Capitolo cinquantatre
MATTIA
«Quel pavone spelacchiato sarebbe Romeo?»
Resia ridacchia, dandomi un buffetto sul braccio.
Ha le gote arrossate. L'ho baciata più volte in corridoio prima di entrare. Le sue labbra sono gonfie e i capelli scarmigliati.
È ancora più bella!
Oggi siamo arrivati entrambi in anticipo al corso di recitazione, un muto accordo volto a recuperare il tempo perso. Nell'attesa che l'aula si riempisse mi ha raccontato tutti gli aneddoti taciuti mentre le portavo il muso. Litigare si è rivelato un inutile spreco di tempo, d'ora in avanti non farò passare neanche un giorno per chiarire i nostri dissapori.
Ha una famiglia davvero bizzarra: la nonna, da come ne parla, sembra un impianto d'allarme di ultima generazione con udito e vista potenziati, rileva ogni uscita e entrata dal quartiere e conosce tutti i pettegolezzi dei dintorni.
Anche io le ho detto qualcosa di me ma in realtà non ho molto da riferire. I miei nonni non li ho mai conosciuti e mia madre non voglio neppure menzionarla. Con mio padre va meglio, ultimamente parliamo di più e anche sua moglie con modi impacciati cerca sempre di mettermi a mio agio.
Ho parlato liberamente solo di mia sorella che, pensandoci, è la sola con cui abbia instaurato subito un buon rapporto da quando sono in Italia. Dafne è speciale, devo proprio fargliela conoscere.
«Ebbene, sì, quello è il Montecchi per cui mi toglierò la vita» risponde, sarcastica.
C'è un vociare indistinto in aula, nessuno bada a noi e Giulio oggi non verrà a lezione, quindi per una volta non dovrò condividere la mia ragazza coi nostri amici. Spero possa trattenersi con me anche dopo il corso, di lei non ne ho mai abbastanza.
«Non farai un bel nulla per quel moccioso.»
Osservo il ragazzino in questione. Non sembra molto alto, è magro e pallido. In effetti, non ha una bella cera e potrebbe eccellere mentre finge di essere morto. Ha gli occhi scuri e neanche un pelo sul quel volto ovale dalle labbra piene e il naso leggermente pronunciato.
No, non mi piace. Neanche lo conosco e già mi sta sulle palle!
«Non recita male.»
Grugnisco, indispettito.
«Ma guardalo... È un presuntuoso! Sono sicuro che si è montato la testa da quando miss bla bla bla gli ha assegnato la parte, non l'avevo mai notato prima d'ora e neppure ricordo il suo provino, quindi sarà certamente un impiastro.»
Resia punta i suoi occhi nocciola sul tipo e le sfugge una smorfia.
«Beh, sì... è uno sbruffone. Ed è pure amico delle gemelle a quanto vedo.»
Romeo difatti sta confabulando con la bagascia proprio adesso e il modo in cui ridacchiano, scambiandosi occhiate complici, mi puzza, soprattutto perché un paio di volte si sono voltati nella nostra direzione.
«Quella stronza sta tramando qualcosa» dichiara, Resia, colta dal mio stesso sospetto ma proprio in quel momento fa il suo ingresso in aula la docente, interrompendo la nostra conversazione.
Dopo un veloce sguardo verso la classe e un rumoroso calpestio di tacchi sul pavimento inizia a cianciare rapidamente, nel suo tipico modo eccentrico, spiegando come intende articolare la lezione. Non ho ben capito cos'abbia in mente, ma in pratica un gruppo di ragazzi salirà sul palco per recitare le scene che chiederà loro di improvvisare sulla base di cinque differenti emozioni: gioia, tristezza, paura, rabbia e disgusto.
«Inside out...» blatera Resia ma prima che possa rivolgerle domande, la professoressa punta il suo sguardo su di me.
«Bene, bene... vedo che il figliol prodigo ci ha degnati della sua presenza. Vieni pure sul palco, già che ci sei.»
«Mi sono assentato per lavoro. Questo corso mi appassiona molto, non mancherò più» replico lusinghiero, sperando in quel modo di corromperla.
Se voglio che sostituisca l'attore protagonista di una tragedia, dovrò pur fare qualche sacrificio, no?
«Comunque in questi giorni mi sono domandato quando si saprà l'esito del provino» butto lì, facendo spallucce e fingendomi inconsapevole della sua pessima scelta.
Non può credere davvero che quel tipo cereo sia un buon Romeo, creperebbe prima della fine, sovvertendo l'ordine degli eventi.
«L'esito è stato già comunicato da qualche giorno. Tu interpreterai il ruolo di Tebaldo, il cugino della disgraziata al tuo fianco, per intenderci.»
Alzo gli occhi al cielo, interdetto. Conosco bene quel rampollo rivoltante.
«Non esiste. Non morirò per mano di Romeo!» Sputo, disgustato.
Quel personaggio è presuntuoso e arrogante. Un nobile rissoso e sempre alla ricerca di potere e ricchezza.
