Capitolo diciassette
Eccomi, come promesso. Sono tornata. Buona lettura!
MATTIA
Non è giusto che sia così dannatamente bella.
Avanza per la classe a testa alta, incede lenta, sensuale, fiera, è elegante anche con una mise sportiva, però non sa neppure di esserlo. Resia è del tutto inconsapevole del fascino che trasuda da ogni suo gesto, non ha la minima coscienza del suo splendido corpo e delle emozioni che scatena dentro me quando la guardo.
Non appena i nostri sguardi si incrociano avverto subito un fremito, solo lei mi fa sentire così stupidamente emotivo. All'inizio pare scossa, anche se subito maschera quel leggero turbamento e ricambia accigliata la mia occhiata, poi mi ignora come suo solito.
Perché diamine si comporta così?
Mi alzo dalla sedia infastidito e faccio il giro dell'aula per raggiungerla. Stavolta non mi sfugge, non può portarmi il muso in eterno. È inaudito! Deve smetterla con questo atteggiamento da bambina. Mi siedo accanto a lei, ormai sta diventando un'abitudine quella di perseguitarla e imporle la mia presenza, ma è più forte di me, non riesco proprio a starle lontano.
«Non ti piacciono le orchidee?» domando sarcastico, giusto per attaccare bottone.
Non sopporto che non abbia avuto reazioni dopo il mio gesto, se non fossi maledettamente orgoglioso glielo rinfaccerei.
Due orecchini pendenti le sfiorano il collo, sono tentato di storcerlo, per poi perlustrarlo con la lingua in tutta la sua lunghezza fino a farla fremere sotto il mio tocco. Vorrei che una santa volta si arrendesse a me, smettendola di combattermi. Mi basterebbe perfino una chiacchierata amichevole, pur di averla accanto sarei disposto ad ascoltare i suoi sproloqui, invece mi riserva sempre e solo indifferenza o scherno.
Mi sta facendo impazzire!
«Sono allergica» risponde, senza neanche voltarsi, eppure sussulta non appena poso la mia mano sulla sua gamba.
Non mi inganni, ragazzina, tu mi vuoi, come io voglio te!
«Sei maleducata» la rimprovero, quando invece l'unica cosa che vorrei fare sarebbe baciarla, desidero avvertire ancora il calore di quelle morbide labbra sulle mie.
Con la mano libera cerco il suo volto e la costringo a guardarmi. Adoro i suoi occhi, mi ricordano le cortecce degli alberi, la bellezza della natura: mi scavano con noncuranza dentro, piantando le loro radici nel mio solido tronco.
L'amico che l'accompagna al corso e che finora non avevo neanche notato tanto ero assorbito da lei, si intromette nella discussione, fissandomi con disappunto.
«Resia, tutto bene?» le chiede apprensivo.
«Sì, non sto minando alla sua sacrosanta verginità, vorrei solo parlarle, dovevo forse domandarti il permesso?» rispondo sgarbato, purtroppo detesto le interruzioni e poi, quando c'è di mezzo lei, perdo con facilità le staffe.
So di essere villano eppure non mi importa. Da bambino mi illudevo che comportandomi così avrei attirato l'attenzione di mia madre, però Ada era troppo occupata a scoparsi il cliente di turno per ricordarsi di avere un figlio, e adesso è tardi per mutare questa brutta abitudine.
«Non parlavo con te. Ha ragione Resia, sei proprio un cavernicolo!» replica, poggiando subito dopo le dita sulle labbra, come a volersi scusare per aver detto qualcosa di troppo.
Sorrido impertinente. «Da quando sono l'argomento principale delle conversazioni con i tuoi amici, Resia?» gongolo soddisfatto, nonostante non abbia speso parole positive definendomi un primitivo, ha pur sempre parlato di me, e per il momento me lo faccio bastare.
Il compagno apre di nuovo bocca per replicare, ma Resia solleva il braccio per zittirlo. «Non montarti la testa, non mi piaci e sei l'essere più irritante che conosca» specifica acida, puntando l'indice contro di me e smontando il mio fragile entusiasmo.
Ora però non cedo. «Maledizione, ti chiedo scusa, okay? Non volevo offenderti e non penso davvero quella cosa. Io, insomma, ecco...» tergiverso, non sapendo più come continuare.
