Capitolo quarantatre
MATTIA
«Ti andrebbe di lanciare una moneta con me?»
Punto il mio sguardo verso la mia ragazza. Anche se devo ammettere che da quando ha lasciato la mia mano per darsi alla fuga, non l'avevo mai persa di vista, inseguendola tra la folla. Non capivo dove volesse andare a parare e perché avesse azzardato un versetto deliziato per poi correre come una dannata.
Questa ragazzina mi farà impazzire!
Ora si è messa dinanzi alla fontana di Trevi, con le spalle rivolte verso l'acqua e un'espressione adorabile a incorniciarle il volto. Ha un sorriso così innocente e dolce che pare una bambina.
«Come mai vuoi gettarla in acqua?» domando curioso.
Noto subito che delle simpatiche rughe le increspano la fronte. Assume la solita posa saccente, buttando una gamba in avanti e poggiando il peso del suo corpo su quella posteriore. Con una mano si stringe il fianco, poi piega la bocca in una smorfia. Alza gli occhi al cielo, sbuffando con malagrazia, ma quando prende di nuovo la parola il suo tono non è irrisorio o pungente, solo comprensivo e dolce.
«Devo spiegarti sempre tutto» si lamenta, eppure un sorriso le illumina lo sguardo, rendendo le sue guance più rosee.
Quant'è bella!
Fingo di indispettirmi, sebbene mi risulti impossibile incazzarmi con lei oggi. Sono così felice che dubito possa scalfire, con qualche sceneggiata delle sue, il mio buon umore.
«Se non ti è troppo di disturbo» dico sarcastico.
Mi avvicino a lei e mi piazzo esattamente dinanzi a lei a un passo di distanza, guardandola con aria di sfida. Non vede l'ora di spiegarmi tutto.
Mi guardo intorno, noto che parecchi studenti sono sparpagliati agli angoli della fontana, scattano foto e lanciano monete in ogni dove, anche Federico si è prestato a questa scemenza, difatti non riesco a non sbruffare osservando quella scena penosa: lui, mano nella mano con Diana e con un'espressione divertita a increspargli il viso.
È più patetico di me che fisso come uno stoccafisso Resia.
I professori invece ne hanno approfittato per sedersi su una scalinata all'ombra poco distante, pronti a tenerci sottocchio, ma vogliosi di godersi una meritata pausa.
Focalizzo di nuovo la mia attenzione sulla maestrina che ho dirimpetto e che tira un lungo sospiro.
Immagino si stia preparando a un lungo monologo.
«C'è una tradizione radicata e molto conosciuta legata al lancio della monetina dentro questa fontana: compiendo questo atto a occhi chiusi, voltando le spalle verso il palazzo Poli, proprio come sono posizionata io» precisa, prendendosi una pausa e gesticolando con enfasi.
Mi strappa così l'ennesimo sorriso della giornata. È proprio buffa.
«Insomma... facendo in questo modo è possibile che si realizzi il desiderio che esprimi nella mente. Non dirlo ad alta voce, mi raccomando» conclude, sempre più esaltata.
Stento a credere a queste fandonie, non so quante volte ho pregato ogni Dio, affinché ottenessi ciò che volevo, nessuno mi ha mai dato retta e non vedo perché dovrebbe farlo una fontana che tra l'altro ruba i miei averi. Però non mi va di smorzare il suo entusiasmo col mio solito pessimismo, quindi non mi arrischio a ribattere.
«È un'usanza piuttosto antica, non hai mai sentito parlare di pozzo dei desideri o roba simile?»
Beh, no. In tutta onestà ad Amsterdam non mi ero mai imbattuto in simili avventure e questa è la prima volta che faccio un'escursione in nuovi posti. Roma è bellissima, ora capisco perché sia la capitale.
Stamane quando ho visto il Colosseo sono rimasto incantato, è davvero una delle sette meraviglie del mondo. Al suo cospetto mi sono sentito un moscerino, spaesato più che mai. È maestoso. Non ho mai visto nulla di così imponente.
«No, mai sentito questo fantomatico pozzo. Quindi vorresti esprimere un desiderio con me?» domando scettico.
Osservo meglio la fontana: è inserita in un'ampia pozza d'acqua di forma rettangolare con gli angoli rotondi; è circondata da uno scavo che la percorre in ogni lato, racchiuso a sua volta entro una breve scalinata poco al di sotto del livello stradale della piazza.
La scenografia è dominata da una scogliera rocciosa che occupa tutta la parte sottostante del palazzo, al cui centro troviamo una grande nicchia delimitata da colonne che la fa risaltare come fosse sotto un arco di trionfo. Lì si erge una grande statua di un Dio dell'acqua, dalle forme muscolose e opulente e dallo sguardo fiero e altezzoso: il dio, ammantato in un drappo che gli copre appena il bacino e il pube, incede su un cocchio a forma di conchiglia trainato da due cavalli alati.
