Capitolo cinque
RESIA
«Lo chiamerò Napoli» esordisce, Diana, non appena arrivo fuori al bar, dove mi aspettava.
È seduta su un Liberty celestino, nuovo di zecca. È la prima volta che circola con quel motorino, ne deduco che l'abbia finalmente assicurato. Non vedo l'ora di farci un giro!
«Suvvia, non essere assurda.»
Credo sia un po' bizzarro dare un nome a un mezzo di trasporto.
«Tu hai chiamato un topo, Carlo, e io non posso chiamare il mio amore, Napoli? Non diciamo eresie.»
Dannazione è un cane. Povero cucciolo!
Carlo ha otto mesi, è un regalo di mio nonno e io lo adoro. Il giorno che l'hanno portato a casa stavo mangiando una busta di patatine rustiche della San Carlo e, quando sono arrivata nel salone, l'ho trovato dinanzi allo specchio: ringhiava e abbaiava alla sua immagine riflessa. Era così buffo che me ne innamorai perdutamente alla prima occhiata.
«Non è un topo.»
La fisso indispettita, mentre entriamo da Dolci notti. Dinanzi a me c'è una vetrina che straripa di dolci, sulla quale sono posizionati enormi barattoli di Nutella; alle spalle scaffali ricolmi di leccornie varie: Ferrero, kinder, Milka, Lindt, Perugina.
Ho gli occhi che mi brillano.
«Non difendere quel topo nano.»
Distolgo lo sguardo da quello spettacolo mozzafiato: è un ben di Dio perfino per una fan del salato come me.
«Okay, allora vogliamo parlare dei tuoi criceti con problemi patologici?» la sfido, divertita.
So quanto sia suscettibile su quei mostriciattoli, infatti stavolta è lei a guardarmi malevola. Sua madre ha una curiosa passione per i criceti, ne hanno dodici, il mio preferito è Jesus, quello che resuscita.
«I miei criceti non hanno nulla che non vada!»
Ci dirigiamo al mio divanetto favorito, il solo con i cuscini della San Carlo e il tavolino a forma di tarallo. Insomma l'unico salato perché il resto del locale è un miscuglio di dolciumi. Ogni poltrona è ricolma di guanciali dalle forme zuccherose, i tavolini hanno l'aspetto dei biscotti del mulino bianco e sulle mura bluastre troneggia l'orologio pan di stelle.
Ho sempre definito questo bar come la trappola moderna di Hansel e Gretel.
«Hai un criceto con le emorroidi e Jesus si ostina a resuscitare. È morto tre volte, TRE» le ricordo, calcando l'ultima parola.
«E quindi?» Si impunta a negare la follia di quelle piccole creature.
«Uno si è suicidato la settimana scorsa, gettandosi dal balcone» puntualizzo, scettica, tentando di convincerla.
«È stato un tragico incidente.» Si giustifica, torturando il labbro dispiaciuta e assumendo un buffo broncio.
«Sono strani, Diana» concludo, esasperata.
Inarca un sopracciglio, battagliera: passa dal broncio all'espressione torva in un nano secondo. È unica.
«Sono normali. Smettila di bullizzare i miei criceti.»
Alzo gli occhi al cielo e sospiro sconfitta. Ho un'amica fuori di testa.
Intanto ci raggiunge il cameriere.
Ci saluta caloroso, senza consegnare neppure i listini. Facciamo colazione qui ogni domenica dal primo anno del liceo, all'inizio veniva anche Giulio, poi i suoi si sono separati e ora per lui la domenica è sacra perché la passa sempre cop padre.
«Cosa preferite?» domanda allegro.
Ordino un cappuccino e un cornetto al Kinder bueno, Diana invece un caffè macchiato e un cornetto ad albicocca. Segna tutto e si allontana.
«Hai già scelto che attività seguirai il pomeriggio?»
Porca zappa, l'avevo dimenticato!
Diana sembra cogliere il mio nervosismo, perché subito mi rincuora: «Dai... hai ancora una settimana per decidere.»
Appunto, sette dannati giorni prima di aumentare il carico di lavoro degli studenti con un'altra assurdità: i corsi supplementari.