Non interpreterò Tebaldo, se lo può scordare!
Ignora le mie proteste e si attarda con lo sguardo su Resia, sorridendo beffarda. «Vieni anche tu, Giulietta. È sempre bene fare un po' di pratica.»
Fa una leggera pausa, in cui si umetta le labbra e si sistema il colletto della camiciola rosa confetto.
«Quanto a te... dovevi pensarci prima di assentarti!» Conclude, decisa.
«Ma...» Protesto, più che mai deciso a far valere le mie ragioni.
Non sono disposto a dargliela vinta.
«Nessun ma, ragazzino. La docente sono io e tu non mi sembri un tipo paziente o propenso al sacrificio. Per imparare il copione di questa tragedia ci vorrà un bel po' e non voglio colpi di testa o inutili sceneggiate.»
Stringo le mani a pugno, facendole ricadere lungo i fianchi con rabbia.
Non mi conosce. Non sa quel che posso o non posso fare. Come si permette di giudicarmi così?
Ci tengo davvero a recitare, ho scoperto che il teatro mi appassiona molto. Non è perché voglio interpretare la parte dell'innamorato. Sì, immagino che con Resia mi divertirei da impazzire, però c'è altro... per la prima volta in vita mia voglio mettermi in gioco e lei non solo mi sta negando questa possibilità ma ho il vago sospetto che se pure fossi stato presente non mi avrebbe ugualmente scelto perché mi ritiene sovversivo.
Grugnisco, pronto a insistere e ribadire la mia voglia di impersonare quel ruolo, ma quando riconosco le dita della mia ragazza stringermi la mano chiusa e avverto quel fiato caldo che mi soffia con delicatezza sul collo, ritrovo subito la calma. Resia appiana ogni mia asprezza.
«Le faremo cambiare idea, vedrai» sussurra, dolce. «Ora, andiamo...»
Mi tira con sé e io, senza opporre la minima resistenza, mi lascio trascinare verso il palco, convincendomi che ha ragione. Insisterò, in un modo o nell'altro quella parte sarà mia, ma non ora.
Nel frattempo la professoressa indica gli altri componenti per l'esercizio di recitazione. Per mia sfortuna ci sono anche viso pallido, le gemelle e altri cinque ragazzi che neanche conosco. Ci accomodiamo sulle sedie disposte in cerchio, su ognuna c'è un cartellone con l'emozione da interpretare.
Io sono il primo, mi capita il disgusto: recito la parte di un povero uomo nauseato dagli eccessi e i facili costumi che a poco a poco lo conducono al completo fallimento. Ruolo di sicuro troppo semplice per un figlio di puttana come me, mi sono immedesimato così tanto che mi sembrava di rivivere la mia stessa vita.
Miss bla bla bla pende dalle mie labbra.
Vacilla non poco, me lo sento. Sono già sulla buona strada.
A Katiuscia tocca invece la tristezza, così la professoressa le chiede di recitare la parte di una bambina disperata e incompresa. Stranamente quella scena le calza a pennello, probabile che sia abituata a incapricciarsi per un nonnulla. Fatto sta che la sua interpretazione è davvero lodevole. Non posso dire altrettanto per Sabrina a cui si domanda di impersonare la noia. Comincia a starnazzare in maniera così isterica che sono costretto a tapparmi le orecchie. Resia, seduta accanto a me, ridacchia più volte.
Dopo quell'oca, dalle scarse abilità recitative, viene il turno di Romeo a cui spetta di interpretare la gioia.
La docente gli ordina di improvvisare un folle amore verso Resia, così da esercitarsi nel ruolo che dovrà impersonare e quello sciagurato comincia a professare di amarla perdutamente. Non una volta il suo volto prende colore e la sua voce è così tonante da risuonare quasi ridicola. Non mi piace, lo ribadisco e, anche se sta recitando, le sue parole mi innervosiscono. Non tollero il modo in cui guarda lascivo la mia ragazza.
A un certo punto quel coglione comincia a scambiare occhiate d'intesa con la bagascia e approfittando della situazione, sfiora diverse volte Resia. Non so quale santo mi abbia trattenuto dal malmenarlo. Giuro che avrei voluto strangolarlo e ho iniziato a odiare anche la professoressa che non ha interrotto quel siparietto, ma si è limitata a chiedere a Resia di dover simulare l'ultima delle cinque emozioni: la rabbia.
Così, per mia fortuna, Resia grugnisce in maniera poco signorile e rifiuta in malo modo il corteggiamento di quel coglione.
Comincio a calmarmi ma quel cretino osa troppo: la bacia davanti a me, dandole addirittura una pacca sul sedere.
Tutto diventa nero. A nulla serve la sberla di Resia o gli insulti che gli rivolge per quel gesto. Nulla appaga la mia gelosia e allenta la sete di vendetta che sento ardere in gola più di un fuoco scoppiettante. Perfino la docente comincia a rimproverarlo, ritenendo che abbia esagerato nell'esecuzione dell'esercizio, ma a me non importa, non ascolto più nessuno. Sono completamente fuori di me dalla rabbia.
