16/12/2021

La mattina dopo la discussione con il padre, per Adele fu terribile: aveva dormito malissimo, ripensando per mille e mille volte a tutto quello che era successo. Era possibile che avesse ragione il padre? Era possibile che quello che sentiva dentro fosse veramente solo moda? Le venne in mente quando Sofia aveva detto dei tagli, che erano solo una moda.

Le girò la testa appena provò ad alzarsi dal letto, ripiombò sulle coperte facendo un verso simile a quello di un grosso gatto.

«Mamma, mi sento veramente male. Oggi non posso andare a scuola!» disse, con la poca forza che sembrava esserle rimasta.

E la madre era arrivata con le mani sui fianchi. Sembrava avesse messo anch'essa da parte i buoni intenti, guardandola accigliata.

«Adele, stai perdendo un sacco di giorni di scuola. Devi invertire questa rotta! Io veramente... io non posso pensare che con quello che stiamo passando in questi mesi, tu non possa mettere assieme quel tanto di autonomia per andare a scuola alla mattina e tenere anche solo una media decente, non dico ottima, ma per lo meno decente, come hai sempre fatto!».

«Mamma! Io non so cosa farci, io non posso andare in un posto che odio-».

«Ma tutti i ragazzi odiano la scuola! Tutti! Ti credi che ci andavamo volentieri all'epoca?! Ma per nulla! Eppure è meno peggio di quanto credi. E dovresti mettere da parte tutte quelle sciocchezze, concentrarti sullo studio. Gli stupidi, basta ignorarli!».

«Fai presto tu a dirlo, ai tuoi tempi non c'erano tutti questi modi per tormentare!».

«Basta che lo spegni! Ecco cosa puoi fare, spegnilo e puf! Nessuno ti tormenterà più!».

Sul punto di piangere, Adele tornò sotto le coperte urlando «Oggi non vado!».
E la madre sbatté la porta urlando «Fai pure come ti pare!».

Non era certo soddisfatta di rimanere in cassa integrazione, con il rischio che le dicessero di stare definitivamente a casa. Il fatto che ci fosse Adele tappata in camera, stesa nel letto, la irritava ancora di più. "Ecco la differenza" pensava, "io al problema reagisco lavando, pulendo, riordinando, facendo qualcosa per tenere il cervello occupato. Lei vegeta nel letto!".

La figlia si accorse di quanto stava avvenendo oltre la porta: i rumori secchi della madre e gli sbuffi, le cose che cadevano perchè spostate troppo in fretta.

Le tornarono le lacrime, per quanto si sentiva incompresa. E tornò a pensare che non poteva affrontare tutto quello da sola.

Adele: Ciao

Scrisse a Davide, che ci mise abbastanza a rispondere.

Davide: Ciao

Adele: Ti va di parlare?

Davide: Ok

Adele: Che fai?

Davide: Il prof interroga e io cazzeggio

Adele: Io sono a letto, non mi sento bene

Davide: Mi dispiace

Adele: Mi sento di non meritare quello che sta succedendo

Davide: Mi sembra che te la sia cercata parecchio. Adesso una singola voce non può far nulla e nemmeno due. Scusa sennò mi becca a messaggiare

Adele: chi è?

Davide continuava ad evitarla, ad essere rigido, poco empatico. Il contrario del ragazzo di un paio di mesi prima. Forse era vero che era dolce e carino solo se aveva un proprio tornaconto. Forse era vero che era semplicemente "Un puttaniere" come dicevano le sue compagne.

Gira e gira, quella che era rimasta sempre fedele a sé stessa era stata proprio Sofia. Ma lei stava male alla sola idea di parlarci, di vedersi davanti una ragazza così bella, decisa e indipendente, che si limitava a commentare le battute stupide dei compagni e le difficoltà di essere queer. Ma per il resto, la teneva a distanza.

Una volta avrebbe messaggiato Costanza, ma non se la sentì. La sua situazione divenne così insopportabile che si decise a messaggiare Sofia quando oramai era passata l'ora di uscita dalla scuola.

Adele: Ciao

Sofia: Ciao, come va?

Adele: Male

Sofia: Che succede?

Adele: ho detto ai miei tutta la storia. Che mi sono vista con te. Che la gente non capisce. Che sto male.

Sofia: E loro l'hanno presa male.

Adele: Si. Ma tu come hai fatto?

Sofia le mandò un vocale «Ehi, mi dispiace dei casini. Se mi chiedi come ho fatto beh, non ho fatto. Non mi interessa che la gente debba avere l'annuncio ufficiale. Non è come diplomarsi, o prendere la patente. E' il mio essere, e a nessuno devo un annuncio in bello stile».

Adele: sento che mi stanno abbandonando tutti

Sofia: abituati, è solo un passaggio verso persone che ti vogliono più bene

Adele: avercene

Sofia pensò a lungo ad Adele. Pensò ai casini che poteva avere in testa. Le ferite che ogni singolo commento e ogni battuta le infliggevano. Ma non voleva essere l'infermiera di nessuna, non voleva accollarsi i problemi psicologici di Adele.

"Ma noi non stiamo assieme" aveva detto Adele, dopo la scena con quell'idiota di Alessio. Lei l'aveva lasciata in mezzo al ciclone, lei l'aveva portata forzatamente a combattere una battaglia non direttamente sua. Senza chiederle il permesso.

