Capitolo 3
Ora, mi sento come se
stessi aspettando qualcosa che so non
arriverà mai, perché adoro illudermi e
sperare, ti senti più vivo mentre lo fai
- Charles Bukowski
Panico.
Ero completamente nel panico.
L'ansia non faceva altro che accrescere, provocandomi tremiti lungo tutto il corpo.
L'angusta mano di mio padre, posta sulla mia spalla, era stretta in una morsa ferrea, mentre percepivo i suoi occhi inchiodati su di me.
Lentamente voltai il capo verso l'uomo seduto accanto a me, arrangiando un finto risveglio. Distesi le braccia in aria, come se mi stessi stiracchiando, sbadigliai e solo dopo rivolsi a mia padre uno sguardo assonnato, stropicciandomi gli occhi così da rendere il mio teatrino ancor più credibile.
«Papà..ma che ore sono? Che succede?»
Inclinai lievemente la testa di lato e osservai la sua figura, parzialmente illuminata dai chiari raggi della luna. Nonostante l'abbigliamento buffo di mio padre, i tratti del suo viso mi parvero più duri rispetto alla sera precedente. Gli occhi erano talmente socchiusi che faticavo nel vederci dentro l'iridi; le labbra rosee, invece, erano schiuse, come se cercasse in qualche modo di darmi una risposta che non tardò ad arrivare.
«Tesoro, sono le tre del mattino. Non so cosa tu abbia sentito o visto, e sappi che non voglio rimproverarti nel caso. L'importante e che tu non ne parli ad anima viva» prima di proseguire emise un respiro profondo e abbassò lo sguardo sulle sue pantofole blu. Era teso; lo percepivo dalla vena gonfia, pulsante, sul collo e dal concitato gesto di strofinare le mani sul tessuto felpato dei pantaloni.
«A causa di alcuni clienti sono dovuto entrare in contatto con una cerchia ristretta di persone. Non sono delinquenti, semplicemente il loro modo di fare e un po' anticonvezionale.»
Nei suoi occhi lessi preoccupazione, timore che potessi non guardarlo più nello stesso modo. D'un tratto, però, il suo sguardo si addolcì, probabilmente nel tentativo di rassicurarmi.
Con una mano mi accarezzò lo zigomo sinistro regalandomi, poco dopo, un lieve bacio sulla fronte, uno di quei baci che nella normalità sanno di casa e sicurezza. In questo caso, però, non lo percepii nella stessa maniera; sapeva di segreti nascosti, di cose non dette, e non mi piacque affatto.
Nonostante ciò, decisi che quello non fosse il momento adeguato per indagare... avrei ottenuto le mie risposte a momento debito.
Abbozzai un sorriso timido, un sorriso che nascondeva una tempesta interiore, e dopo aver ricambiato il bacio di mio padre mi diressi a passo svelto nella mia stanza. Passai la notte ad arrovellarmi, faticando a metabolizzare ciò che avevo vissuto quella tarda notte, fino a quando non caddi un un sonno profondo.
La mattina successiva, dopo due ore scarse di sonno, mi svegliai intorno alle sette causa dell'assordante suono della mia sveglia. I primi spiragli della luce mattutina si erano addentrati nella mia stanza, augurandomi un buongiorno.
Mi alzai svogliatamente dal materasso, ancora stonata dalla notte insonne appena trascorsa. In casa regnava il silenzio più totale, la quiete. Attraversai lentamente il grande soggiorno, parzialmente illuminato dai caldi raggi del sole, osservando di sottecchi la mia gatta sonnecchiare su uno dei due divani posti al centro della sala. Proseguendo diritta, qualche istante più tardi, mi addentrai nella cucina e mi catapultai verso la macchinetta del caffè. Il mio corpo necessitava caffeina, in maniera immediata.
