13/09/2021

La porta si chiuse alle sue spalle. Adele ci si appoggiò contro.

Il cuore le batteva più forte di quello che avrebbe dovuto. Sentì un dolore che partiva dalle scapole e saliva alle tempie. Era un dolore vago, ma c'era e lo conosceva benissimo. Quel dolore che la attanagliava ogni volta che si sentiva fuori posto, ogni volta che era costretta a fingere di essere qualcuna che non era.

«Guarda quello gnocco di Davi! Ade, dai, guarda!» aveva insistito Costanza.

Lei aveva guardato per farla contenta, ma non le interessava.

Ma l'amica aspettava un commento, qualcosa.

«Proprio gnocco Costy, mamma mia! Ma dove li ha presi tutti quegli addominali?» aveva buttato lì.

Ecco, il compitino fatto. Ecco salire il dolore. Ecco dover chiedere di andare in bagno, con la piccola lametta da cutter.

Anche quella volta aveva finto bene ma anche quella volta ne stava pagando le conseguenze. Il suo corpo si rifiutava di fingere ma la sua testa non poteva farne a meno. Il suo corpo le mandava segnali di malessere, e lei non poteva fare altro che coagularli.

Afferrò la lametta e incise la pelle chiara del polso. Il primo passaggio bruciò, anche il secondo. Poi bastò pochissimo per far lentamente sgorgare il liquido rosso e per darle quella fitta di dolore che stava cercando. Era il dolore che portava via il malessere. Era il dolore che le regalava finalmente un attimo di quiete prima di ricominciare quella sua esistenza in cui non riusciva a fare bene nulla, nemmeno accettarsi.

Adele era attorniata da persone a cui non sapeva dire la verità su sé stessa. Aveva quindici anni e nella testa sentiva di non sapere chi era, aveva paura di conoscersi e aveva paura della risposta definitiva che avrebbero dato il suo corpo e la sua mente. Aveva paura persino a toccarsi perché sarebbe potuta finire ad avere quei desideri di cui tanto si vergognava.

A casa sua, tutti gli argomenti che facevano parte dell'orientamento sentimentale erano banditi, secondo i suoi genitori era "troppo piccola" per parlare di certe cose con cognizione di causa. Mentre si sprecavano serie televisive, libri e fumetti per spingere gli adolescenti a non avere paura dei propri sentimenti e dei propri orientamenti.

Per i genitori, quel fiorire di momenti mediatici in cui salivano alla ribalta temi come l'identità di genere e la molteplicità di orientamenti sentimentali, erano semplicemente TV spazzatura, realizzata ad arte per fare polemiche sterili e distrarre il pubblico dai "veri problemi dell'Italia".

Anche Adele pensava che i media e la realtà fossero due cose ben distinte: parlare dalle scene delle serie o dalle pagine dei libri era facile. Farlo sul serio non lo era per nulla. E chi ci riusciva non lo faceva per moda, non era di moda sentire ridacchiare quando passavi o sentire certe battute su chi aveva avuto il coraggio di vivere i propri amori scopertamente.

Restò lì nel cubicolo del bagno, guardò formarsi sempre più lentamente la goccia che poi scivolava sul palmo.

Alla fine si tirò su, si lavò delicatamente i polsi, applicò lo scotch trasparente satinato e ci fece scorrere sopra i braccialetti. Abbassò la manica della maglietta lunga e la tenne stretta con le dita.

Guardandosi allo specchio, si disse che non aveva un bell'aspetto in quel momento: mostrava forse meno dei suoi sedici anni, aveva un aspetto modesto e discreto. I suoi lineamenti dolci e gli occhi castani, riflessivi, erano alterati dalla tristezza che la pervadeva dentro quel bagno. I suoi capelli castani le cadevano stanchi sulle spalle. Non si vedevano tracce del suo sorriso sincero, seppur non luminoso, nascosto da qualche parte, sostituito da una espressione di vago intontimento.

Aveva del sonno arretrato: la notte appena passata aveva fatto selvaggiamente tardi leggendo gli sfoghi delle persone della Community LGBTQIA+ verso i loro compagni, i loro genitori e in generale con chi le trattava di merda e faceva domande inopportune e stupide.

Avrebbe voluto far parte di loro, poter vivere serenamente anche gli sfoghi che per il momento si limitava a scrivere a volte sul cell, per poi cancellarli immediatamente, e quel continuo nascondersi e cancellare tracce la portava lì, a scotcharsi i polsi dopo aver fatto defluire il suo malessere dentro le gocce rosse.

Si soffiò il naso, si fermò a prendere una bottiglietta d'acqua. Tornò in classe.


****


Adele, come tutte le mattine, prese il pullman che la portava al Liceo Linguistico di Cesena. Prendeva lo stesso pullman che prendevano i suoi genitori, che si erano visti la prima volta proprio sopra quelle vecchie balene arancioni.Quando parlavano dell'epoca in cui si erano conosciuti, i genitori sembravano tutti allegri specialmente quando quei discorsi venivano fatti con gli amici e i conoscenti. Quando erano con Adele, preferivano concentrare il discorso sulle insidie dei pullman, sui personaggi poco raccomandabili, sui furti dagli zaini, sugli stupefacenti.

Adele infatti aveva un problema piuttosto serio: era cresciuta in una bolla di paura. Paura di farsi male, di ammalarsi, di fare brutte conoscenze. Paura di non essere sufficientemente pronta, di deludere i genitori. Paura di mostrare di avere paura. I genitori avevano persino provato a indirizzarla all'alberghiero poco distante da casa, ma le facce poco raccomandabili che giravano da quelle parti avevano fatto naufragare il progetto.