Mi sento un completo imbecille, possibile che debba rendermi così ridicolo davanti a lei?
«Sii più chiaro!»
Strega... Resia è una maledetta strega senza cuore. Ecco cos'è!
Sbuffo nervoso, non tollero che lei appaia così tranquilla e noncurante, quando io mi sento così agitato. Ho paura che possa scacciarmi ancora, non voglio fare la figura del babbeo rivelandole che le mie intenzioni sono serie.
Malgrado ciò, mi basta specchiarmi nei suoi occhi per smarrire la ragione, così, non riesco a frenare le parole che sfuggono dalle mie labbra. «Ti sto dicendo che ho parlato a sproposito perché sarei disposto a impegnarmi con te.»
La docente di recitazione purtroppo sceglie proprio quell'istante per fare uno dei suoi soliti ingressi trionfali, troncando il nostro discorso. Anche oggi è abbigliata a festa, non capisco perché si trasforma in una dannata bomboniera a ogni lezione, sembra quasi che debba sfilare su una passerella anziché insegnare in una scuola. Mi ricorda ma mia madre e la mia ex e non mi garba affatto. Erano sempre sfavillanti. Ora odio le persone appariscenti!
Alle sue spalle una seconda persona sfila, esibendo penne di seconda mano, menomale che almeno stavolta non gracchia come un'oca isterica. Ho già sperimentato le sue crisi e non mi va di ritrovarmi ancora coinvolto in quei ridicoli piagnistei. In passato non mi sarei fatto problemi a tacere le sue lamentele ficcandole la lingua in bocca, ma adesso non mi va proprio.
Guardo Resia. Non immagini neanche l'ascendente che ha su di me, e come mi stai cambiando. Sorrido impotente, non riuscendo a frenare i pensieri sdolcinati che provoca, eppure quando incrocio il suo sguardo corrugo subito la fronte, avvertendo l'astio palese che per l'ennesima volta mi riserva.
Vorrei domandarle quale orribile peccato ho commesso questa volta per meritare il suo castigo, ma la professoressa comincia a parlare e la sua voce acuta si diffonde nell'aula, mettendomi a tacere.
Cerco di concentrarmi, a questo punto preferisco distrarmi e non viaggiare sull'unico dolente binario che attraversa i miei pensieri.
La professoressa blatera qualcosa a proposito di ruoli. Dopo mezz'ora di discussioni e caos, in cui ognuno urlava dal banco quello che desiderava fosse il proprio ruolo, io e Resia veniamo assegnati all'unanimità nel gruppo degli attori. Del resto non poteva essere diversamente, viste le nostre precedenti esibizioni. Quel che non mi aspettavo accadesse fu altro: ero stato appena chiamato a recitare una scena, che, con mio sommo dispiacere, mi vedeva protagonista assieme all'insopportabile oca isterica.
Raggiungo il palco scocciato, senza entusiasmo.
«Sono sicura che ti piacerà recitare con me, sono molto più brava della tua amichetta» sussurra lasciva all'orecchio, accarezzandomi la gota.
Non contengo uno sbuffo mentre scosto quelle dita lunghe e indietreggio di un passo per frapporre una distanza maggiore fra noi.
Non voglio che mi tocchi di nuovo e mi scoccio pure di ribattere alle stronzate malevoli che spara. Avrei preferito di gran lunga starmene seduto al mio posto per punzecchiare la mia bambina, anziché partecipare a questa stupida messinscena.
Kitty, Ketty o come cazzo si chiama, non sembra dello stesso avviso e, nonostante io la ignori, non vuole darmi tregua, avanzando decisa verso di me.
Oltre che isterica è anche cocciuta. Povero me!
«Sei proprio bello, sai? Un po' scorbutico forse, ma mi piaci lo stesso» ammicca, simulando un tono che forse reputa sensuale, ma che in tutta onestà mi fa soltanto accapponare la pelle.
Pagherei per sentire quelle stesse parole dalla bocca della mia Resia.
«Limitati alle battute e non rompere i coglioni» replico acido, stavolta coglie l'avvertimento, mi dà le spalle, offesa per l'ennesima risposta maleducata e finalmente mi lascia respirare un po'.