Con attenzione, sperando di fare il minor rumore possibile per non svegliare nessuno in casa, afferrai la mia solita tazza dal mobile e la posizionai appena sotto la bocchetta della macchinetta. Azionai l'elettrodomestico e, seguito da un rumore fastidioso, fuoriuscì del liquido color nocciola, scivolando delicatamente lungo la parete della mia chicchera. Il delizioso, ma pungente, aroma di caffè pervase la stanza, inebriandomi. Afferrai ciò che necessitavo per la colazione e mi andai a sedere su una delle sei sedie poste intorno al tavolo. Versai un goccio di latte, tingendo di bianco lo scuro colore del caffè, aggiungendoci in seguito due cucchiaini di zucchero. Lo bevvi in tranquillità, sgranocchiando qualche biscotto, mentre scorrevo le notizie del giorno sullo schermo del mio iPhone.
Un acuto miagolio richiamò la mia attenzione facendomi voltare il capo verso l'ingresso della cucina. Un piccolo batuffolo di pelo dagli occhi cobalto si avvicinò, con passo felpato, all'isolotto in marmo posto affianco al tavolo.
«Oh ciao Miele, sveglia anche tu vedo. Mi fai compagni mentre finisco di fare colazione?» Le domandai dolcemente. Con una mano presi ad accarezzarle il muso, passando i polpastrelli sul soffice pelo dorato. Di tutta risposta la sua gola prese a vibrare, si acciambellò sulla tavola di pietra ed, emettendo fusa ininterrottamente, si addormentò. Osservai con dolcezza la figura della micia baciata dai caldi raggi del sole che si intrufolavano dalle vetrate della stanza.
Dopo quasi una mezz'ora passata in quell'ala della casa, recuperai le stoviglie che avevo sporcato per il pasto, le sciacquai e le posizionai nella lavastoviglie, dirigendomi successivamente in camera.
Spalancai le finestre sentendo immediatamente il profumo della fredda aria invernale scontrarsi con la mia pelle nuda. Quell'aria che sapeva di neve, di pulito.
Con la dovuta calma mi lavai e sistemai un minimo, giusto per rendermi presentabile agli occhi di quella giornata che mi stava attendendo a braccia aperte. Ma nella mia testa rimbombavano domande, quesiti per tutte quelle scene che mi apparivano in mente della notte precedente.
Chi era quell'uomo?
Che cosa voleva da mio padre?
O meglio, in che cosa si era andato a cacciare mio padre?
Cercai di scacciare dalla mente qualunque scenario tragico si stesse creando e ripresi, come se nulla fosse, a prepararmi.
Spalancai le porte della cabina armadio e scrutai attentamente tutti gli abiti che possedevo. Per quella mattina decisi di optare per un abbigliamento semplice; Indossai un paio di jeans chiari a palazzo, una maglia bianca, girocollo, a maniche lunghe ed un cardigan marrone, lungo, aperto. Come al solito indossai i miei amati stivaletti testa di moro, abbinati alla tracolla in cuoio, ed il cappotto di lana cotta.
Uscita di casa, salii in macchina e mi diressi verso la solita meta, Lodi. Dato che il caffè non aveva sortito ancora fatto il suo dovere, per svegliarmi, decisi di mettere una playlist da palestra a tutto volume nel piccolo abitacolo della vettura. Passai quei trenta minuti di tragitto a canticchiare canzoni e ad insultare gli altri automobilisti, sperando con tutta me stessa di riuscire a nascondere al meglio i dubbi e i timori che mi ronzavano in testa dalla notte precedente.
Quando lasciai l'automobile nel parcheggio privato dell'università, adocchiai vicino all'ingresso principale Filippo e Cristina aspettarmi con i loro zaini in spalla.
Mi stampai un finto sorriso in viso e li raggiunsi in un batter d'occhio, apparendogli alle spalle. Il mio amico dagli occhi nocciola fece un balzo in avanti, voltandosi poi poco dopo nella mia direzione portando una mano all'altezza del cuore.
«Dio Bea, volevi farmi venire un infarto per caso?» mi chiese con voce stridula la mia amica. Prima che potessi dire qualcosa, però, Cristina emise un respiro profondo, così da rendere il tutto più teatrale e io la guardai divertita.
«Lo sai che non si fanno queste cose alle otto, non sono reattiva come te di prima mattina» a quel punto non riuscii più a contenermi e scoppia in una fragorosa risata, una di quelle che ti fa dolere la pancia.
