Capitolo quarantanove
MATTIA
«Uh, ancora? Non fare il pesante» risponde, arricciando la fronte, un attimo prima di ridere in maniera sguaiata.
«Fa come ti pare» ribatto, un po' offeso.
Resia non risponde, si appoggia barcollante al mobile e fa cadere un bicchiere, Giulio gliene porge subito uno nuovo e pieno di gin. Ognuno beve il suo shot. Lei ancora una volta singhiozza e stavolta lo notano anche gli altri.
Cominciano a spalleggiarla, facendo stupide battute. Diana racconta a Giulio il nostro arrivo strampalato dalla finestra, spiegando che l'abbiamo beccata mezza nuda e lui, allietato dalla cosa, si complimenta addirittura con lei.
Mi porto una mano nei capelli. Ho una gran voglia di caricarmi in spalla la mia fidanzata, condurla altrove e baciarla fino a quando ho fiato in corpo, almeno dirotterei le sue energie verso una meta più gradita.
Tiro un lungo respiro per calmarmi e rimango dietro le quinte, un po' in disparte, deciso a lasciarle i suoi spazi. In fondo siamo chiusi in una dannata stanza, non può accaderle nulla di male ed è giusto che si senta libera di fare le sue esperienze. Non voglio essere un limite per lei, non è così che immagino il nostro rapporto.
Resia azzarda una piroette, rischiando di inciampare, la raggiungo con poche falcate e la stringo fra le braccia.
Resia sulle prime si infastidisce, lamentando un capogiro, ma un attimo dopo, si rilassa contro il mio corpo, elogiando la potenza dei miei muscoli e il mio buon profumo.
«Macho man» ridacchia, mettendosi le dita sulle labbra, ridendo.
Okay, è proprio fuori di testa!
«Ho un po' di nausea.»
Oddio, già sta male con lo stomaco. Stiamo bevendo da mezz'ora, non può essere ridotta così male.
«Ti viene da vomitare?»
«Non capisci niente» mi rimprovera, assottigliando in maniera buffa la fronte.
Mi dà un bacio fugace, cogliendomi del tutto alla sprovvista, sa di gin e di Resia...
Mi stringe con fare possessivo, mi poggia una mano dietro il capo mentre con l'altra tira il mio corpo contro il suo, lasciando che aderiscano con maggior enfasi. Avverto con pienezza le sue forme, il tessuto leggero del pigiama non aiuta, sento addirittura i suoi capezzoli che si inturgidiscono contro il mio petto. Serro la mascella e trattengo il fiato.
Il mio compagno al di sotto della cinta prende subito vita, ma quel che mi destabilizza è il rombo selvaggio che avverto in petto.
«Tu mi dai la nausea, sciocco squalo» precisa, mordendosi le labbra e passandovi sopra la lingua.
Dio Santo!
Ha idea di quanto sia difficile per me trattenermi quando mi guarda in quel modo?
Faccio uno sforzo immane per non azzerare la distanza che separa le nostre labbra, ma continuo a circondarla, incapace di discostarmi del tutto dal calore del suo corpo.
«Non ora» mi costringo a ribadire con voce più dura di quanto intendessi.
Scioglie il nostro abbraccio con disappunto facendo un balzo all'indietro e rischiando di incespicare sui suoi stessi passi.
Okay, è messa proprio male!
«Tu non mi vuoi» piagnucola, triste.
Le scompiglio i capelli con fare dolce, non immagina neanche quanto la voglio. È lei che non sa davvero ciò che vuole, l'alcol amplifica ogni sensazione che avverte, rendendola disinibita.
«Su, andiamo dagli altri a giocare.»
La prendo per mano, lei però mi da un buffo sul dorso e si allontana altezzosa. Fa a stento tre passi, poi ruzzola vicino al tappeto e cade giusto in mezzo al cerchio, nelle risa generali. Si scusa, ridacchiando a sua volta e si posiziona con totale malagrazia accanto a Diana, massaggiandosi il fondoschiena.
Domani le verrà un bel livido e non credo riderà ancora.
Mi porto una mano alla nuca e roteo gli occhi mentre mi accomodo al mio posto.
Stavolta è Diana ad assumere le redini del gioco e la povera malcapitata è proprio la mia strega. Esulta con incoscienza quando nota in che direzione punta il collo della bottiglia. Non ha mica vinto un premio? Dovrà solo scontare una pena. È proprio fuori di testa.
«Non pensare che ci vada leggera perché siamo amiche.»
«Obbligo» ridacchia di buon umore Resia, fregandosene dell'avvertimento.
Diana assume un vezzo impertinente e parlotta sottovoce con Giulio. Non mi piace il modo in cui confabulano. Cos'hanno in mente?