Sono dietro questo maledetto sipario solo da cinque minuti, ma mi sembra trascorsa un'eternità. Quella stronza della professoressa ha preteso che recitassi con la tipa una scena del Titanic, per la precisione quella in cui Jack e Rose sono sul ponte. Avrei dovuto utilizzare questo tempo per imparare le battute da improvvisare, ma non ne ho bisogno, Dafne nelle nostre "serate-film" mi ha obbligato a guardarlo almeno una decina di volte e adesso conosco già a memoria la parte.
Mi guardo intorno, la sceneggiatura è ormai pronta e sono certo che a breve apriranno le tende scarlatte.
Dietro il sipario hanno allestito un ponte in legno e, alle spalle, hanno affisso una gigantografia con l'oceano. Devo ammettere che Miss bla bla bla per quanto sia strana almeno cura alla perfezione i dettagli e prende seriamente il suo ruolo.
Certo, potrebbe scegliere delle scene meno romantiche o imbarazzanti, ma non si può pretendere troppo da una folle artista.
Mi metto in posizione, ovvero con le braccia incrociate sulla ringhiera del ponte e lo sguardo rivolto verso quella finta distesa d'acqua e, proprio in quel momento, il tessuto rosso viene scostato, dandomi la possibilità di scorgere tra gli studenti l'unica persona che è in grado di farmi rimbombare il petto: Resia.
È assorta nei propri pensieri. Giocherella con una ciocca di capelli, attorcigliandola nelle dita e si mordicchia il labbro inferiore, stringendolo fra i denti. Pare tesa, oso quasi sperare che sia gelosa perché quando la docente mi ha scelto per la recita affiancandomi alla gemella, si è subito accigliata e poi, non appena mi sono allontanato per raggiungere il palco, a stento mi ha degnato di considerazione.
Non voglio fasciarmi la testa e illudermi, tuttavia, sebbene si ostini a sfuggirmi, sento che qualcosa ci lega e non sono disposto a mollare la presa con lei.
Sono così assorto nei miei pensieri che non mi accorgo neppure che la recita sia iniziata, mi riscuoto solo quando sento uno stridio alle mie spalle.
«Ciao Jack...» Mi volto di scatto verso quella papera. Un sorriso da ebete le adorna il volto e gli occhi verde acqua sono puntati su di me. Mi costringo a simulare un'espressione seria, trattenendo una smorfia di disgusto.
«Ho cambiato idea, mi hanno detto che...»
«Shhh» la interrompo pronto. «Dammi la mano» aggiungo, cercando di apparire dolce.
Tendo le dita verso di lei e abbozzo un sorriso, pare subito esaltarsi, dimenticando che si tratta solo di una dannata farsa. Non si limita a prendermi la mano, purtroppo mi stritola in un abbraccio che non posso fare a meno di ricambiare per non far saltare questa messinscena a cui mi sono prestato.
Quando finiamo questo ridicolo teatrino, la strozzo.
Sono talmente nervoso che rischio di sbottare, ho bisogno di calmarmi e cerco con lo sguardo Resia, vorrei che ci fosse lei su questo palco, sarebbe tutto più semplice. Non avrei bisogno di fingermi ammaliato e ne approfitterei per avvolgerla tra le mie braccia. Punto i miei zaffiri in quel cioccolato fuso.
«Chiudi gli occhi» sussurro dolce. Ora dovrei farla camminare di qualche passo, condurla sui gradini mentre ha gli occhi serrati, invece è ancora attaccata come una cozza al suo scoglio.
Di questo passo la recita verrà un completo disastro.
«Lasciami» le intimo sottovoce in modo che mi senta soltanto lei.
Per fortuna si scolla, così tiro un sospiro di sollievo.
«Adesso vieni su» recito poco convincente, facendola avanzare verso la ringhiera. «Ora aggrappati, tieni gli occhi chiusi, non sbirciare» continuo, stavolta più sciolto.
In fondo recitare mi piace, vivere la vita di qualcun altro è senz'altro preferibile allo schifo che domina la mia esistenza da sempre. Il problema è che quando le battute finiscono, si torna comunque alla realtà, quindi non giova molto. La sorreggo per il busto e mi posiziono dietro di lei.
