Capitolo quarantotto

MATTIA

Ci accomodiamo tutti per terra, io mi siedo accanto a Resia, e prima che il gioco abbia inizio la strattono leggermente per il mento con le dita, inducendola a guardarmi e puntare i suoi fari luminosi nei miei occhi blu. Mi avvicino a quelle labbra che avrei voluto sfiorare non appena sono entrato in questa dannata stanza e muovo la mia bocca sulla sua, rubandole un dolce bacio. Socchiude subito le palpebre e ricambia con pari tenerezza, incapace di resistere al mio attacco. La sua bocca ha un sapore così buono e il suo profumo stordisce in un nano secondo i miei sensi.

Dubito che qualcuno possa capire come mi riduco ogni volta che la sfioro. Mi sento un completo imbecille, ma mi costringo ad allontanarmi, non indugiando oltre nella tentazione.

«Non mi aveva ancora salutato» mi giustifico, quando odo fischi d'apprezzamento in sottofondo.

Resia arrossisce, cominciando a giochicchiare con le mani sul grembo però non ribatte. Prima o poi si abituerà ai miei assalti, ormai non riesco più a starle lontano e neppure voglio provarci. È mia e desidero gridarlo al mondo intero.

«Vomitevoli» ci prende in giro Federico, sbuffando.

«Sei solo geloso» rispondo a tono, certo che anche lui muoia dalla voglia di baciare Diana.

Non capisco perché si trattenga, di solito non si fa problemi con le ragazze.

«Iniziamo» si limita a dire, guardandomi torvo.

«Giro io per primo la bottiglia» afferma Giulio, storcendo la bocca in un sorriso impertinente.

Ecco il primo carnefice, ma a chi toccherà la penitenza?

Ruota la bottiglia.

Cala un silenzio assordante e ognuno di noi fissa quel tappo con curiosità e aspettativa. Caso vuole che sia proprio io il primo a dover patire la pena.

«Obbligo» scelgo, senza nemmeno pensarci un attimo.

Giulio mi guarda con aria pensosa, sfiorandosi il mento con le dita.

«Ci sono» afferma, e il suo sguardo, se possibile, si vela di ironica perfidia. «Scambiamoci i pigiami.»

La mia mascella protende vertiginosa verso il basso. Ma che razza di pegno è? Mi rifiuto.

«Io quel pesce ambulante non lo metto» mi impunto, infastidito.

Non pensavo potesse scegliere qualcosa di così ridicolo.

Che io sia dannato!

Perché non ho virato sull'alcol o sulla domanda?

«Chi non paga pegno può anche andarsene» mi pungola, Federico.

Bell'amico!

Sbruffo, sempre più inalberato, immaginandomi con quel coso addosso. Non bastavano le mutande che mi regala mia sorella, ora anche quel costume da carnevale.

«Allora?» mi sfida ancora, vedendo che non faccio nulla per eseguire l'ordine.

Gli altri non si intromettono, limitandosi ad attendere. Fisso alternativamente l'allegra combriccola. Non ho scelta. Mi tocca soddisfare il comando se non voglio fare la figura del cretino.

«Levati quel coso» dichiaro, sbrigativo.

Mi alzo e comincio a spogliarmi con gesti meccanici e stizziti, senza il minimo imbarazzo. Denudo prima il petto, poi con totale indifferenza tiro giù i calzoni. Getto il mio pigiama a Giulio. Gli finisce dritto in faccia, visto che non solleva un muscolo per prenderlo.

Sono in mutande, davanti a tutti, ma non provo la minima vergogna. Del resto, non era questo che temevo! Non mi importa un accidente di essere mezzo nudo.

Diana si volta di spalle, intimando all'amico di muoversi e chiudere questa pagliacciata quanto prima. Fede' ride divertito e Francesco e Giulio mi fissano con una strana espressione.

«Allora?» lo provoco io, ripetendo le sue stesse parole, in attesa che mi dia quel coso pietoso da indossare.

Osservo con la coda dell'occhio Resia. Non riesce a togliermi gli occhi di dosso, mi guarda con la bocca mezza aperta e gli occhi spalancati per la meraviglia. È così buffa che mi strappa un sorriso. Prima o poi ci troveremo entrambi senza abiti addosso e allora sì che ci divertiremo un sacco.