«Non tenetemi sulle spine» si lamenta, ora giù di tono.
Un attimo prima è allegra quello dopo afflitta. Comincia a sclerare di brutto.
«Ti tocca il pegno del chicchirichì.»
La mia mascella pende verso il basso.
«Che roba è?» domanda, Resia, sorpresa quanto me da quella richiesta.
«Possibile che dobbiamo sempre spiegarti ogni cosa?» sbuffa Diana, con aria saccente. «Comunque per le prossime due ore ogni volta che parli dovrai prima dire chicchirichì, qualora ti dimenticassi, per ogni errore devi sfilarti un indumento. Tutto chiaro?»
«Chicchirichì, sì» ride, mimando un soldato.
In fondo è divertente, se non fosse che potrebbe ritrovarsi mezza nuda.
«Chicchirichì, beviamo?» Si solleva con la grazia di un ippopotamo e si dirige al mobile. «Allora che aspettate?» aggiunge interdetta, quando vede che nessuno l'ha raggiunta.
«Non hai detto chicchirichì» la pungola Diana, sorridendo.
Resia la fissa perplessa, poi, come colta da un lampo di genio, si sfila un calzino e lo lancia contro la compagna. «Chicchirichì, che palle. Va bene, adesso?»
Mi porto la mano alla fronte. La situazione sta degenerando.
Beviamo ancora e ricominciamo di nuovo a giocare, le penitenze cambiano, i componenti scontano le loro scelte e passa così pure l'ora successiva, tra risate e momenti seri. Resia ormai barcolla e temo possa gettare la spugna da un momento all'altro. È volubile; ride, piagnucola, si diverte e poi sbraita. Un attimo prima mi guarda imbronciata quello successivo sembra incavolata nera. Per tutto il tempo non le ho mai rivolto la parola, temo che possa scordare quel fottuto chicchirichì e che gli altri possano obbligarla a spogliarsi. Ha preso troppo sul serio quello stupido pegno.
Durante i vari giri della bottiglia, Federico è stato costretto a imitare una gallina, ha confessato di volere una relazione con Diana su domanda di Francesco e ha anche piroettato come una ballerina, fra le risa generali. Diana ha rivelato che guarda film porno su richiesta di Giulio ed è stata pure obbligata a canticchiare una canzone dinanzi al gruppo.
Devo ammettere che è molto intonata.
Giulio invece ha svelato di essere attratto da Francesco e scolato per ben tre volte un cicchetto per evitare altrettanti pegni e dimenticare la sua confessione.
Io non avevo molta voglia di sottopormi a sciocche penitenze, così quand'è toccato a me, ho scelto sempre e solo l'alcol. Ora però ho un dannato mal di testa e rischio di finire peggio di Resia.
Per mia disgrazia quella scellerata ha dimenticato un paio di volte quel maledetto chicchirichì quindi le hanno imposto di togliersi l'altro calzino e poi le mutandine. Beh, era la scelta meno gravosa, visto che il reggiseno non lo indossa e camminare senza pantalone o maglietta non era per nulla accettabile.
Per fortuna ha svolto l'operazione in bagno, non senza rimanere indenne visto che un paio di volte si sono sentiti strani rumori e rientrando ha lamentato un dolore al fianco. Ha esibito come prova le mutandine, visto che Giulio non credeva arrivasse a tanto e ha guadagnato in risposta qualche fischio d'ammirazione; quel matto ha perfino inventato una strofa in rima e la sta canticchiando da mezz'ora.
«Resia la restia è pronta a darla via» intona per l'ennesima volta.
Lo guardo in cagnesco.
Sto letteralmente impazzendo, sapere che non indossa l'intimo sotto quel pigiama è una vera tortura.
«Mattia, io...»
L'oggetto dei miei pensieri si palesa dinanzi a me eppure un attimo dopo scappa in bagno.
La seguo perplesso. Non appena mi vede, urla isterica, intimandomi di uscire. È a terra, inginocchiata davanti al water. Ha una faccia cadaverica e le mani premute sull'addome. Sulle prime mi immobilizzo.
«Non voglio che mi vedi così» si lamenta, un attimo prima di svuotarsi lo stomaco.
Il puzzo che emana mi dà la nausea però nonostante il suo ammonimento stavolta non posso che avvicinarmi. È così pallida. Ha entrambe le mani sul copriwater, pare così debilitata che potrebbe sbatterci contro da un momento all'altro. Gli altri giungono in nostro soccorso, intuendo l'accaduto, ma con un urlo perentorio li caccio tutti fuori.
Resia si sentirebbe ancora più a disagio sapendoli qui e non voglio accada, basto io per prendermi cura di lei.