Quando ci riprendemmo da quella buffa situazione entrammo nella struttura, dirigendoci verso la scalinata centrale. Come previsto, dopo la conversazione di ieri avvenuta in macchina con Filippo, trovammo l'atrio principale della sede tappezzato da volantini, volantini riguardanti una festa... e non una festa qualunque: era la Unimi Party, la festa di tutta l'università.
Mi chinai sulle ginocchia per afferrarne uno che si trovava a qualche centimetro di distanza dalla mia scarpa e osservai attentamente le scritte su di esso.
We love 00's music
Quello che tutti gli studenti della
Statale stavano aspettando
Dalle Ore 20:30 fino all'alba
al The Big Bang - Via Roma 5, Milano
Vi aspettiamo!
Sbuffando, accartocciai il foglio di carta nella mia mano e, con disinteresse, lo buttai nel primo cestino che trovai sotto mano. Dopo l'accaduto di stanotte una normale ragazza della mia età avrebbe preso questa festa come uno sfogo, una maniera per fuggire da tutte quelle domande a cui non sapevo rispondere.
Ma io non ero mai stata un'animale da feste e soprattutto non mi sentivo ancora pronta di buttarmi nella mischia, in mezzo a tutti gli studenti di tutte le facoltà della Statale.
Feci finta di aver ascoltato i discorsi euforici di quei due scalmanati che avevo per amici riguardanti la festa che si sarebbe tenuta quella stessa sera. D'un tratto, attenta che notassero, afferrai il telefono dalla tasca dei jeans e lo accesi per vedere se ci fossero notifiche. Sbloccai lo schermo premendo sulla notifica di Instagram che mi era arrivata. Nulla di interessante.
Presa dal momento cominciai a scorrere le foto e i video pubblicati nell'applicazione, perdendomi nelle favolose vite della gente che seguivo.
«Tu ci sarai sta sera Bea, giusto?»
La voce profonda di Filippo mi ridestò dal mio momento di disattenzione prendendomi alla sprovvista
«Ehm, io in realtà...» sfregai nervosamente i palmi delle mani sui jeans mentre, invano, cercavo una qualsiasi scusa che avrebbe potuto condurmi alla vittoria di questa discussione che sapevo si sarebbe aperta da li a poco.
«Non provarci Bea, ieri me lo hai promesso. Ti avevo avvisato in anticipo proprio per questo, perché sapevo benissimo avresti provato a darci buca» mi riprese con fare inquisitorio «Inoltre sai meglio di noi che questa serata ti farebbe bene. Hai bisogno d staccare la spina, vivere con leggerezza. Da quanto non ti concedi serate di questo genere?»
Riflettei su quest'ultima frase.
Da quanto non mi concedevo una tregua?
Non ricordavo quando fosse stata l'ultima volte che mi ero concessa una serata in discoteca con i miei amici. Ed in quel momento non ricordavo nemmeno la motivazione del perché avessi smesso di andarci. Forse avevano ragione, pensai. Forse dovevo davvero darmi uno' di tregua e ricominciare a vivere oca una normale ventenne.
Malgrado però fossi consapevole di ciò e che avrei dovuto accettare quell'invito alla festa, dalla mia bocca non fuoriuscì un fiato. Rivolsi semplicemente uno sguardo dispiaciuto al mio amico che non aveva smesso di fissarmi attentamente, sperando in una mia qualsiasi reazione.
Notai una scintilla scorrergli negli occhi, come se tutto d'un tratto gli fosse venuta in mente l'idea del secolo. Ma fu talmente rapida che quasi mi convinsi di essermelo immaginata.
«Ci penso, va bene? Sfrutto queste ore di lezioni per pensarci e quando ci vediamo alle undici ti do una risposta definitiva» gli risposi di getto sperando che potesse salvarmi per qualche ora dalle grinfie del mio amico.
Lui accennò un sorriso speranzoso, per poi abbracciarmi dolcemente «Mi raccomando, confido in un tuo esame di coscienza» mi sussurrò all'orecchio.
