Percezioni

Diletta_Cafaro

"La sola cosa peggiore di non avere la vista è di non avere visione"
- Helen Keller

Ouverture

Lungo la strada i lampioni erano in gran parte fulminati. La luce soffusa, l'ultimo schiocco della sua lingua per salutarmi.

Ci pensava il vento a tenermi sveglio; un vento terribile. Stormi di uccelli gemevano nel cielo e appollaiati sopra i nidi e stesi sull'asfalto fresco. Il buio era confortante. Tutto sembrava così calmo, così calmo, così calmo...

Verse

Dicembre, tredici.

Le lenzuola mi stritolano e mi sembra di aver costruito una ragnatela in cui sono rimasto imprigionato.

Nero. Ovunque io mi giri, nero.

Riesco a respirare a malapena, con degli scatti mi districo fra il lungo panno morbido. Poi, mia madre mi chiama.

‹‹Dove sei?››

‹‹Sono qui.››

"Sono qui" dice, ma mente. Non c'è, io non la vedo.

‹‹Sono qui.››

E piange. Mi chiedo il perché.

‹‹Perché piangi?››

‹‹Sono qui.››

E poi: ‹‹Va tutto bene.››

Certo che va tutto bene, cosa non dovrebbe andare bene? Ma le coperte non mi lasciano e lei non accende la luce.

‹‹Dove siamo?››

‹‹Va tutto bene.››

‹‹Dove siamo?››

‹‹Va tutto bene.››

È la voce di un uomo che parla questa volta.

Pre-Chorus

In mezzo alla strada due auto impilate. Chi pensa allo sterzo, chi pensa all'etilometro, chi pensa al destino; chi giudica e chi si rammarica.

Io avrei pensato volentieri a salvarmi ma non ero in grado. La mia macchina si era incrociata con un'altra macchina, e questa le era salita sul cofano con le gomme e tutto il resto.

Schianto violento, ma io non potevo saperlo. Avevo battuto il collo, non potevo sapere nemmeno questo: ero già svenuto. Ho sempre creduto che i poggiatesta fossero inutili; è così, nulla è utile finché non scopri a cosa serve davvero, e lo scopri sempre a tuo spese.

Gli altri stavano bene - grazie, Dio, grazie di cuore. Neanche questo avrei potuto sapere, me lo aveva raccontato l'uomo. Era un dottore, lui, e io un paziente. Un paziente cieco.

Niente giri di parole. ‹‹Cecità perenne›› aveva detto.

Mia madre piangeva ancora. Ripeteva: ‹‹Non è niente di grave.››

Ma era lei la prima a non crederci.

Chorus

La mia mano passa attraverso lunghe file di spighe dorate, piantate in un'immensa distesa di campagna e spuntate dal suolo durante una calda domenica di fine giugno. Credo di esserci stato da bambino, o forse è solo un'impressione.

C'è anche lei. Schiocca la lingua vicino al mio orecchio ma non capisco cosa significhi. Non ha importanza.

Sento come se le nostre anime stiano uscendo dai corpi. Ora vagano, prive di sostanza, nell'aria.

Un gruppetto di facce candide e lisce, poste come addobbo sopra vestitini celesti, canta una vecchia canzone - mio padre aveva un vinile; gli ho sempre voluto bene - ed è come se ogni angelo del paradiso abbia abbandonato il firmamento per circondarmi in quel luogo ameno.

Il sole illumina l'orizzonte azzurro, il cielo è saturo di nuvoloni lattei e innocui, i tronchi marroni degli alberi con gli animali che si arrampicano, le foglie verdi e i frutti vivaci.

Porto alla bocca una spiga di grano ma ha un cattivo sapore. Le foglie cadono, sembrano marce ed emanano un cattivo odore, eppure tutto ha gli stessi bei colori di prima. A terra sono spuntate ortiche, pizzicano le mie mani. E il coro ha aumentato il volume, ora urla.

Era un peccato che mia madre mi avesse svegliato, almeno nei sogni la mia vista non sarebbe stata compromessa. Invece, tutto ciò che c'era stato di bello nella mia vita, apparteneva ormai soltanto ai ricordi.

Le chiesi di togliere il vecchio disco.

Reprise

C'erano tutti. Nonni, zii, cugini di terzo grado. A dare pacche sulle spalle e sorridere. Non sapevo si potesse sentire un sorriso, non fino a quel momento. Si scoprono molte cose quando si è ciechi, cose di cui uno potrebbe fare a meno.

