Capitolo quindici

MATTIA
   
Sono proprio un cretino. Non riesco a fare a meno di pensare a Resia. Dire che è una ragazza complicata è un eufemismo perché nella realtà è matta da legare e del tutto impossibile da decifrare. Io non riesco mai a comprendere cosa diamine le ronzi per la testa. È ingenua e alle prime armi nelle relazioni, almeno questo è palese perfino a me, eppure nonostante ciò riesce a provocarmi con facilità, quasi fosse un'esperta seduttrice.

Alzo gli occhi verso la strada quasi deserta e noto una moretta niente male che ancheggia sul marciapiede poco distante, il problema è che non riesce a catturare per più di qualche minuto la mia curiosità perché la mia mente divaga sempre verso un'unica direzione: la mia piccola tentatrice. Nonostante la sua caparbietà nel volermi lontano, io continuo a fantasticare su di noi e a sperare che un giorno sarà mia. La immagino sul mio letto, nuda, con quella sola massa di capelli fluenti a ricoprirle il corpo, mentre disinibita e passionale mi accompagna in un'incalzante danza.

Non vedo l'ora di assaggiare di nuovo quelle labbra che si ostina a negarmi. Quando si tratta di lei, divento folle, non accetto dinieghi e non riesco proprio a farmi da parte. La bramo con troppa prepotenza, eppure sono sicuro che non sia solo un trasporto fisico quello che mi spinge fra le sue braccia. Se così fosse, non mi sarei fatto problemi a sostituirla con altre ragazze, nella mia vita ogni volta che volevo scopare l'ho fatto senza tanti preamboli, invece da quando la conosco il suo pensiero mi ossessiona e da quando l'ho baciata, non ho più sfiorato nessun'altra.

Di questo passo mi farà perdere il senno, la mia fedeltà è a dir poco assurda visti i suoi continui capricci da bambina, anche se, mio malgrado, so di aver sbagliato con lei.

Per fare certe cose non c'è bisogno di fidanzarsi.

Sbuffo, ripensando alle mie stesse parole e Federico mi guarda stranito, quasi dubitasse della mia sanità mentale. È un mio compagno di classe, l'unico con cui vado d'accordo. Per fortuna non fa domande. Non voglio espormi, non riuscirei a parlargli di Resia, o fare battute su di lei, come facciamo con le altre ragazze.

«Dammi una sigaretta» dichiaro esacerbato, vorrei smetterla di torturare i miei neuroni e pensare ad altro.

Federico mi porge il pacchetto. «Sei uno scroccone!»

No, sono soltanto un coglione!

Le ho inferto un colpo basso ed è normale che non voglia più vedermi. Dovevo immaginare che avrei scatenato la sua furia con quelle parole, Resia ha un caratterino molto acceso e si infiamma facilmente.

La mia non è stata la classica dichiarazione d'amore che si aspetta una ragazzina dopo il primo bacio.

Non le ho promesso una storia d'amore, non le ho detto che è stato il bacio più bello e vero della mia vita. Ma io non sono affatto quel tipo di persona. Io sono più pratico. Se vuole accanto un pivellino dolce e romantico con me perde il suo tempo, però visto com'è andata, devo ammettere che me ne pento. Magari un po' di tatto non avrebbe guastato e Resia si sarebbe sciolta anziché inveirmi contro.

Solo che i miei soliti modi rozzi hanno preso il sopravvento e non ho impedito alla mia lingua biforcuta di sparare l'ennesima cazzata. Dannazione, ci risiamo, ancora che penso a quella mocciosa!

«Stasera andiamo a bere qualcosa al Moulin Rouge!» Ho bisogno di annebbiare la mente e smetterla di viaggiare su quell'unico scompartimento, che, tra l'altro, mi manda in pappa il sistema nervoso oltre che l'omino nei paesi Bassi.

«Donne, fumo e alcol, affare fatto!» si limita a rispondere con un'alzata di spalle mentre caccia dalle labbra del fumo, formando perfetti anelli grigiastri.

Magari mi trombo anche una pollastrella e smetto di pensare a Resia.

«Ben detto, amico!» sghignazzo, dandogli corda, eppure dentro me so già che sarà l'ennesima serata no.

«Sicuro di non avere guasti al di sotto della cintola?Ultimamente ti vedo scarico.»