Devo ammettere che è fantastica, non posso che osservarla affascinato.
«Solo se ti va» precisa, eppure la sua voce diventa più cupa al solo pensiero che io possa rifiutare.
Azzero la distanza che ci divide. Le accarezzo una gota con l'indice, dall'alto verso il basso, soffermandomi a vezzeggiare anche le sue morbide labbra che al solo tocco si dischiudono. Non ha neppure idea di quanto appaia bella ai miei occhi e di quanto sia duro per me limitarmi a piccoli gesti innocenti, quando invece vorrei fare l'amore con lei anche adesso.
«Per oggi abbiamo realizzato abbastanza, non credi?» affermo, orgoglioso.
Le sfugge un sorriso. È così tenera e io sono proprio fortunato ad averla nella mia vita. Le rubo un altro bacio a stampo, stavolta però mi soffermo un po' in più sulla sua bocca. Faccio una fatica tremenda a contenere e sono sicuro che non resisterò ancora per molto.
«Sono felice» confessa, non appena mi stacco da lei, sorridendo innocente.
Le scompiglio un po' i capelli, stando attento a non far annodare le mie dita in quella folta chioma, non voglio farle del male, ma mi piace troppo toccarli. Li adoro: sono così lunghi e morbidi, profumano di fragola; sono sicuro che utilizzi uno shampoo simile a quello dei bambini, ma non cambierei la sua dolce fragranza con niente al mondo.
Detesto quegli odori artefatti tipici delle donne già vissute, che curano ogni loro aspetto solo per sedurre e conquistare nuove prede. Resia mi piace proprio perché è semplice, ingenua e spontanea. La adoro perché è bella, naturale e soprattutto perché non sa di esserlo, ma farò in modo che se ne convinca e che acquisti sicurezza in se stessa. Farò in modo che la mia bambina diventi una donna. La mia donna.
«Oggi sei bella, ma non montarti troppo la testa» rivelo a mia volta, sfilando un paio di monete dal mio portafoglio.
«Pronta?» chiedo, ponendomi al suo fianco, di spalle a quella fontana, poi la prendo per mano e le passo la sua monetina.
La afferra, fissandomi di rimando con dolcezza senza proferire alcuna parola. Conta fino a tre ad alta voce e poi chiude gli occhi e sorride spensierata prima di lanciare quel monile nella fontana. Getto anche io quel soldo, ma a differenza sua, rimango a occhi aperti e guardo l'ottava meraviglia del mondo: la mia ragazza.
Più che un desiderio però faccio una promessa a me stesso: Nessuna donna prenderà mai il suo posto nel mio cuore.
«Uh, perdonami, non volevo» esordisce quella svampita, con tono falsamente contrito, ponendo una mano sulle labbra a mo' di scuse. Un attimo dopo sghignazza come un'oca, rovinando la sua già discutibile messinscena.
Se non l'avessi vista coi miei occhi, faticherei a credere che abbia spintonato Resia nella fontana.
Come può essere così stupida e meschina?
Ho una dannata voglia di strangolarla e mi sento pure in colpa per non averla difesa a dovere, bloccando la sua rovinosa caduta fra le monetine.
Purtroppo Katiuscia ci ha colto di sorpresa e ho visto scivolare via dalla mia mano Resia, senza riuscire in alcun modo ad afferarla.
Fisso livido di rabbia prima la bagascia, poi la sorella, rigorosamente al suo fianco e di cui non ricordo il nome, ma ne riconosco la risata sguaiata.
Non so chi sia peggio fra quelle due, mi stanno ancora più antipatiche adesso che hanno rovinato un momento così speciale fra me e Resia. Non che adori fare il romantico, anzi mi stava pure sulle palle l'idea di prostrarmi a quest'usanza, ma lei ci teneva molto e tutto ciò che è importante per lei d'ora in avanti lo è anche per me.
Ora lancerei loro nell'acqua, così fanno ritorno nel habitat naturale cui appartengono, lo stagno delle pennute e la smettono, una volta per tutte, di rompere il cazzo a Resia.
Mi giro verso di lei, che prima sputacchia acqua dalla bocca, poi si scosta i capelli dal volto con fare stizzito. Le tendo una mano per aiutarla, ma neanche se ne accorge. Non mi vede, sembra aver completamente dimenticato che esisto. Fissa le gemelle con espressione omicida e sono certo che se si potesse uccidere con lo sguardo, quelle due in questo momento sarebbero già morte stecchite. Non l'ho mai vista così adirata e non vorrei essere nei loro panni.