L'accoglienza era stata molto calorosa. Troppo calorosa. Percepivo quel calore sulla mia pelle: scottava, prudeva, tante meduse sul corpo. E tutti facevano più rumore del solito, perché quando uno non ci vede bisogna far sentire la propria presenza in altri modi. Temevano che io mi sentissi isolato, mi facevano compagnia come potevano; con le loro frasi fatte, le loro promesse di conforto, giurando che mi sarebbero stati accanto sempre, per sempre, qualunque cosa fosse successa.

E che altro doveva succedere oltre a quello? Ma era meglio restare in silenzio.

Durante la cena si scambiarono battute, sghignazzi, risate. Credevo mi stessero prendendo in giro. Fingevano che non fosse successo nulla; in effetti era vero, a loro non era successo nulla, ma a me...

Seduta al mio fianco mia madre mi imboccava.

‹‹Apri la bocca›› diceva a intervalli regolari.

Capii di essere regredito. "Forse sarebbe stato meglio" mi dissi; insomma, esserci nato. Chi è abituato a non avere niente, chi cresce in mezzo all'oscurità, beh, per lui è un problema minore. Così pensavo. Io invece avevo visto e non potevo dimenticare, avevo avuto ogni cosa e ora che mi restava?

Solitudine, quello era il mio bisogno. Fuggire, isolarmi. Ma, chi una volta chi un'altra, ognuno si prendeva il mio corpo con la forza e mi riportava alla realtà con cui non avrei più voluto avere contatti. Non la smettevano di ripetere che, insomma, la vita va avanti, no? E a tutto c'è rimedio.

‹‹A tutto fuorché alla morte›› dicevano. ‹‹Suvvia, ogni cosa è meglio della morte.››

E dovevo ringraziare Dio, così la pensava mia nonna, perché sarebbe potuto accadere di peggio: potevo rimanerci secco. Ringraziare Dio... lei e la sua religione! Ringraziarlo. Di cosa? Grazie, Dio, grazie di cuore.

E dovevo stare tranquillo, che loro erano lì con me, ad aiutarmi con altri proverbi, con altri messaggi di speranza. Poi, quando le frasi a effetto terminarono, si passò alle storie. Tutti hanno delle storie da raccontare, un insieme di storie che sono sempre peggio della tua, perché il male nel mondo si nasconde dietro ogni angolo.

‹‹Un mio vecchio amico meccanico, sapete, oltre che cieco c'è rimasto anche sfigurato, poveretto! Gli scoppiò la batteria di un'auto in faccia.››

E poi: ‹‹La figlia del postino, invece, poverina, ha perso tutte e due le gambe in un incidente in moto con il padre.››

E ancora il vecchietto che aveva perso tutti i denti cadendo dalle scale, e quella ragazzina a cui da piccola avevano diagnosticato una malattia genetica e adesso, a vent'anni, era sordomuta, e allora volevamo parlare di quel povero Cristo senza nome che oltre ai problemi cardiaci aveva anche un cancro al cervello?

‹‹Dai›› dicevano. ‹‹Dai che c'è chi sta peggio.››

Come se questa frase avesse un significato concreto. Se avessi potuto scambiare il mio udito per la vista! Gli occhi si chiudono, le orecchie purtroppo no.

Mi alzai e, tastando il muro, raggiunsi la mia camera. Sul letto ascoltavo la musica, non c'era molto altro che potessi fare.

Bridge

Seduto su una panchina alla stazione riflettevo sui colori.

"Magari è vero che nel Guadalcanal la linea che divide un uomo dalla sua morte è rossa e sottile" pensavo. Non volevo di certo mettere in dubbio le affermazioni di Terrence Malick, né quelle di James Jones. Specialmente lui doveva saperlo, di sicuro meglio di me, perché nel Guadalcanal c'era stato e senza dubbio aveva imparato come funzionassero e di che colore fossero le linee. E forse aveva ragione anche Kipling: la sottile linea rossa divide la lucidità dalla follia. Io non lo sapevo - non avevo mai saputo niente - eppure credevo che la linea divisoria fra lucidità e follia fosse sottile, certo, ma mimetica, non rossa: io non la vedevo - ma che volevo vedere, io?

Comunque ci sono posti in cui le linee non sono né sottili né rosse. Lì, alla stazione, dove tutti passano almeno una volta nella vita, lì ci sono spesse linee gialle fosforescenti, pitturate a terra e ben visibili perché dividono la vita dalla morte. E, come se non bastasse, ogni tanto c'è una vocina che ti ripete di non superarla, quella linea. Ma chi vuoi che ti fermi se hai voglia di farlo? È solo un po' di pigmento sparso a terra, non la muraglia cinese.