Lo salutai con uno schiocco sulla guancia e, dopo aver salutato anche la mia amica, scappai nell'aula della lezione che mi aspettava.
Due ore e mezza dopo, poco prima che finisse la lezione di Fisiologia Veterinaria, mentre la voce del professore rimbombavano nella mia testa come una cantilena, sentii il mio telefono vibrare sul banco della mia postazione. Afferrai il telefono e, consapevole chi fosse l'emittente, lessi il messaggio
Filippo: Scusami se prima ti ho stressato scema, non volevo metterti all'angolo. Semplicemente è da tanto che non esci con noi la sera e devo ammettere che mi manca. Qualunque cosa tu decida di fare a me andrà benissimo. Ti aspetto giù con Cristina!
Gli riposi con una semplice emoticon del cuore e tornai a prestare attenzione agli ultimi minuti di lezione che mi rimanevano.
Quando il professore finì di spiegare, congedandoci, radunai nella borsa le cose che avevo tirato fuori per prendere gli appunti e mi diressi verso l'uscita dell'aula.
Oltrepassata la porta principale della stanza, mentre tiravo fuori dalla tasca dei jeans il telefono per avvisare i miei amici che li avrei raggiunti da un momento all'altro, andai a sbattere contro qualcuno, rovinando a terra.
«Ahia» mugolai toccandomi il fianco sbattuto contro lo spigolo delle scale. Alzai lo sguardo incontrando gli occhi cristallini di una ragazzo dai capelli biondi. «Oddio scusami, ti sai fatta male?» Mi chiese, porgendomi la mano in segno di aiuto.
Con una spinta di gambe mi alzai del pavimento, sfregando le mani sui pantaloni così da togliermi i residui di polvere, e lo guardai per qualche istante. Aveva un sorriso dolce stampatogli in volto e dei morbidi lineamenti, che si addicevano al suo modo di fare gentile, ma stonavano con la corporatura fiera e muscolosa.
«Tranquillo, non preoccuparti, non mi sono fatta nulla» gli risposi cordialmente, abbozzando in sorriso timido.
«Menomale, davvero scusami. Stavo rispondendo ad un messaggio e non ti ho proprio vista» dopo di che mi porse la mano «comunque piacere, Luca Marconi» disse stringendomi la mano in una morsa possente
«Beatrice De Giacomi» sorrisi ricambiando la stretta. Successivamente salutai educatamente il mio nuovo conoscente e scappai dai miei amici, che mi stavano aspettando nell'atrio principale della sede.
«È stato un piacere conoscerti Luca, ma ora devo scappare. Ci si vede in giro»
Lui sorrise, ricambiando il saluto, per poi svanire nella calca di gente che usciva dalle aule circostanti.
«Quindi che hai deciso di fare? Verrai con noi sta sera? Dai ti prego, ti prego ti preeeeego»
Stavamo camminando per le vie dei negozi di Lodi, prima di abbandonare il paesino e dirigerci alle rispettive case. Cristina non la smetteva di martellarmi di domande riguardanti la festa che si sarebbe tenuta quella stessa sera. All'ennesima richiesta, sbuffai estenuata dall'insistenza della mia amica.
«Va bene, verrò a questa stupida festa. Non ti sopporto più»
Cristina, tutta esaltata, cominciò a saltellare per strada, battendo le mani in aria come una bambina che aveva appena ricevuto il regalo tanto atteso a Natale, attirando gli occhi di tutti i passanti su di lei. Poi, d'un tratto, si fermò e fissò me ed il mio amico. Io e Filippo ci scambiammo sguardi confusi non capendo che cosa stesse pensando.
«Perfetto» esordì Cristina osservando l'ora sul display del telefono «sono le due e mezzo. Tu e Filippo tornate a casa a assieme, si è portato con se il cambio per questa sera. Vi preparerete a casa tua. Io vi verrò a prendere per le otto. Mi raccomando non fatemi aspettare, ma soprattutto» disse puntando un dito contro il nostro amico «voglio vedere Bea vestita come si deve, fai del tuo meglio» concluse ammiccando.