Non lo picchio perché non voglio deludere ancora Resia o che mi giudichi violento. Ho già sbagliato con Patrizio in passato e ripetere lo stesso errore sarebbe da sciocco, ma faccio quel che mi riesce meglio, la trascino via dall'aula, caricandola in spalla e mettendo fine a quella stupida farsa.
Mi prudono le mani dalla voglia che ho di stendere quel coglione e se non vado via temo che lo farò
Stento a credere di essermi riuscito a trattenere così tanto per lei.
«Mattia ti de...»
La fisso torvo, intimandole di tacere e comincio a camminare come un dannato avanti e indietro nel corridoio.
«Non dirmi di stare calmo.» Sbraito, furioso, certo che sia quello il suo intento.
«Ma non è successo nulla.» Prova infatti a calmarmi solo che è impossibile sedare il mio malumore.
Cerca pure di arrestare in qualche modo il mio girovagare nauseante. Mi sta venendo il mal di testa a furia di camminare in tondo ma non riesco a fermarmi. Le gambe si muovono da sole.
«Ti ha baciato, cazzo.» Urlo, di nuovo.
Penso mi abbiano sentito perfino in aula tanto erano alti i miei toni, ma non mi importa un fico secco.
Che vadano pure al diavolo!
Non ci torno lì dentro. Credo di essermi giocato la possibilità di far cambiare idea alla professoressa perché agendo così ho soltanto confermato il suo frivolo giudizio su di me. Sono arrabbiato e non ho affatto intenzione di chiedere scusa a chicchessia. Mi sono comportato già fin troppo bene.
«Stava recitando» tenta di difenderlo, facendomi accigliare ulteriormente.
Mi arresto di colpo dinanzi a lei.
«Non è vero. Voleva solo metterti le mani addosso. È in combutta con quella stronza, l'ha fatto di proposito e tu lo sai bene, quindi non prendere le sue parti» la accuso, con tono duro.
Continuiamo a discutere senza riuscire a trovare un punto di incontro. So che non è colpa sua, ma gelosia mi divora completamente. Sono livido e non ragiono più. Devo sbollire prima la rabbia. Rivedo l'immagine di lui avvinghiato al suo corpo e quelle labbra che la sfiorano.
Fin da bambino ho sempre faticato a gestire le mie emozioni, ma con Resia è addirittura peggio, mi sembra di essere travolto da uno tsunami impetuoso e insostenibile. È fuori dalla mia portata, non ci riesco. Sono così instabile che mando tutto a puttane senza accorgermene neanche e dopo l'ennesima sfuriata, volta a ribadire le mie ragioni, mi ritrovo lì da solo perché lei, stanca di cercare un punto d'incontro, torna in aula, abbandonandomi a me stesso.
Sono poco distante e sento chiaramente che si scusa a nome di entrambi come invece avrei dovuto far io, ma la professoressa non vuole sentire ragioni, sostenendo che non è la prima volta che abbandoniamo l'aula senza il suo permesso, così ci sospende dal corso per una settimana.
Quando torna da me, è ancor più nervosa e mi saluta con freddezza.
Siamo punto e a capo. Avremo mai un minimo di pace?
Quando la vedo camminare verso l'uscita sono tentato di rincorrerla, ma anziché inseguire lei, come il mio cuore comanda, torno a passo di carica verso l'aula. Individuo quel coglione, chiacchiera e ride con la bagascia, facendomi saltare completamente i nervi. Faccio appello a ogni santo in cielo per contenere l'ira che fluisce inesorabile dentro me, gli passo accanto e senza degnarlo della minima considerazione, raggiungo la professoressa.
Stavolta farò la cosa giusta.
«Le chiedo scusa, ma punisca soltanto me. Resia non ha colpe.»
La docente mi guarda con disappunto prima di rivolgersi agli studenti ancora in aula.
«Per oggi il corso è finito.»
Aspetta che escono mentre io rimango immobile dinanzi a lei, senza batter ciglio, pronto a difendere la mia posizione.
«Non permetterò che la vostra vita privata e la tua impulsività rovinino le mie lezioni. L'ho capito subito che tra di voi c'era qualcosa, era palese. Ho chiesto di proposito a quel ragazzino di corteggiarla, volevo metterti alla prova e purtroppo sei abboccato all'amo. Sì, ha esagerato e se non ti fossi intromesso l'avrei punito io, dandoti la parte. Avevo architettato un espediente originale per sovvertire gli eventi, non trovi?»
Sorride altezzosa, ma un attimo dopo mi guarda di nuovo, stavolta con rammarico.
«Hai rovinato il mio piano, dimostrando che non sei affatto pronto. Mi dispiace, ragazzo... hai stoffa ma la sprechi! Prenditi questa settimana per riflettere e dimostrami che ci tieni davvero se vuoi che cambi idea.»
Mi abbandona lì, come un povero sciagurato.
Ha ragione. Hanno tutti ragione. Sono un cretino!
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