Giulio nel frattempo corre in bagno, non ha voluto spogliarsi dinanzi a tutti, rientra poco dopo, col fiatone mentre indossa fiero il mio pigiama. Mi lancia contro quel pesce stomachevole. Lo afferro lesto, poi sospiro, infilando con movimenti agitati lo squalo e rischiando per ben due volte di inciampare su quelle ridicole pinne.

«Contento?» sbraito furioso, riprendendo posto accanto a Resia, chiedendole di chiudere la zip che ha sul retro fino all'orlo, mentre tutti, compresa la mia ragazza, scoppiano in una fragorosa risata.

«Proseguiamo o no?» ruggisco, sentendomi al centro dell'attenzione. Mi sento un completo idiota qui dentro e non vedo l'ora di sfilarmelo di dosso.

Beviamo il secondo giro di shot. Stavolta a Resia sfugge una risatina, eppure minimizza con un'alzata di spalle e riprende il suo posto con aria spavalda.

Federico prende la bottiglia. «Voglio girarla io.»

Nessuno è in disaccordo quindi il mio compagno la ruota con prepotenza. Inizia a vorticare con velocità e il destino sceglie di beffeggiarsi proprio della persona che lui desiderava prendere nel sacco.

«Bene, bene» dice fiero. «Cosa scegli, donna?» la provoca, divertito.

Diana non si tira indietro. Punta i suoi occhi in quelli del mio amico con superiorità.

«Obbligo» lo sfida, certa che lui non si aspettasse tanto coraggio e che non osi metterla in ridicolo dinanzi al resto della comitiva come ha fatto Giulio con me.

Non conosce bene Federico ed è appena caduta nella sua rete. Dubito che lui si lasci sfuggire una simile ghiotta occasione e infatti non se lo fa ripetere due volte.

«Baciami» comanda soddisfatto.

Giulio ridacchia divertito assieme a Francesco. Ormai quei due funzionano in simbiosi. Diana e Resia diventano due belve, fulminandolo con lo sguardo. Io mi porto una mano sulla fronte, sfiorando i denti dello squalo che indosso e che mi solleticano la pelle.

Ho di sicuro un aspetto pessimo!

«Non vale così. Sei proprio stronzo» ingiunge Diana, lamentandosi della scorrettezza del mio compagno.

«Che essere viscido» lo insulta, Resia, dando man forte all'amica.

Federico invece sorride impertinente, non lasciandosi scoraggiare da nessuna delle due.

«Potevi scegliere altro ed evitare il pegno. Sarò pure uno stronzo, ma adesso mi bacerai lo stesso» dichiara allegro.

«Te lo puoi scordare» si impunta, categorica, rimanendo sulle sue e voltando il mento dal lato opposto.

Federico sbuffa, ma ormai stanco di attendere oltre, con un agile balzo azzera la distanza che li divide, la solleva senza il minimo sforzo e si fionda tra le sue braccia.

Spinge con brama le sue labbra su quelle della ragazza e la avvolge con passione. Diana sulle prime non muove un muscolo, le mani penzolano lungo i fianchi, gli occhi sono sgranati, la bocca serrata, però, senza remore, un attimo dopo gli circonda il corpo, partecipando attivamente a quel bacio rubato e gettando la spugna.

Le mani dell'uno trafficano sul corpo dell'altra e viceversa.

A nulla servono neppure i nostri applausi e gridolini in sottofondo.

Non si staccano, non accennano a interrompere quel contatto troppo a lungo desiderato. Sono persi nella contemplazione dei loro corpi e quando si lasciano andare, molto tempo dopo, sono entrambi senza fiato.

Non saprei dire chi fra i due sia quello più felice, ma me ne compiaccio.

«Finalmente, sono settimane che aspettavo di baciarti» confessa, Federico. «Non male, donna» la provoca ardito, visto che lei non ribatte, ma si limita a sfiorarsi le labbra con le dita, meravigliata di aver assecondato quella pura follia.

Diana impiega poco tempo per tornare in sé, infatti gli pesta un piede, battagliera e si dirige verso il mobile dove è stipato l'alcol, tracannando il suo cicchetto.

«Non montarti la testa, stronzo. E tornatene da quelle ochette alla finestra» conclude, fiera, distruggendo il bicchiere di plastica tanta è la foga con cui lo sbatte sul mobile.

Federico si morde le labbra e incassa il colpo in silenzio.

Doveva accontentarsi del bacio invece vuole sempre strafare. Ben gli sta!