La mia amica continuò parlare fino a quando non ci trovammo nel parcheggio, davanti alle nostre macchine. Ci salutammo velocemente, dandoci appuntamento per le otto sotto casa mia, per poi dirigerci verso Milano.
Qualche ora dopo io e Filippo ci trovavamo in camera mia; lui frugava nella mia cabina armadio alla ricerca di qualche capo adatto alla serata, mentre io me ne stavo comodamente sdraiata a pancia in giù sul mio letto, osservando divertita il mio amico.
Come nei cartoni, lo vedevo scartare uno ad uno i miei vestiti.
Uno era troppo elegante.
Uno troppo formale.
Uno troppo lungo.
«Andiamo Bea, avrai pure qualcosa di adatto per la serata. Che fine hanno fatto i vestiti che usavi per andare a ballare?» mi domandò disperato il mio amico, dopo aver svuotato il mio armadio quasi per l'ennesima volta, borbottando qualcosa poi tra se e se.
«Oh finalmente. Ho trovato qualcosa che fa al caso nostro» esclamò contento uscendo dalla stanzetta con un vestito nero in mano. Erano un tubino nero, lungo circa fino a metà coscia; aveva uno scollo largo a barchetta, con le maniche lunghe a pipistrello e la schiena completamente nuda.
«Su provalo, non farti pregare» mi incitò facendo dondolare il vestito davanti ai miei occhi.
Lo rafferai e mi rinchiusi in bagno.
Osservai la mia figura nello specchio con l'abito nero indosso. Non ricordavo quando fosse stata l'ultima volta che avevo indossato quel vestito, ma mi calzava ancora a pennello; fasciava perfettamente ogni singola curva del mio corpo senza rendermi volgare e per la prima volta dopo lunghi mesi, finalmente, mi sentii carina.
Feci un lungo respiro, mi diedi un'ultima occhiata allo specchio per vedere se fosse tutto in ordine, e spalancai la porta del bagno. Dopo qualche istante di titubanza, camminai fino al centro della stanza sentendomi gli occhi color nocciola di Filippo puntati addosso.
«Sei bellissima Bea. Questo abito ti sta d'incanto» ammise lui, guardandomi con una luce strana negli occhi.
Le mie guance si tinsero di un rosso porpora e abbassai lo sguardo, spostando una ciocca di capelli, che mi era scivolata davanti agli occhi, dietro l'orecchio con un gesto nervoso.
Lo ringraziai, abbozzando un sorriso timido, non prestando troppa attenzione allo strano sguardo che prima mi aveva lanciato.
«Vai pure in bagno a cambiarti, io decido che scarpe mettere sotto questo vestito» gli comunicai, così da ottimizzare il tempo che avevamo a disposizione prima che arrivasse Cristina.
Curiosando nella scarpiera riesumai un paio di scarpe di cui mi ero completamente scordata dell'esistenza: un paio di tacchi bassi, a spillo, neri a punta.
Feci una prova lampo, così da vedere se ci stessero bene e mi soffermai a guardare il mio riflesso nello specchio.
Era il giorno del mio compleanno. Avevo organizzato una festa a casa mia per i miei diciannove anni. Edoardo era in sala che aiutava mia madre a sistemare le ultime cose, festoni e palloncini. Sentii d'un tratto qualcuno bussare alla porta della mia stanza
«Milla sei pronta?» Sorrisi a quello stupido nomignolo e feci entrare il mio ragazzo in camera con una strattonata. Ero in piedi davanti allo specchio e, quasi a fatica, osservavo a disagio la mia figura. In sottofondo il mio giradischi riproduceva la canzone "In your eyes" di Taska Black.
«Non credo che questo abito sia quello giusto per me Edo. Non mi piaccio molto» svelai le mie insicurezza al mio ragazzo che, di tutta risposta, mi cinse la vita e, osservando la nostra figura fusa in un tutt'uno, mi baciò dolcemente. Poggiò due dita sulla mia guancia, così da farmi voltare il viso verso di lui, e mi rubò un bacio casto. Un bacio che sapeva di casa, di posto sicuro, di amore.