«Canto, recitazione e teatro, discipline sportive, e cos'altro?»
«Informatica» risponde, sognante.
Bene, lei a quanto pare ha già scelto cosa frequentare.
«Come fai ad essere così estasiata? Sei una secchiona. Non ti scocci di dover frequentare anche il pomeriggio?»
«Potresti optare per il teatro» replica, senza offendersi minimamente.
Non sarebbe male come idea, anzi forse è quella che mi è più congeniale. Nelle discipline sportive, se si esclude il nuoto che pratico fin da quando ero bambina, non sono un asso, inoltre sono praticamente una campana, quindi se optassi per il canto sarebbe un disastro.
E soprattutto odio l'informatica quasi quanto la matematica.
«Recitazione sia» ribatto, convinta.
Il cameriere ci consegna le ordinazioni.
«Quant'è?»
Questa settimana tocca a me, paghiamo una volta ciascuna.
«Ha offerto il riccio laggiù» ci informa, indicando il ragazzo in questione, prima di allontanarsi.
Strabuzzo gli occhi incredula, sbattendo più volte le ciglia. Non è possibile che sia qui. Indossa un maglioncino leggero con lo scollo a punta, le maniche sono scorciate, lasciando liberi gli avambracci; i jeans col cavallo basso gli fasciano in modo superbo le gambe.
Sorride non appena si accorge del mio attento esame, le sue labbra sono un dolce richiamo, tentano più di ogni altra bontà. Mi si chiude lo stomaco. Stavolta la nausea ha colpito anche a distanza.
Si può sapere cosa diavolo mi succede?
Non riesco a distogliere lo sguardo da Lui. Quei riccioli selvaggi gli sfiorano la fronte, gli occhi sono spalancati, allegri, le labbra piegate in un ghigno divertito. Sospiro spossata, mi toglie il fiato ogni volta.
Quel ragazzo mi condurrà al manicomio! Quando i miei occhi incontrano quel cavernicolo, la mia ragione si perde nei meandri della sua rozza caverna.
Alzo la mano per salutarlo e abbozzo un sorriso, prima di voltarmi di nuovo verso la mia amica.
«Mangiamo» affermo, anche se non ho più un grande appetito.
Diana non è dello stesso avviso. «Occhio, Resia» mi avvisa sottovoce.
Non ho neanche il tempo di girarmi che una mano si poggia sulla mia spalla.
È lui. Tremo non appena inalo la sua fragranza. Il muschio bianco sta diventando la mia dolce tortura.
«Buongiorno, posso?» domanda, indicando il posto libero sul divano.
La sua voce è roca, la sua mano rovente. Adoro quell'accento, ha una cadenza unica, particolare. Non è di qui, oramai ne sono certa.
Non attende una risposta, si siede accanto a me. Il suo alito caldo mi pizzica il collo. Fatico a muovermi, ho i muscoli atrofizzati.
«Perché chiedi se fai comunque di testa tua?»
Non volevo mostrarmi sgarbata, ma sono troppo agitata.
«Devo alzarmi?»
Siamo vicini, troppo! I nostri respiri si accarezzano, si fondono. Inspiro a pieni polmoni. Ho bisogno d'aria. Mattia pizzica le mie corde e produce un accordo dissonante eppure melodioso.
«Allora?»
No.
«Sì.»
Sono una codarda, ma le emozioni che avverto accanto a lui, mi spaventano.
Lui non si scoraggia, anzi... sorride spavaldo e non accenna il minimo spostamento. È cocciuto, ostinato, testardo. Mi piace!
«Scordatelo.»
Perché ignora le buone maniere? È deprecabile e la sua vicinanza attenta alla mia sanità mentale. Mi raddrizzo a sedere, scostandomi leggermente da lui. Magari così ristabilisco un minimo di lucidità.
«Sei un vandalo.»
«Lo so. Quando hai finito con le offese fammi un cenno.»
Sbuffo indispettita è così arrogante.
«Perdona la mia scostumatezza, Diana. Spero che almeno a te non dispiaccia la mia presenza» dice, gentile.
Perché è scorbutico solo con me? Lo detesto!
