse vorrebbe che io le dicessi come mi sento, ma non ce la faccio. Prende il libro fra le mani e inizia a sfogliarlo. Il mio pensiero inciampa su Resia, ricordando quando utilizzava il cellulare al contrario per fingersi disinteressata alla mia presenza. Il nostro primo incontro nel cortile della scuola mi ha scombussolato. Com'era bella. Una ragazza acqua e sapone, con le labbra macchiate di cioccolato, i capelli arruffati e le guance rosse.

Una visione bucolica in mezzo a un mondo totalmente artefatto.

Ero tentato di toglierle quel cioccolato con un bacio, incurante della folla o degli sguardi indiscreti. Non mi importava se non conoscevo neppure il suo nome, volevo vedere se era immacolata quanto il suo aspetto. Se era buona come immaginavo e se il suo sapore avrebbe cancellato lo squallore che mi porto dentro. Mi ha irretito fin dal principio e adesso quella stramba confessione della nausea non ha fatto che aumentare il mio desiderio.

Convincerò ad ogni costo quella ragazzina a venire a letto con me. So che è sbagliato perché io non voglio una storia. I legami mi spaventano. Dovrei lasciarla perdere perché mi sembra una brava ragazza. Io non sono un tipo romantico, quelle dolci smancerie le lascio ai poveri illusi che ancora credono nell'amore.

Io voglio solo divertirmi con donne libere e consenzienti. Null'altro.

«Wow, stai studiando il Rinascimento. Se vuoi lo ripetiamo insieme, io ho finito un'ora fa di studiare. Sei proprio lento. Dopo scendiamo a mangiare un gelato?»

Congiunge le mani, come in una muta preghiera.

Sa che accetterò. Non riesco mai a dirle di no. Mi costringe sempre a fare quello che vuole, senza il minimo sforzo, che sia un film strappalacrime, una passeggiata o un qualsiasi favore.

«No, dai, faccio da solo. Però dammi mezz'ora e usciamo» la liquido, con tono un po' più rude di quello che volevo.

Ignora i miei brutti modi, sa che sono incapace di essere gentile, soprattutto quando sono nervoso, ma sa pure che sono un finto bruto.

Fa un gridolino esasperante e mi stampa un bacio sulla guancia.

«Muoviti allora. E comunque sei hai bisogno, sai che ci sono. Ti voglio bene, fratellone» aggiunge più seria.

Le sorrido dandole una pacca sulla spalla. Lei si allontana, tranquilla, sa bene che non mi sfogherò. Non si aspetta nulla di diverso da me, non le ho mai detto che le voglio bene, non riesco ad esternare le mie reali emozioni. Sì, sono sfacciato con le ragazze, ma quando si tratta di mettermi a nudo con una persona a cui mi sento legato, non so proprio come comportarmi.

Un tempo non ero così. Quando ho conosciuto Rubina ero dolce e anche abbastanza ingenuo. Dicevo sempre quello che mi passava per la testa. Ero un poppante a pensarci adesso, ma avevo solo quindici anni. Lei era più grande di me, era bella e sensuale, aveva un seno procace e un culo che faceva girare la testa. Un caschetto moro le incorniciava il volto, e gli occhi castano scuro torreggiavano sulle labbra piene e invitanti.

Io ero ben piazzato, nonostante fossi più piccolo avevo un fisico tonico, ma non molto muscoloso. A scuola parecchie ragazzine mi guardavano e arrossivano senza motivo. Sapevo bene di piacere ed ero sicuro di me. Però loro non mi intrigavano. Rubina invece era diversa dalle mie compagne, mi squadrava con malizia e aveva un modo provocante di intrappolarsi le labbra fra i denti che mi faceva impazzire. Era un'amica di Ada, un giorno me la ritrovai nuda sul mio letto e non fu difficile lasciarmi trascinare dalla lussuria.

Mi iniziò ai peccati della carne e da allora ci vedemmo in segreto per due anni. Ero infatuato, lei non voleva rendere pubblica la nostra relazione e a me stava bene. Scopavamo in ogni dove e in tutti i modi possibili. Solo che ero convinto che lei provasse dei sentimenti per me e gli ero fedele.

Ero soltanto un povero illuso!

Quando mi ha sbattuto in faccia che sia lei che mia madre erano prostitute, e che mi scopava solo per dimenticare i clienti vecchi o brutti con cui spesso si accompagnava, mi è crollato il mondo addosso. All'inizio ho continuato a portarmela a letto, facevo sesso con lei per rabbia, non riuscivo a evitarlo. Mi sono sentito un oggetto e volevo che lei si sentisse allo stesso modo.

Ero fuori di me. Non solo perché Rubina mi usava, ma anche perché mia madre, la donna che allora credevo lavorasse come signora delle pulizie, in realtà era solo una puttana e non lo faceva nemmeno per necessità perché aveva un bel gruzzolo da parte e poteva trovarsi un lavoro rispettabile. Invece non voleva cambiare vita, quando gliel'ho proposto, si è messa a ridere, non desiderava sporcarsi le mani con un lavoro onesto, voleva continuare a scoparsi i suoi clienti e non gli importava che io ormai lo sapessi e che disapprovavo.

Abbiamo litigato per settimane, poi mi ha rivelato la verità su mio padre e io ho iniziato ad odiarla. Come aveva potuto farmi questo? Sono cresciuto senza una figura paterna, con una madre assente e nessun altro parente. Non la perdonerò mai.

Rubina era altrettanto falsa, non capisco come ho fatto a non accorgermene prima. Di punto in bianco ho smesso di risponderle al telefono e me ne sono liberato. Quella relazione tossica però mi ha reso cinico e ora non mi fido più di nessuno. Se mia madre non ci aveva pensato due volte a ferirmi, come potevo prendere che un'altra donna potesse amarmi. Sono diventato più scontroso e ho capito che non voglio avere mai più una relazione seria.

Ho sentito il bisogno di partire per l'Italia. Volevo dare una svolta alla mia sudicia esistenza, tanto nessuno avrebbe sentito la mia mancanza lì. Nemmeno mia madre.

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