Si alza da sola, con dignità, rimanendo comunque coi piedi nella pozza d'acqua, si dà una sistemata veloce anche se ormai il suo vestitino a fiori è completamente zuppo e sgualcito e lei ne è perfettamente consapevole a giudicare dalla delusione che aleggia nei suoi occhi. Mi dispiace che sia così malridotto, poco fa mi aveva rivelato che è uno dei suoi preferiti e che stamattina l'aveva scelto perché ci teneva ad agghindarsi per me. Le ho ribadito che non ce n'è bisogno visto che io l'adoro così com'è. Solo che è una femmina e il gentil sesso non dà mai retta a un maschio. Lei, a quanto pare, non fa eccezione alla regola.
«Vuoi una mano, foca?» infierisce, la gemella della bagascia, porgendole una mano e alimentando la mia voglia di gettarla in acqua.
Non aiuterà mai Resia a scavalcare la recinzione per uscire e dubito che la mia ragazza sia così sciocca da cascarci. Infatti non mi smentisce, le dà un colpo nervoso sulla mano, scansandola orgogliosa e esce da sola, ignorando anche me che ancora avevo il braccio teso verso di lei.
Che sciocco. Avevo dimenticato quanto è determinata. Mi preoccupo sempre per lei perché la vedo fragile, ma spesso e volentieri è un piccolo uragano senza uguali e me l'ha già dimostrato in più di un'occasione. Si ostina a far tutto da sé, ma devo ficcarle in testa che da oggi non deve sobbarcarsi ogni peso da sola. Ci sono pure io nella sua vita e non intendo diventare uno spettatore che la osserva in disparte. Ogni sua battaglia è diventata anche la mia.
Resia invece non si cura di me e a dispetto di ogni buon senso, mi passa dinanzi senza nemmeno rivolgermi la parola, dirigendosi a passo di carica verso Katiuscia. Mi dà l'idea di voler alzare le mani su quella scellerata e sebbene io stesso sia il primo a risolvere così le scaramucce, non mi va giù l'idea che la mia ragazza litighi con quella poco di buono. Non è bello che si abbassi a simili mezzucci. Deve mostrarsi superiore. Ho perso il conto delle volte in cui glielo ho ribadito.
La raggiungo in tutta fretta e l'afferro da dietro, bloccandola fra le mie braccia.
Comincia a sbraitare come una dannata, rivolgendo insulti sia a me che alla sua nemica. Non me ne curo, in fondo non sa ciò che blatera. Scalpita e si agita come una forsennata, fuori di sé dalla rabbia. Ormai una folla di numerosi studenti ci circonda e temo che le sue urla possano attirare anche l'attenzione di qualche docente, se non è già accaduto, così a mio modo cerco di placarla, dandole ragione e provando a convincerla che esistono altre maniere per risolvere i suoi diverbi con quella ragazzina infantile e viziata.
Resia però non mi dà ascolto, continua a scalpitare fra le mie braccia, suscitando in questo modo il riso di quella serpe e qualche ronzio divertito in sottofondo. Per fortuna arrivano anche i nostri amici in mio soccorso e dopo un po', tutti insieme riusciamo a placare la sua furia.
«Inutile. Ti sei proprio rammollita da quando hai il ragazzo» si lagna, Katiuscia, quando si accorge che Resia si è arresa, non reagendo alla sua futile provocazione.
Tuttavia le parole di quella stronza la mettono di nuovo in subbuglio perché avverto chiaramente un sussulto nel suo corpo.
Sbuffo, nervoso, vorrei dirgliene quattro, ma Resia mi ha detto una marea di volte che non vuole intromissioni quindi mi trattengo.
«Lasciami un attimo» dichiara con voce composta e gelida. Non è più accecata dall'ira e sono sicuro che stavolta non farà stronzate.
«D'accordo.»
Non posso intromettermi sempre e imporle il mio pensiero. È bene che cresca a capisca da sé ciò che è giusto anche sbagliando a sua volta.
Mi passo una mano sul maglione, sono anche io completamente zuppo adesso, i miei vestiti sono impregnati d'acqua. Pure Resia ormai ha un aspetto disordinato, eppure si erge fiera innanzi alla sua nemica, guardandola in modo altezzoso e sprezzante.
La seguo veloce mantenendomi in disparte. Non voglio intromettermi, ma solo farle sentire la mia vicinanza e intervenire se la situazione prende una brutta piega.
«Non ti metto le mani addosso perché non intendo sporcarmele e non ti insulto più perché tu stessa sei un insulto al genere umano, ma guardati le spalle perché in questi giorni sarò la tua ombra» ribadisce minacciosa, dandole le spalle e suscitando il plauso degli amici e un mio sospiro di sollievo.
Conoscendola, immagino che la mia strega abbia già in serbo per lei una vendetta atroce.
La prendo per mano, non intendo darle la possibilità di ascoltare una replica di quella stronza, semmai risponderà, e neppure voglio tornare dai nostri amici. Ho ben altro in mente adesso.
«Vieni con me» affermo e stavolta sono io che non accetto dinieghi, infatti mi allontano a lunghi passi da quella marmaglia di persone, trascinandola con me.
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