«No, figurati. Grazie per la colazione.»
Giusto, l'avevo dimenticato. Sono un'idiota. Lui ci ha offerto il cornetto e io gli ho inveito contro. Che stupida.
«Figurati, è un piacere. Per me un caffè» ordina, con nonchalance. Io non mi ero neppure accorta che il cameriere si fosse avvicinato.
Abbasso lo sguardo e comincio a torturarmi le mani. Mi sento a disagio, il silenzio non è d'aiuto e Diana d'improvviso si alza.
Non muoverti, cazzo!
«Devo fare una telefonata» finge con disinvoltura.
«Si raffredda il cornetto» provo a trattenerla.
Diana non mi risponde neanche, si allontana divertita.
Stronza, le mimo con le labbra mentre si gira un'ultima volta a guardarmi.
«Non voglio infastidirti. Volevo solo farvi compagnia.»
«Scusa.»
È un sussurro a malapena udibile ma ha capito. So di essere stata sgarbata. Lui non si era posto male oggi, sono io che ormai parto prevenuta.
«Scuse accettate.»
Mi prende con delicatezza il mento e mi obbliga a voltarmi, visto che non lo guardo.
Trattengo il respiro, sento un formicolio al di sotto dell'ombelico. È una sensazione strana. Mattia mi tenta, vorrei accarezzare quella mascella dura, il naso dritto, le gote alte, il leggero strato di barba che gli adorna il volto.
«Mi piacciono le tue labbra» afferma, rauco.
Con un dito le sfiora, ne lambisce i contorni, io inspiro e ancora una volta lo stomaco si aggroviglia.
Aria. Ho bisogno di aria.
«Che profumo usi?» chiedo, convinta che sia quella la fragranza che scatena il mio malessere ogni volta che si avvicina a me.
Attendo con ansia un'illuminazione.
«Nessuno.»
Cazzo. Allora cos'è? Il semplice odore di una persona non può provocare queste sensazioni di disagio alla bocca dello stomaco.
«Senti io...»
Mi interrompo. Non so come spiegargli quello che provo. È inconcepibile perfino per me. Non mi era mai accaduto prima, ma io mi sento nauseata accanto a lui.
«Tu?»
Abbandona le labbra per sfiorare la guancia con l'indice, vezzeggia con dolcezza la pelle arrossata. Il formicolio aumenta incontrollato: le gambe tremano, la testa vortica. È così che si sente un ubriaco? Stordito in balìa delle emozioni che lo pervadono, l'adrenalina che circola nelle vene, il caldo che infuoca, la confusione che infuria la mente soggiogata.
Devo provare un drink qualche volta, se è davvero questo l'effetto.
«Ecco, io... non so come dirtelo.»
Non voglio si offenda. Non è colpa sua. È un problema soltanto mio. Se gli altri non hanno nulla da ridire sul suo odore, significa che sono io quella strana.
«È una cosa così brutta?»
Adesso sembra preoccupato, deve aver percepito il mio rammarico. Non rispondo, non saprei che motivazione addurre per giustificare il mio stato di sofferenza.
Allora lo annuso.
Mi rabbuio ancor più, il suo odore mi piace.
«Forse... Sì, sicuramente.»
Scosto la sua mano per recuperare un po' di equilibrio, ma non funziona.
«Tu...»
Non riesco a parlare.
Dannazione! Come posso spiegargli che mi provoca la nausea?
«Lo so, ti piaccio, è normale» replica, scherzoso.
Che presuntuoso! Lo sapevo che avrebbe sparato una cazzata delle sue.
«Mi dai il voltastomaco» confesso, infastidita.
Oh, no, ora sembra furioso. Temo non abbia digerito la notizia.
Dovevo cucirmi le labbra, sono una dannata stupida!
«Cosa?» domanda arrabbiato.
Inarca un sopracciglio e mi fissa con espressione malevola. Se potesse mi strangolerebbe a mani nude. Apro la bocca per parlare, ma subito la richiudo. Non credo esista un modo per riparare il danno.
Stavolta l'ho fatta proprio grossa.