«Sei la ragazza più bella che io abbia mai visto Bea, non scordartelo mai. E secondo il mio modesto parere questo vestito» si fermò qualche istante e, poggiando le mani sulle mie spalle così da spingermi lievemente indietro, osservò la mia figura con maggior attenzione.
Poi come se nulla fosse, come se non mi avesse appena mangiato con gli occhi, incendiando ogni centimetro della mia pelle con il suo sguardo infuocato, si riavvicinò al mio orecchio e mi sussurrò «si, ho fatto bene a regalartelo, mi fa proprio pensare a quello che ti farò questa notte».
Una strana sensazione si propagò dal basso ventre fino allo stomaco, causandomi un lieve giramento di testa. Appoggiai il mio corpo al suo, aderendo perfettamente alle sue forme, come due pezzi di puzzle perfettamente incastrati. Gli lasciai dei lievi baci sul collo, sfregandoci contro la punta del mio naso.
«Ti amo Milla» sussurrò appena al mio orecchio.
«Bea mi stai ascoltando?» Filippo, con una lieve scrollata di spalle, mi ridestò dai miei pensieri, riportandomi alla realtà. Non sapevo da quanto fosse li davanti a me, e non sapevo da quanto mi stesse parlando.
«No scusami ero un attimo distratta, che stavi dicendo?» gli chiesi mortificata, mentre al mio amico mi guardava preoccupato da qualche metro di distanza.
Solo in quell'istante, dopo averlo guardato con la dovuta attenzione, notai che si era pronto per andare alla festa. Indossava una semplice camicia bianca, che gli fasciava perfettamente il petto snello, accompagnata da un paio di pantaloni blu eleganti e un paio di mocassini del medesimo colore. Di rado porgeva tanta attenzione al suo abbigliamento, e vederlo così, da questa visuale, mi fece realizzare quanto fosse bello. Il viso squadrato, ma allo stesso tempo caratterizzato da lineamenti morbidi, con quell'accenno di barba curata, che gli conferiva un'aria più adulta, e quei capelli mori brizzolati che gli ricadevano disordinati sulla fronte; tutto di lui richiamava l'attenzione, dall'aspetto curato al modo di fare elegante ed educato.
In un'altra vita, forse più facile, senza segreti e delusioni e masochismo, un tipo come lui lo avrei desiderato al mio fianco, pensai.
Scossi la testa e ripresi a dargli retta. Sentivo la testa appesantita da quel ricordo, una lama nel petto che non smetteva di affondare, di squarciarmi l'anima in due.
«Sono le otto meno un quarto, se ti vuoi truccare ti conviene farlo adesso prima che arrivi Cristina. Sai come reagisce quando si arriva in ritardo» mi consigliò alzando gli occhi al cielo mentre pronunciava l'ultima parte della frase. Emisi una lieve risata e poi, a passo svelto, mi diressi i bagno per finire di prepararmi.
Un tocco di mascara, una sottile linea di matita nera, un glossa trasparente sulle labbra fu tutto quello che usai per truccarmi concludendo con degli spruzzi del mio amato dolce profumo Bouquet d'oro.
Alle otto precise, il suono emesso dal mio cellulare, avviso di una notifica di un messaggio appena arrivato, ci ridestò dai nostri pensieri. Afferrai borsa e cappotto ed insieme a Filippo uscimmo di casa. Dopo esserci salutati con i dovuti convenevoli mi sedetti affianco al posto del guidatore.
Prima di partire, però, Cristina mi osservò minuziosamente, rivolgendo uno sguardo di puro stupore al nostro amico.
«Filippo hai fatto un lavoro strabiliante con questa qui» esordì girata verso il ragazzo, indicandomi con il pollice.
«Hey, guarda che questa qui hai un nome» le risposi regalandole una lieve gomitata nel costato, abbozzando un broncio scherzo.
Ambi due presero a deridermi per l'atteggiamento piccoso che avevo assunto, rivolgendomi solo qualche istante più tardi un sorriso di sincera felicità nel rivedermi finalmente così, la vecchia me.