Mi inginocchio alle sue spalle, con una mano la sostengo, con l'altra le scosto i capelli dalla fronte umida.
«Ti prego, va via. Faccio schifo» piagnucola, avvilita.
La stringo contro di me. Non mi importa un accidente se il suo aspetto sia pietoso. Voglio solo aiutarla.
«Non ti lascio sola.»
Un altro conato le impedisce di rispondermi e ancora una volta quell'odore mi disgusta.
Passiamo un brutto quarto d'ora, bloccati in quella posizione, Resia non fa altro che vomitare e scusarsi. Le bagno i polsi e il viso, sperando di darle un minimo di sollievo. Sembra così fragile. Mi dispiace si sia ridotta in questo stato, credo non abbia mai bevuto prima perché è palese che non conosce i suoi limiti.
Sospiro, tenendola stretta contro di me, quando dopo l'ennesimo conato, dice di sentirsi meglio, ci allontaniamo dal water, ma noto che è comunque senza forze. L'aiuto a sciacquarsi il volto e prima che azzardi inutili proteste, la prendo in braccio.
Non la lascio camminare in questo stato, potrebbe anche svenire o battere la testa. È fuori discussione!
Gli altri non si meravigliano di vederla fra le mie braccia, sono tutti un po' amareggiati, ma si sa, le serate così finiscono quasi sempre in maniera drammatica. La faccio sdraiare sul letto e mi siedo accanto a lei. Non mi parla, non pare molto soddisfatta di sé, non lo sarei neppure io al suo posto, ma insomma, scagli la pietra chi è senza peccato!
Sono cose che capitano a chiunque, ma servono anche da lezione. È importante imparare a conoscere il proprio corpo, i segnali che ci manda e smettere di bere prima di ritrovarsi in condizioni pietose, come è accaduto a lei stasera e a me dopo il suo appuntamento con Patrizio.
Francesco e Giulio ci salutano, sentendosi ormai impotenti e a disagio, anche Federico si dirige abbattuto verso la finestra. Stavolta ci tocca arrampicarci per tornare in camera. Faccio cenno a Diana di tenere d'occhio Resia; ha gli occhi chiusi, credo sia crollata e non mi va di svegliarla. Ha bisogno di una buona notte di sonno.
A malincuore mi decido a seguire il mio compagno, ma non appena le molle del letto cigolano, Resia sussurra il mio nome, tenendomi incatenato lì.
«Non andartene» mi implora, con flebile voce.
Rimango immobile e non oso muovere un passo. Non riuscirei mai a negare una sua richiesta.
Diana rotea gli occhi, ma invita comunque Federico ad allontanarsi. Si sincera che quello scapestrato raggiunga il balcone dirimpetto, poi vede le due studentesse e grugnisce, rivolgendo al mio compagno una serie di insulti.
Che tipa! Lo scaccia e poi pretende pure che non si intrattenga con altre ragazze.
Spegne l'interruttore e raggiunge il suo letto con un sonoro tonfo.
«Non fate casino» sbraita con malagrazia, decretando in quel modo burbero che accetta la mia presenza in camera.
Tiro un sospiro di sollievo. Non ero in vena di tollerare una sua sceneggiata.
Sulle prime non so che fare. Mi risiedo sul letto, un po' impacciato. Accarezzo i lunghi capelli di Resia, sono ancora umidi, le do un leggero bacio sulla fronte per assicurarmi che non sia di nuovo madida di sudore. Ogni tanto storce un po' il muso, forse in preda agli spasmi, mi sono abituato all'oscurità, ma in realtà conosco così bene i suoi lineamenti che ne noto ogni leggera variazione nonostante la poca luce che filtra dalla finestra.
Resia non riesce a stare un attimo ferma, probabilmente la testa le vortica ancora ma quando sento che il suo respiro diviene regolare, mi stendo accanto a lei.
Sussulta non appena avverte il calore del mio corpo.
«Scusa, io... mi sposto.»
Non volevo infastidirla. Pensavo che ormai dormisse. Mi prende per mano.
«Amore... ti prego, resta con me.»
Un brivido si arrampica lungo la mia spina dorsale.
Si accuccia contro il mio petto. I nostri corpi si incastrano, diventando un tutt'uno.
Amore... Mi sfugge un dolce sorriso al pensiero. Non mi sono mai sentito così. Le do un bacio sulla clavicola. Il mio è un tocco leggero, appena accennato, dubitavo che potesse notarlo, invece le scappa un singulto non appena la sfioro.
«Grazie» afferma con dolcezza.
La avvolgo fra le mie braccia e per la prima volta sento di essere nel posto giusto, perché è lei il mio posto.
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