«Che cazzo significa che ti do il voltastomaco?» sibila alterato, avverto un accento ancor più marcato, ma non ho il tempo di ragionarci che mi cinge la vita e mi obbliga a voltarmi verso di lui.
La sua presa è forte e il sottile maglione che indosso non aiuta, mi sembra stia sfiorando la mia pelle nuda.
Attende una risposta senza liberare i miei fianchi. È livido dalla rabbia.
«Io... mi dispiace. Non volevo dire che puzzi. Cioè sì, ma, no... non è che puzzi davvero.» Mi mordo la lingua e serro le labbra. A giudicare dal suo cipiglio ho peggiorato la situazione.
«Puzzo?» sibila, ancor più irritato.
Non ribatto, non vorrei aggravare la mia situazione già abbastanza precaria. Mattia avvicina il suo collo al mio naso.
«Annusa» ingiunge irritato.
«Non sono un cane.»
Anche se prima ho fatto proprio quello, l'ho annusato.
Arretro un po' con la testa, ma nonostante mi sforzi di serrare le narici, quando lui mi avvicina il collo al naso, il buon odore che emana mi delizia ancora una volta.
Non so se sia per la tensione accumulata o l'ansia che mi causa con quelle occhiatacce malevole, però la nausea è completamente sparita.
Sono guarita? Così, all'improvviso?
«Dunque? Niente voltastomaco?» mi punzecchia nervoso, scostandosi un po' da me.
Ignoro le sue parole. Sento solo il suo alito caldo e le sue mani che ancora si attardano sul mio corpo. Mi mordicchia il lobo e non trattengo un singulto, un caldo languore mi comprime subito le viscere.
Poggio il mio capo sulla sua scapola e mi aggrappo alla schiena.
Dannazione. Ancora!
Non riesco a trattenere le mie parole. «Ho di nuovo la nausea.»
Si stacca del tutto dal mio corpo e mi alza la fronte con un dito. Nei suoi occhi leggo un profondo sbigottimento. È amareggiato dall'assurdità delle mie parole.
È assurdo, eppure mi dispiace ferirlo, vorrei lenire le pene che io stessa ho inflitto. Santo Dio sto impazzendo.
«Spiegati» afferma, duro.
Raccolgo il fiato. Devo stare attenta a quel che dico stavolta.
«Quando mi sei accanto sento uno strano formicolio allo stomaco.»
Grugnisce indispettito e mi studia con attenzione.
Un'improvvisa intuizione mi balena nella testa.
«Forse... non sei tu, ma il bagnoschiuma che utilizzi. Che sciocca!» Mi do un buffetto sulla fronte a sostegno della mia follia e lui ancora una volta mi fissa sconvolto.
«Ma è fastidioso? Ti è capitato davvero da vomitare?» domanda, scettico.
«In effetti, no» ammetto sorpresa, non sono mai corsa in bagno a svuotarmi lo stomaco.
Scuote la testa, è dubbioso.
Hai ragione, non capisco neanche io.
«Spiegami cosa provi di preciso» indaga sospettoso.
Chiamo a raccolta le mie misere facoltà mentali. Non voglio addossargli altre colpe bizzarre, quindi mi limiterò a raccontare quello che provo. Sembreranno parole sconnesse e vuote ma almeno evito disastri.
«Ecco io... ho caldo, molto caldo e mi sento improvvisamente debole. Di solito non mi capita. Non svengo per un nonnulla. Però sento qualcosa di forte, un languore inarrestabile che mi pervade tutto il basso ventre. Ecco, io... non so spiegarlo, non mi era mai successo. È strano per me. Le gambe mi diventano mollicce, faccio fatico a reggere il peso del mio corpo.» Faccio una pausa, lui mi sta fissando ancora e la mia nausea aumenta a quell'attento esame. «Ah, mi gira anche la testa e il cuore galoppa selvaggio, batte più veloce del solito. Mi manca subito l'aria e lo stomaco si attorciglia in una morsa ferrea ed ecco che sento proprio il voltastomaco» concludo decisa.
Mattia sorride. Un sorriso caldo, aperto, gioviale.
Io mi cruccio e lui si diverte. È proprio stronzo.
«Smettila di ridere. Sono seria.»