Con la radio accesa, discorsi intavolai e previsioni sulla serata che ci aspettava, la mia amica mise in moto la macchina e si diresse verso la festa.
Arrivammo perfettamente in orario. Il locale dove era stato organizzato l'evento era un vecchio podere a qualche chilometro di distanza dalla periferia di Milano, immerso nel verde della pianura padana. Quando imboccammo il vialetto per dirigerci verso l'imponente immobile, parcheggiando l'auto poco prima dell'ingresso principale, ci imbattemmo in un'ampia piscina interrata. Dai faresti interni provenivano giochi di colori caldi che si scontravano con la scura sfumatura di verde del giardino limitrofo. Alcuni stavano seduti a bordo vasca, dondolando le gambe dentro la calda acqua cristallina, sorseggiando qualche drink dal loro bicchiere di plastica; altri invece camminavano nello spazio circostante, chiacchierando ed ascoltando la musica, ancora non troppo alta, in sotto fondo.
Nel momento in cui ci addentrammo nella villa potei notare che, fortunatamente, non c'era ancora molta gente. La sala era principalmente popolata da ragazzi che bevevano o ancheggiavano a ritmo della musica riprodotta dalle casse del Dj. Qualche istante dopo, tra la gente, adocchiammo il ragazzo di Cristina, Federico, discorrere con un altro ragazzo al bancone degli alcolici. A passo svelto ci dirigemmo verso i due ragazzi e, quando fui abbastanza vicina da mettere a fuoco le figure dei ragazzi in maniera nitida, riconobbi lo sconosciuto affianco a Federico.
«Guarda un po' chi si vede» commentò il ragazzo guardandomi sorridente
«Ei Luca, che piacere vederti» risposi sorridendogli dolcemente, versandomi del gin-tonic nel bicchiere di plastica «non mi farai cadere di nuovo spero. Ho pure i tacchi sta sera, il rischio è più elevato»
Scuotendo il capo, sorrise alla mia provocazione promettendomi poi che sarebbe stato più attento durante la serata.
«Vedo che qualcuno conosce già il mio amico. Per gli altri, lui è Luca» spiegò educatamente Federico presentandolo alla sua ragazza ed a Filippo.
Rimanemmo tra di noi a parlare e bere per un tempo indefinito fino a quando la sala non fu gremita di persone.
Il ragazzo dietro la console faceva rimbombare a tutto volume, dai dobly surround a casse sparse per la villa, canzoni dance e techno. Luci stroboscopiche rendevano l'ambiente adatto ad una festa di quella portata, alternandosi in giochi di colori e luci che creavano una sensazione di stordimento totale.
La gente saltava, cantava, ballava, completamente trasportata dalle note delle canzoni riprodotte. D'un tratto nella stanza riecheggiò Stand Off di Memba e Cristina non riuscì più a trattenersi. Contro tutte le mie proteste, mi afferrò per un braccio e mi trascinò nel mezzo della pista da ballo.
«Lasciati andare Bea, fidati di me.» Mi urlò la mia amica all'orecchio, cercando di sovrastare quella canzone che tanto piaceva ad entrambe. Dopo qualche momento di titubanza decisi di ascoltarla, mandando al diavolo la mia parte più restia.
La testa vorticava lievemente, forse a causa degli svariati bicchieri di gin che avevo scolato, regalandomi una sensazione di leggerezza assoluta. Mentre la mia amica mi intimava di seguire i suoi movimenti, alzai in aria le braccia e ondeggia il bacino a destra ed a sinistra, andando a ritmo della musica, facendo poi lo stesso con la testa. Ad occhi chiusi mi feci trasportare dalle scosse di un'energia nuova che, vibrante, correva lungo il mio corpo.
Alternavo momenti di disordine, dove tutto pareva sconnesso e lontano da me, a momenti di lucidità dove osservavo lo spazio circostante come se fosse una scena di una serie tv.
Quando vidi Federico avvicinarsi a noi, spinsi lievemente la mia amica verso di lui, così da concedergli un momento tutto loro da ricordare.