«Fottiti idiota» replico un po' alterato, mentre lui sorride divertito.

«Comunque se vuoi parlarne, io ci sono.» Si guarda intorno impacciato, è raro che si mostra serio e quando lo fa, mi sorprende sempre.

«Non ti chiedo mai nulla perché non mi sembri molto loquace, però volevo farti sapere che puoi contare su di me» tergiversa, imbarazzato.

Gli assesto una pacca amichevole sulla spalla e tiro un sorriso, è il massimo che riesco fare.

«Stasera offro io, basta che la smetti di parlare.»

     ***

Non mi sono mai sentito così agitato o in tensione, del resto non avevo neanche mai fatto una stronzata del genere.

Dove cazzo avevo il cervello?

Sbuffo nervoso, continuando a camminare avanti e indietro nel corridoio dell'istituto, neanche fossi un leone imprigionato in una fottuta gabbia.

Un dannato biglietto e un fiore, che schifo! Mi sento come lo stupido romantico di turno che esaspera la sua donna con qualche sorpresa o un dono speciale, pur di farla sentire corteggiata e voluta. Io non ho mai avuto bisogno di simili mezzucci per alzare qualche sottana e detesto l'idea di averlo fatto per quella ragazzina cocciuta, per giunta senza neanche un secondo fine, ma solo per sorprenderla e farle affiorare un sorriso sulle labbra. Non le ho scritto chissà quale monologo d'amore, ho scarabocchiato a stento una frase, che però non fa altro che rimbombarmi nella testa, mandando fuori uso i miei pochi neuroni funzionanti: "Non ho intenzione di starti lontano!"

Semplice. Elementare.

Eppure, mi sento un coglione nato e patentato, perché ho scritto una simile assurdità? Non potevo dirglielo di persona ed evitare quest'imbarazzante buffonata del bigliettino?

Non mi sono neppure firmato, del resto non credo abbia domandato a molti di starle alla larga, quindi non faticherà di certo a capire il mittente.

Mi siedo sul banco di Tommaso, disperso a pulire chissà quale angolo della scuola. Quel buon uomo non appena ha compreso che sono piuttosto bravo con i sudoku, mi ha spesso richiesto piccoli aiutini. Ci siamo ritrovati a parlare in più di un'occasione e mi ha anche raccontato che Resia non ne capisce tanto di quelli che definisce quadrati infernali.

Un giorno magari proverò a spiegarle come compilare quelle caselle, approfittando del momento per starle accanto e conoscerla un po' meglio.

È strano per me, ma desidero sapere tutto di lei.

«Il professore ti rivuole in aula» mi avvisa Federico, comparendo al mio fianco d'improvviso e facendomi sussultare.

Mi volto a guardarlo: ha gli occhi cerchiati e sbadiglia in modo buffo. Ieri sera si è intrattenuto con una ragazzina dai capelli rosso fulvo e le curve mozzafiato, non deve aver dormito molto stanotte.
Beato lui, io non ho chiuso occhio, ma per ragioni del tutto diverse!

Ho passato un'altra nottata in bianco, l'ennesima del periodo. Sebbene una biondina mi abbia provocato strusciandosi addosso per una buona mezz'ora, non sono riuscito a scoparmela. In realtà non l'ho neanche baciata, mi sento un cretino al solo pensiero, ma la verità è che non volevo rovinare il ricordo del mio primo bacio con Resia. Sporcare le mie labbra e cancellare così il dolce sapore di quell'innocente bambina non era nelle mie intenzioni.

«Digli che non mi sento bene, gastrite acuta o cefalea oftalmica, fai tu» minimizzo con sufficienza. Non sono dell'umore adatto per ascoltare le noiose lezioni di diritto del professore Cirillo.

Che vadano a farsi fottere tutti, oggi non ho voglia di far nulla.

«Quella della cefalea l'hai utilizzata la scorsa settimana, meglio la gastrite» asserisce, reggendomi il gioco, scomparendo dietro l'angolo del corridoio.

Sospiro, appoggiando il capo sul muro alle mie spalle, mi sento imbarazzato, nervoso, ma anche curioso.

Chissà che faccia ha fatto quando si è accorta della mia piccola sorpresa.