Beviamo anche noi il terzo shot della serata e riprendiamo le nostre posizioni, senza commentare il loro scambio di battute, pronti ad affrontare il turno successivo e a sfidare la buona sorte.
Resia raccoglie la bottiglia e senza aspettare l'assenso generale, la ruota. Le sfugge un singhiozzo, ma subito si porta le mani sulle labbra, e torna seria, come se nulla fosse.

Non me la conta giusta!

Dopo un po' la bottiglia si arresta e la freccia punta su Francesco che perde l'iniziale spavalderia e si guarda intorno circospetto.

«Cosa scegli?» chiede, abbozzando un sorriso innocente, che mal si confà alla furbizia che le leggo nello sguardo.

«Verità!» Esclama, preferendo una domanda alle altre alternative.

Senza mezzi termini o la minima indecisione nel tono, la mia bimba parte alla carica. «È vero che sei etero?»

Cala un silenzio ingombrante. Francesco non regge il peso del suo sguardo, comincia a mordicchiarsi il labbro e si sfrega le mani contro il pigiama. Non si aspettava una richiesta così diretta.

«Nessuno di noi è qui per giudicarti. Vogliamo solo una risposta sincera» aggiunge, Resia, notando il suo palese imbarazzo, poi ridacchia con fare per nulla adatto al contesto.

Che le prende?

Passa qualche altro minuto, in cui nessuno osa fiatare.

Neppure Federico tira in ballo le sue stupide battute. Tutti hanno compreso quanto Francesco sia sensibile sull'argomento e soprattutto quanto la sua risposta sia importante per un altro componente del gruppo, che infatti pare ancora più ansioso di quello chiamato in causa.

Giulio si sta torturando le mani, sfregandole sul mio pigiama.

«Lo voglio intero» lo minaccio, solo per sdrammatizzare.

Giulio coglie la mia allusione perché smette di stropicciare il pantalone e punta i suoi occhi su Francesco che finalmente riprende con tono sommesso la parola.

«No. Sono omosessuale» confessa, ma anziché guardare Resia che gli ha rivolto la domanda, il suo sguardo si poggia con timidezza su Giulio che libero di ogni tensione inizia a esultare come un matto, saltellando sul posto, neppure avesse appena vinto la finale dei mondiali.

È inutile. Quel ragazzo è plateale in ogni sua emozione, ma mi piace. Io non ci sono mai riuscito. Non sono affatto bravo ad esternare ciò che provo.

«Grazie, buon Dio» esclama sorridente, rivolto al soffitto, trascinando tutti noi in quelle contagiose risa, perfino Francesco si unisce a lui e insieme cominciano a girare in tondo al centro del cerchio, ora privi di imbarazzo.

La situazione è quasi surreale, direi che il gruppo sta dando prova della sua follia e ormai, con una pinna sulla testa e denti bianchi che mi penzolano in maniera ridicola sulla fronte, non posso che sentirmi l'ennesimo psicopatico della combriccola.

Beviamo un altro shot e stavolta Resia anziché sedersi accanto a me, si posiziona di fronte.

Perché ha cambiato posto?

Fisso con aria irritata Giulio che ha preso il suo posto al mio fianco. Prendo la bottiglia, deciso a distrarmi, comandando il gioco. Resia comincia a ridacchiare in maniera strana e mi manda addirittura un bacio poggiando la mano sulle labbra e soffiando verso di me.

«Bravo» mi elogia, senza ragione, quando faccio volteggiare la bottiglia.

Alzo gli occhi al cielo. È già mezza brilla eppure non credo se ne renda conto.

Il collo della bottiglia decide di compiacermi, puntando proprio verso il mio carnefice, colui che mi ha obbligato a indossare questo stupido costume.

Eppure, non è il mio giorno fortunato perché Giulio sceglie di non darmi il coltello dalla parte del manico e senza indugio cammina verso il vecchio mobile. Prende la seconda bottiglia e la stappa. Del resto la vodka è finita, si passerà al gin, adesso.

«Alcol... Alla tua, squalo!» afferma, facendo la sua scelta e prendendosi gioco di me, prima di buttare giù quel liquido trasparente.

Sbuffo arcigno, mentre gli altri sorridono, divertiti dalla cosa.

Ci dirigiamo tutti al comò, ma anziché bere indietreggio di un passo, mettendo Resia alle strette.

«Non devi continuare per forza se non lo reggi» dico, allarmato dal fatto che possa sentirsi male.

Quando si comincia a mischiare è peggio e dubito che Resia lo sappia. Forse mi preoccupo a vuoto, sto diventando patetico.

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