Lo guardo indispettita, mettendo il broncio, ma lui non accenna ad arrestarsi.
«Lo so» replica, sbellicandosi.
E io che ero pure dispiaciuta per averlo turbato. È un deficiente!
Vorrei alzarmi e piantarlo in asso, così la smette di gongolare. Attendo impaziente, arcuando le sopracciglia. Finalmente interrompe quello sgradito eccesso di ilarità.
«Scusami, Resia. Non volevo offenderti, solo che credo di aver capito il tuo problema e ne conosco anche la cura» ribatte, serio.
Mi mordicchio il labbro superiore e incrocio le braccia al petto.
«Non prendermi in giro.»
Mi sistema le ciocche sfuggenti che accarezzano il mio volto. Il suo tocco è gentile, premuroso, delicato.
«Dico davvero.»
Sembra onesto. Sono confusa. Non capisco come possa aiutarmi. Non è un dottore.
«Non ti credo.»
Il suo atteggiamento tracotante mi puzza. È palese sia soddisfatto, ma non ne capisco la ragione. Vuole solo vendicarsi del torto che ha subìto.
«Scommettiamo?»
Vuoi improvvisarti dottore? Accomodati pure!
«Sì.»
Non mi tirerò indietro, non sono una vigliacca!
«Cosa mi offriresti se riuscissi a lenire il voltastomaco?»
Mi fissa le labbra con malcelato ardore, lasciando intendere una ricompensa di quel tipo. Si umetta le sue, ed è così dannatamente sensuale che vorrei cedere all'impulso di accontentarlo. Un capogiro mi colpisce fulmineo. Quell'indisponente ragazzino controlla la mia mente!
«Non pensarci neanche» lo canzono.
Non lo bacerò per una stupida scommessa.
«Hai paura di perdere?»
Sì, temo di uscirne sconfitta.
Con le dita traccia un lento percorso lungo il mio collo, dall'alto verso il basso; si ferma sulla scollatura e mi fissa, spavaldo.
«No» replico, fiera, scostando la sua mano.
«Tanto non ho bisogno del tuo permesso per baciarti» ribatte impertinente.
Senza alcun preavviso mi accarezza la gamba. Nonostante lo strato di tessuto, che copre e cela la mia pelle, sotto le sue dita roventi mi sento nuda. Ho le vertigini e stento a tollerare il calore che mi invade.
«Co-sa stai fa-cendo?» balbetto ansimante. Non riesco a credere che abbia messo le sue mani proprio lì.
Sorride divertito e prosegue indisturbato lungo un sentiero che mai nessuno aveva osato solcare. Arriva all'inguine e stringe con desiderio la coscia. Si tortura il labbro inferiore tra i denti e io trattengo a stento un gemito. Non riesco a sopportare altro. Lo blocco.
«Curavo la nausea» ribatte, roco.
«Stronzo» gli ingiungo, oltraggiata.
Ride ancora, per nulla risentito.
Che essere odioso e irritante!
«Resia, ti ho solo accarezzato l'interno coscia» insinua, quando si conclude quell'immotivata risata.
Minimizza pure... e che altro voleva fare?
«Appunto» ribatto accalorata, ancor più indispettita dalla sua continua strafottenza.
Sorride di nuovo, pervaso da un'ilarità sempre maggiore. Non capisco perché sia così allietato.
«Si può sapere perché diavolo ridi?» sbotto, incollerita.
Alzo le spalle, seccata. Vorrei mordergli quelle dannate labbra e farlo smettere. Gli ha dato di volta il cervello?
«Sei buffa.»
E tu sei un cretino!
«Risposta insufficiente.»
Guardo il mio cornetto che giace morente sul tavolino. Che scempio! Per colpa sua mi si è chiuso lo stomaco, ma non posso commettere una tale nefandezza. Lo afferro a malincuore e addento quella succulenta bontà. Ormai è gelato, ma è ottimo.
«Comunque mi diverto perché ti comporti come se avessi attentato alla tua virtù. Ti ho solo accarezzato la coscia. Sei ancora vergine, sai?» precisa solenne.
Alzo gli occhi al cielo.
Poso di nuovo il cornetto. Non riesco a mangiare.