Spero che i suoi occhi, di quel bollente nocciola fuso, si siano spalancati per lo stupore, ma mi auguro soprattutto che abbia gradito il mio gesto, altrimenti mi sentirò più idiota di quanto non mi senta già adesso!

Ho commesso una follia, ma stamattina le mie gambe, senza che io abbia avuto il minimo controllo, si sono spinte in quel negozio; ho comperato un'orchidea, sembra un fiore così puro e immacolato che inevitabilmente me la ricorda.

Resia è così diversa da me, io mi sento sporco, dentro e fuori, lei invece è così linda che ripulisce il mio stato d'animo e mi fa stare bene. Non voglio rinunciare a lei, nonostante mi sia comportato da stronzo.

Ho scarabocchiato quel messaggio, dopodiché mi sono affrettato per raggiungere la scuola. Quando mi sono intrufolato dalla finestra per entrare in aula prima che suonasse la campanella, mi sono sentito un imbecille completo, e quando le ho lasciato il fiore sul suo banco mi sono auto inferto il colpo di grazia.

So dov'è seduta perché qualche volta passando lì c'era la porta aperta e l'ho sbirciata.

Continuo a credere che stamattina non avessi tutte le rotelle funzionanti!

Un piagnisteo disperato interrompe le mie riflessioni. Quella voce la ricordo bene, mi risulta familiare, eppure non riesco a comprendere di chi si tratti fin quando non me la ritrovo davanti agli occhi. È la tipa del corso, quella dei vermi, non so neanche come si chiama, ma ricordavo il suo timbro acuto e insopportabile.

Sta facendo una sceneggiata senza eguali con quella che immagino sia la gemella, visto che sono del tutto identiche. Corre a perdifiato verso i bagni, seguita a ruota dall'altra tipa, si fermano esattamente dinanzi alla porta, senza entrare. Non posso negare che siano due bei pezzi da novanta però non sono in vena di chiacchiere e non intendo avvicinarmi.

La mora sta blaterando insulti a destra e a manca, nominando Resia.

A un certo punto si accascia a terra e l'altra mi chiede aiuto quindi non riesco a far finta di nulla e mi decido a intervenire.

Non sono insensibile, dopotutto.

«Occupati di lei, io vado a chiamare nostra madre» afferma la gemella appena giungo accanto a loro, poi si dilegua, prima ancora che io abbia il tempo di ribattere.

Possibile che debbano capitare tutte a me?

Comincio a scuoterla con calma, è svenuta, o almeno credo, ha gli occhi chiusi e non dà segni di vita. Non capisco come sia possibile dal momento che fino a poco fa appariva così piena di energie mentre frignava senza sosta!

Non potevo impicciarmi degli affari miei? Comincio già a spazientirmi.

«Ehi...» le do un buffetto sulla guancia e finalmente ricevo una risposta: i suoi occhi verde acqua si aprono, ma non faccio neanche in tempo a chiederle come sta che vengo investito da una scarica di pugni sul petto.

«Io la odio, non ci ha mai degnate di attenzione. Non è una madre, è soltanto una vecchia megera dedita al lavoro. Non è così che si crescono i figli, io non la perdonerò mai» comincia a delirare, mentre il suo viso si bagna di lacrime amare e io non riesco ad arrestare la scarica di colpi che, implacabile, mi riversa addosso.

A quanto pare anche lei ha una madre snaturata, proprio come la mia. Mi arrabbio al solo pensiero.

«Si può sapere che diamine stai blaterando?»

Questa situazione mi stufa non poco e non ho intenzione di sopportar oltre i deliri di una pazza. Continua a urlare epiteti vari e insulti sempre più volgari, poi improvvisamente inizia a singhiozzare disperata.

Oh Dio, di nuovo, che palle!

Le sue mani si arrestano da sole e mi circondano subito il collo, poggia il suo capo sulla mia spalla e io, colto di sorpresa da quel repentino cambiamento, lascio che si adagi su di me. Un rumore alle mie spalle cattura la mia attenzione, spero sia la sorella così me la svigno, ma quando mi volto non trovo nessuno.

Magari è stata solo una mia impressione.

Stacco la sanguisuga da me, sono stufo di tollerare i deliri di una folle isterica.

«Me ne vado» replico duro.

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