Sarebbe bastato dire «Stiamo prendendo una cioccolata. Abbiamo una vita anche noi, coglioni» o qualcosa del genere, per liquidare uno come Alessio, invece lei, incurante di chi aveva affianco, aveva ragionato solo per sé stessa, preferendo lo scontro e la provocazione.

Era caduta nel comportamento che negli ultimi anni, più l'aveva fatta stare male quando lo aveva incontrato negli altri: l'egoismo, il non saper pensare oltre il proprio naso, il mettere in difficoltà chi hai vicino.

Sofia: Ti va se ci vediamo?

Adele non credette ai suoi occhi, rilesse il messaggio cento volte. Si cambiò in quattro minuti e balzò fuori dalla stanza.

«Dove vai?» chiese la madre, allibita.

«Vedo una mia amica».

«Tu sei quella che era moribonda stamattina?».

«Le amiche servono anche a... tirarsi fuori da certe situazioni».

«E chi vedi?» insistette la madre.

«Un'amica».

«Magari quella che ce ne ha messo del suo a farti finire in questa situazione? Adele, è una decisione stupida. Non uscire» le intimò la madre.

«Voglio uscire, lo voglio, punto!» replicò, correndo fino alla porta e letteralmente scappando. Corse finché le ressero le gambe, poi fu costretta a rallentare, infine fermarsi, con la tremarella. Si sentiva uno straccio, uno stato d'animo che le rimase addosso finchè si lasciò cadere sul tram che la portava verso Sofia.

Scese dal mezzo come se ne fosse stata espulsa con un colpo di tosse. L'altra la aspettava appoggiata ad un muretto, incrociando e disincrociando di continuo le gambe. Quando la vide, così abbattuta, pensò che aveva fatto bene a lanciarle quel salvagente.

L'impressione aumentò quando Adele letteralmente le cadde addosso scoppiando a piangere.

Singhiozzava talmente tanto da non essere in grado di articolare nemmeno una frase di senso compiuto. Così Sofia le disse semplicemente «Monta su» nella bici con cui era arrivata alla fermata.

Si sentì stringere per tutto il viaggio fino a casa propria, entrò da una porta finestra lasciata accostata e si tirò dentro Adele, che fu precipitata nel magico mondo della Stanza di Sofia. Era piuttosto incasinata, si vedeva che gli esseri umani adulti ne rimanevano fuori per la maggior parte del tempo. Non c'erano foto se non di lei, decisamente più piccola, con un cane. Nient'altro che facesse riferimento a suoi rapporti emotivi con qualcuno.
Eppure dava l'idea di esserci gran parte della sua vita, lì dentro. O perlomeno gran parte di ciò che le interessava nella sua vita.

Adele era uno straccio, messaggiava con la madre che un po' provava a chiamarla, un po' le mandava messaggi per chiederle dov'era e cosa faceva.

«Molla 'sto telefono» le intimò Sofia, prendendoglielo dalle mani e nascondendolo sotto un cuscino, poi la fissò negli occhi «Senti, mi dispiace. Alla fine è stata colpa mia tutto questo».

«Ma no, tu non c'entri!».

«Si che c'entro. Mi sono permessa di decidere per te, mentre sfottevo Alessio e i suoi amichetti. Non dovevo» poi fece una lunga pausa, «Scusa».

Adele non seppe nemmeno come rispondere, semplicemente tirò su con il naso. Sofia riprese:

«Sono entrata in questo loop che i sentimenti non esistono, che la gente sfrutta la gente solo per il proprio tornaconto personale. Che esistano solo gli Alessio o le Giada, e non ci sia posto per le Sofia di un anno e mezzo fa, ma solo per le Sofia di Adesso».

L'altra la guardò un po' spaesata.

«Te l'ho detto, i miei rapporti sentimentali sono stati pessimi, la Sofia di un anno e mezzo fa è stata presa a schiaffi dall'egoismo delle persone. Non mi piace essere presa a schiaffi. Se mi vedi dura, non è colpa mia».

«Io non ti vedo dura, io ti vedo fantastica» mormorò Adele, «Io ogni giorno che passa, ecco, penso sempre più di... amarti».

«Stai scherzando?» chiese Sofia, agitandosi sulla sedia.

«No, io... io lo penso da un sacco di tempo. Sono stata senza di te in questi giorni ed è stato uno schifo, e quindi beh, ci sta che tu non mi ami, che tu voglia essere magari anche solo una amica. Però io dovevo dirtelo, ormai era un peso troppo grande».

Sofia combatté contro la parte razionale del suo cervello, che le elencava le volte in cui era rimasta bruciata dagli slanci emotivi. Eppure Adele le sembrava diversa. E anche solo quella ammissione di presunto amore, fatta in quel momento, dopo che lei l'aveva tirata dentro quel casino, le parve vera, autentica, lei che avrebbe potuto odiarla in eterno per averle fatto precipitare addosso quella valanga di commenti e battutine idiote sul suo orientamento.

La abbracciò, non le disse «Ti amo», non le disse «Non ti amo» ma la tenne stretta, come a far gocciolare via attimi tristi e difficili, in attesa di attimi migliori, che portassero sorrisi.

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