In tre mesi avevo imparato a cavarmela da solo. Non che questo mi avesse reso felice, anzi, ogni giorno era più deprimente di quello prima. La mattina c'era mia madre ad accompagnarmi a scuola ma il pomeriggio lavorava e io tornavo da solo. Tutti disposti a darmi una mano, all'inizio, soprattutto i miei amici; ma ci si stanca presto del menomato, e allora prendevo l'autobus, accompagnato dalla solitudine. Quel giorno, però, avevo altri desideri. La stazione era a due passi dalla scuola.

Immaginavo quella striscia gialla sul pavimento mentre aspettavo il treno che mi avrebbe portato lontano, lontano, lontano. Avevo sentito dire che esistono sanzioni per chi si suicida sui binari, per via dei rallentamenti, dei ritardi, eccetera eccetera eccetera. Amen. Al morto non possono mandarla, così mentre i familiari dovrebbero piangere in ricordo della vittima non fanno che maledirla perché, dopotutto, un cappio costa molto meno. Forse era soltanto una leggenda metropolitana, non conoscevo nessun responsabile delle ferrovie a cui chiederlo. Comunque no, non l'avrei mai attraversata, non volevo rischiare di regalare a mia madre, come mio ultimo gesto a questo mondo, una multa da morto: non si meritava tanto. "E poi," pensavo, "se dovesse passare un bambino o qualche altra persona? Non sarebbe bello avere pezzi di materia grigia addosso". Senza considerare la mia codardia. Sentirsi schiacciare lo sterno da qualche tonnellata di metallo non rientrava nei mie intenzioni; magari del Valium, Xanax, Prozac, anfetamine o un mix perfetto di quei tanti ingredienti miracolosi.

Non c'erano nemmeno treni in transito. Sarebbe dovuto passarne uno entro due minuti ma, ovviamente, era in ritardo. Che qualcuno ci si getti o meno, i treni sono in ritardo. Così me ne andai in cerca di un altro luogo.

Sulla via di casa c'era un vecchio ponticello, alto nemmeno tre metri, di quelli che non si sa come fanno a non crollare. Io lo speravo, che crollasse, lo speravo con tutto il cuore.

In quel periodo il fiume doveva essere in secca. Se mi fossi gettato di testa, au revoir e bon voyage.

Ricordavo la vista da quel ponte, era magnifica. Peccato non potessi godermela. Se non fossi stato cieco, quello sarebbe stato il luogo ideale per il mio suicidio. Le pistole fanno casino, sporcano e costano, il cappio al collo è una scelta molto insicura - e se poi non si spezza? Non è bello soffocare - e gettandosi da un palazzo non c'è che smog e grigio e blocchi monolitici di case incrostate dal tempo. Dal monte, invece, si vedevano tutte la colline intorno alla città. Non trovavo conforto neanche nella morte: insomma, dire addio al mondo con un bel panorama è decisamente più poetico che gettarsi nella profonda oscurità di difettosi nervi ottici.

Al mio fianco il guardrail era gelido. Le mie mani, ormai eccessivamente sensibili, percepivano il freddo di quell'acciaio liscio. Lo scavalcai con la gamba destra, alzai la sinistra e...

Finale

Le sentii. Proprio sotto di me, era come se cantassero. Le onde del fiume. Spumeggiavano tranquille, ignare del disturbo che avrei presto provocato loro.

Eppure era periodo di secca. "Forse," pensai, "con gli occhi non ho mai visto l'acqua, e invece posso sentirla con le orecchie". Allora capii. Compresi che quella dei cinque sensi non è che un'enorme menzogna: non esistono i sensi, soltanto segnali e percezioni che il nostro cervello controlla restituendo messaggi al corpo; e ogni percezione si fonde alle altre, così un fiume si vede come si ascolta, si tocca, si respira, si assaggia. Sinestesia generale. Ascoltando quelle onde compresi che niente era perduto.

I miei parenti avevano ragione, pur nella loro ignoranza - anche l'ignoranza ha delle virtù imprevedibili. Era vero, a tutto c'è rimedio. Potevo ancora fare tutto: toccare il mondo, le persone. Posso farlo ancora, a cinquant'anni di distanza. Posso ascoltare una bella canzone e piangere.

La cecità ha sprigionato la mia vista; è stata una benedizione. Posso creare il mio mondo, la mia realtà individuale, plasmarla come meglio credo: vedo ciò che mi piace vedere, tutto il resto non ha importanza.

Forse è questo ciò che avrebbero dovuto dirmi: che c'è qualcosa di meglio, non qualcosa di peggio. Ma probabilmente non avrei ascoltato comunque, certe cose bisogna comprenderle da soli, bisogna viverle.

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