«Non sbircio» risponde, sorridendo isterica.
Dio santo, e io mi applico pure, questa è un completo impiastro!
La professoressa infatti storce il muso per la sua scarsa interpretazione, ma io decido di prodigarmi per rendere almeno decente lo spettacolo.
«Sali sulla ringhiera, reggiti» affermo mieloso, mi costa molta fatica apparire romantico quando non sento affatto trasporto per lei, però sono sicuro che con Resia non avrei avuto la minima difficoltà.
Cerco di tenere i nostri corpi distanti, ma lei spinge il bacino all'indietro e lascia aderire il suo culo alla patta dei miei jeans. Si muove leggermente, stimolando il can che dorme, di solito pronto a ringhiare e mordere, ora, propenso solo a un flebile lamento.
Mi avvicino al suo orecchio per rendere la mia voce appena udibile. «Non dobbiamo girare una rivisitazione porno del Titanic. Smettila!» Sono piuttosto duro e sgarbato, ma non me ne frega un emerito cazzo di lei.
«Di fare?» replica maliziosa, muovendo ancora quelle maledette chiappe su di me.
Trattengo uno sbuffo, ignorando i suoi spostamenti sulle parti basse.
«Ti fidi di me?» proseguo attenendomi al copione, più che mai deciso a concludere quanto prima questo sciocca farsa.
«Mi fido di te» urla in risposta, spaccandomi i timpani.
Non so quale santo mi impedisca di balzare all'indietro e lasciarla lì da sola. Le sollevo le braccia per allargarle verso il mare che in questo momento immagino in burrasca, tanto sono adirato.
«Va bene... ora apri gli occhi!»
La mia guancia sfiora la sua, così lei non riesce a trattenere l'ennesima risata snervante che per nulla si addice a quei sospiri delicati e dolci di Rose che sono certo Resia avrebbe simulato con disinvoltura e naturalezza.
«Sto volando, Jack...»
Sì, e vedi pure di schiantarti, possibilmente!
Porto le mie mani sul suo grembo, carezzandone il ventre piatto, però mi distraggo, quando odo rumori concitati fra gli studenti. Cerco Resia, ma mi accorgo che non è più al suo posto: cammina veloce verso l'uscita, senza curarsi di far baccano, purtroppo non riesco a scorgere il suo viso, inclinato verso il pavimento.
Quando esce dall'aula, sbattendo la porta e facendo rimbombare il suono in tutta la classe, dimentico ogni cosa. Me ne frego della professoressa, del Titanic, della tizia che stringo fra le braccia... me ne frego di tutto, tranne che di lei!
«Me ne vado» blatero sommesso, abbandonando la scena.
Nello stupore generale inizio a correre a perdifiato verso quell'uscio. A nulla servono le urla stridule della papera che ho lasciato sul palco o quelle della professoressa che infuriata mi intima di non allontanarmi.
Io non penso ad altro che a Resia, chiedendomi perché sia scappata così dall'aula. Non voglio montarmi la testa e credere che il motivo sia io, resterei deluso scoprendo che invece non è così, eppure non so darmi una spiegazione plausibile.
La raggiungo con poche falcate, non le ho dato neppure il tempo di raggiungere il bagno, nel quale ho pensato potesse rifugiarsi. La afferro da dietro e la imprigiono fra le mie braccia. Inspiro il suo odore dolce, fruttato, e mi beo della sua semplice vicinanza.
Resia si lascia andare contro il mio corpo, quasi riconoscesse il mio tocco, si lascia cingere e io sfrutto quella docile resa per stamparle un delicato bacio sul capo e indugiare con le dita su quel corpo che tanto bramo.
Con delicatezza la faccio ruotare su se stessa e quando scorgo le lacrime sul suo volto d'angelo, mi dispero. Di solito odio le donne che frignano e scappo a gambe levate non curandomi di consolarle, ma con lei è diverso... ogni cosa lo è!
Non impedisco alle mie dita di seguire il percorso di quelle stille amare, le asciugo a una a una, poi poso la mia bocca su quello stesso sentiero umido, quasi volessi curare il dolore che assaporo con dolcezza tra le labbra.
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