Arrivati alla fermata successiva, salì Costanza, che era sempre stata la sua migliore amica di scuola. Un'amica che non era mai andata oltre la sfera scolastica e zone limitrofe: le uscite assieme erano sempre state poche, e i caratteri negli ultimi tempi avevano iniziato a divergere. Fino a un paio di anni prima si poteva considerare una sorta di cane da guardia di Adele, un persona a cui i genitori dell'amica affidavano la figlia, sicuri di metterla in buone mani. Ma Costanza, di base, aveva molte meno paure, ed era pian piano cambiata, facendo sempre più fatica nella parte della brava amica.

Ogni giorno, anzi, mostrava maggiore insofferenza nei confronti delle paure di Adele. Lo si vedeva anche su quel pullman scolastico, con le due amiche a fianco, ma slegate se non per le cuffie che, come un cordone ombelicale, le tenevano unite. Un filo musicale che, una volta scese, veniva reciso dall'arrivo nel cortile della scuola. Qui i discorsi non prettamente scolastici, che erano ormai la totalità, costringevano Adele piuttosto a margine. Spettatrice dei racconti delle altre, faceva vagare gli occhi in giro lasciando un orecchio dentro al parlottare delle amiche.

Eccolo là in fondo mister Davide, quello che faceva letteralmente sciogliere il cuore a diverse sue compagne. Quello che ogni tanto messaggiava anche Adele, mettendola in difficoltà, facendola rispondere il minimo indispensabile.

Si stava avvicinando al suo diciottesimo compleanno, era una figura che non poteva non catturare l'attenzione, con i suoi occhi penetranti, la sua chioma folta e riccia, l'altezza e la postura sicura che riflettevano un'aura di fiducia in sé stesso.


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Davide era sempre stato un fenomeno nell'arte della conversazione, in grado di parlare con chiunque e metterlo rapidamente a proprio agio. Era la sua abilità nel trovare il registro giusto che lo faceva sembrare sempre al posto giusto, quando c'era da intrattenere. Questo perché non era giullare: gli stupidi, in quel cortile, erano ben altri.

Adele sapeva che Davide era quello che sua nonna definirebbe "un rubacuori" e che qualche sua compagna rimasta un po' scottata invece preferiva definire "puttaniere" per la disinvoltura con cui passava da una tipa all'altra.

Un paio di volte incrociò il suo sguardo.

Pochi istanti dopo arrivò un whatsapp.

Davide: Ti piace il panorama?

Lei non rispose, era sicura che tanto lui aveva mandato messaggi carini ad almeno dieci ragazze, quella mattina. Cercò di interessarsi agli argomenti trattati dalle amiche: parlavano di una storia travagliata tra una tizia di quarta e il suo ragazzo che pareva le avesse detto che non voleva una storia seria, ma poi la trattava come materiale di sua proprietà.

I maschi erano ben stronzi a volte. Lo pensava anche Adele, nonostante non avesse mai avuto relazioni. I ragazzi la spaventavano perché avevano due volti: dal vivo stavano a distanza e tutt'al più facevano gli idioti per mettersi in mostra, quando si avvicinavano, davano l'idea di farlo più per vincere una scommessa che per reale interesse. Via social invece si permettevano di scrivere cose sopra le righe, non facendo sconti.

«Mi hanno detto che Sofia è andata con Benny Benetti a ferragosto» disse una sua compagna.

«Ma sei seria? Pensavo che le piacessero più le tipe» replicò Costanza.

Qualche testa si girò verso gli altri gruppi. Cercavano Sofia, che tanto era abituata a queste improvvise esplosioni di interesse verso di lei. Nulla di nuovo, continuò a fumare tranquilla e scambiare qualche battuta con quelli della sua classe.


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«Lei è bisex solo per andare con più gente. Lo sanno anche i muri» ridacchiò Alessio, appoggiato al muro, «Benny, ma l'hai messa in giro te la voce che te la sei fatta?».

«Io? No, non ne ho idea» replicò Benetti, cercando di mascherare il desiderio intenso di cambiare argomento.

«Ieri sei andato dall'estetista per le sopracciglia, la cremina idratante te la dai dopo ogni allenamento. Ti manca che ti fai leccare la figa dalla Sofy» replicò Alessio, per prendere in giro l'amico che si curava gelosamente il corpo.

«Non rompere che se la Sofy ti mette un like, vieni nei boxer senza toccarti».

«Credici, fighina. Per farmi venire ci vuole ben altro che un like. Ma sulla Sofy un giro ce lo farei» concluse Alessio, ironico.

Molte ragazze, tra la fine delle medie e l'inizio delle scuole superiori, sperimentano sentimenti e sessualità. Non c'era nulla di strano, ma la maggior parte ne dà notizia solo appunto come "esperimenti", e torna ad occuparsi di ragazzi. La bisessualità di Sofia, annunciata e mantenuta orgogliosamente, non era un semplice orientamento, era benzina per il motore delle fantasie erotiche di quei ragazzi, che le dedicavano pensieri parecchio spinti che probabilmente non avrebbero fatto se non avessero conosciuto di lei quell'aspetto. "Bisessuale" in fondo era solo una parola, che riempivano di immagini a loro piacimento, prese direttamente dalle omonime categorie dei siti porno che visitavano a tempo perso. Sofia non era una ragazza dalla bellezza splendente: non aveva forme procaci, non aveva capelli lunghi e ondulati, pelle perfetta e tutto l'armamentario da protagonista di teen fiction americane. Eppure di Sofia parecchi parlavano.

Dei passi si avvicinarono, i due ricominciarono a cazzeggiare per i fatti loro. Prima si aprì la porta a fianco e poi si aprì quella del bagno dei maschi.


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