«Simpatico» replico quindi crucciata.
«E tu sempre acida?»
«Certo, perché sei un idiota!»
Si passa una mano fra i capelli, un ricciolo dispettoso gli scivola sul volto. La mia mano libera scioccamente si alza per sfiorarlo eppure la blocco prima che assecondi quello strano impulso.
«Beh, detto da te.»
Mi sta dando della stupida?
Lo incenerisco con un'occhiataccia, lui ricambia con un sorriso.
È folle, rinchiudetelo in un manicomio.
«Perché parlo con te?»
Odio discutere, ma con lui finisce sempre così. Sfiora con facilità i miei nervi scoperti, mandando in tilt il mio già fallace e problematico sistema nervoso.
«Perché sono irresistibile.»
Sbuffo, esacerbata.
Aveva ragione Oscar Wilde: mai discutere con un idiota. Ti trascina al suo livello e ti batte con l'esperienza.
«Non lo sei, fidati. E comunque non tentare mai più cure azzardate e inutili.»
Si passa una mano fra i capelli e per l'ennesima volta mi guarda scherzoso. Odio il suo buon umore e soprattutto non ne capisco affatto la ragione!
«Peccato! Era un interessante metodo alternativo» piagnucola, mettendo su un adorabile broncio.
«Dimenticalo. Mi tengo la nausea, piuttosto!»
Vorrei che fosse un orangotango brutto e peloso così quando mi fissa con quell'espressione ribelle non sarei così sconvolta.
Invece è bello. Troppo.
Agita i miei sensi e danza in modo sensuale con i pochi neuroni che possiedo, trascinandomi su una seducente pista da ballo.
«Sei così ingenua...»
Mi sfiora una guancia col palmo della mano. I miei neuroni danzano agitati il tiptap.
«Perché?» domando, in un sussurro.
Il suo tocco mi confonde. Se non smette di accarezzarmi non recupererò mai il senno.
«Sai, anche io ho un po' di nausea adesso» mi confessa, rauco.
Maledetto stronzo! Perché deve sempre farsi beffe di me?
Gli scosto la mano, mordicchio il labbro inferiore e inizio a giocherellare con le mani. Odio quando mi canzona!
«Sei insopportabile.»
Perché non si taglia quella lingua biforcuta? Appena mi rilasso, sputacchia i suoi malefici coltelli.
Dannazione! Non è colpa mia se avverto quella strana sensazione.
Anche ora, sono in balìa di tremolii sospetti, sembra che un attentatore si diverta a mitragliare il mio basso ventre. Non dovevo rivelargli il mio segreto, si prenderà gioco di me in eterno.
«Peccato che il tuo corpo ti suggerisca altro» ribatte enigmatico.
Mi guarda lascivo e si intrappola il labbro fra i denti, provocando una reazione spontanea, proprio lì, dove avverto sempre quel languore. Strabuzzo gli occhi e arrossisco, imbarazzata.
Oddio! Non è affatto voltastomaco! Io lo desidero.
«Non è come pensi» tento di giustificarmi.
Che figuraccia, come ho potuto confessargli sono attratta da lui.
Sono proprio una sciocca.
Non potevo accorgermene prima?
Mi alza il mento con due dita, i miei occhi incontrano i suoi: una zattera che affonda nel mare in tempesta.
«Non arrabbiarti, Resia. Anche io ti desidero.»
Sgrano gli occhi, sbigottita. Non tanto per quello che ha detto ma per il suo tono. Era così profondo e passionale. Mai nessuno si era azzardato a farmi una confessione del genere.
«Un euro e cinquanta» esordisce il cameriere, mentre consegna il caffè.
Mattia, sbrigativo, chiude il conto. Vorrebbe liberarsi di lui al più presto e terminare il nostro discorso ma la Dea bendata mi accompagna perché Diana torna di nuovo al tavolo.
«Allora, li mangiamo o no questi cornetti?»
Sorride birichina, inconsapevole del mio immane turbamento emotivo e si accomoda di nuovo davanti a noi.
La mattinata si conclude così... tra chiacchiere futili e sguardi che non ho il coraggio di ricambiare.
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