Rimasta sola, mi lasciai trasportare dai corpi di tutte quelle persone senza nome che mi ballavano attorno percependo nuovamente quella fremente strana energia accarezzarmi.
Quel momento, però, durò troppo poco, perché qualcosa mi riportò nella dimensione terrestre.
Un ragazzo, forse troppo ubriaco anche per capire cosa stesse facendo, mi spintonò con un gesto maldestro per farsi spazio tra la folla. Nel tentativo di reggermi in piedi, barcollai all'indietro sui tacchi, andando a sbattere di schiena contro uno dei mille corpi che mi accerchiavano.
Due mani possenti mi si posero sui fianchi e percepii il suo respiro caldo scontrarsi con la mia pelle.
Con un gesto rapido mi spinse contro il suo petto, negandomi la vista di chi fosse. Cercai, invano, di spintonare via chiunque si trovasse alle mie spalle ma la mia forza non fu abbastanza per sovrastare quella del ragazzo che mi teneva in pugno. Percepii due dita scortarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e un paio di labbra calde sfiorarmi il lobo.
«Ciao, tu.» risuonò, nella mia testa, una voce profonda.
Una scarica elettrica vagò lungo la mia schiena nuda, causandomi dei brividi involontari in tutto il corpo, brividi che sicuramente lui aveva notato.
Afferrai la mano del ragazzo, che era ancora arpionata al mio fianco, e gliela spostai, così potei finalmente voltarmi.
Due occhi smeraldo brillavano sotto le luci della sala da ballo, rimanendo incatenati ai miei. Sentivo l'aria mancarmi nei polmoni, respirando a vuoto. Invano cercai di formulare una frase, ma dalle mie labbra non fuoriuscì un suono.
Rimasi immobile davanti a lui, imbambolata, catturando ogni particolare del suo viso.
Aveva dei lineamenti marcati, addolciti però da una spruzzata di lentiggini che gli punteggiava naso, zigomi e fronte. Stampato sul volto si ritrovava un sorriso spavaldo e potei nuovamente notare quella fossetta sull'angolo destro, formataglisi ogni volta che incurvava le labbra verso l'alto.
Un accenno di barba gli conferiva un'aria più rude, mentre il suo abbigliamento richiamava eleganza e classe.
Indossava un paio di pantaloni beige scuro, adornati da una semplice cintura in cuoio, una basica camicia bianca, che faceva intravedere la corporatura muscolosa e un paio di scarpe eleganti marrone scuro.
Percepii il suo sguardo analizzare ogni centimetro della mia figura prima di porgermi la mano.
«Piace, Andrea» mi disse in un profondo sussurro, percepibile solo da noi due.
Afferrai saldamente la sua mano, sperando di risultare risoluta, presentandomi.
«Ciao tu. Sono Beatrice, piacere» risposi abbozzando un sorriso timido.
«Finalmente ci siamo conosciuti di persona. Mi piacciano i giochi di sguardi, ma mi stufano velocemente. Ho visto che già conosci un mio amico» disse facendo un cenno con il capo nella direzione di un ragazzo biondo, Luca.
Sembrava così surreale che pensai fosse tutto frutto della mia immaginazione, uno scherzo della mia mente che mi puniva per aver ingerito troppo alcol.
Racimolai quel poco di coraggio che necessitavo ed afferrai la mano del ragazzo, tirandolo verso la calca di gente, cogliendolo alla sprovvista. Dopo qualche attimo di titubanza si allacciò al mio corpo e si lasciò andare in movimenti fluidi, seguendo il ritmo delle canzoni.
Più mi muovevo più sentivo l'alcol disperdersi per tutto il corpo, facendomi sentire più delicata. Tra un movimento ed un altro mi voltai, dandogli le spalle. In una frazione di secondo il ragazzo riadagiò le mani sui miei fianchi, attirandomi a se. Mi lasciai completamente andare sul suo corpo; la testa era poggiata tra l'incavo del suo collo e la spalla mentre i nostri bacini ondeggiavano all'unisono. Delicatamente afferrò le mie spalle e mi girò verso di lui finendo per avere i nostri visi a pochi centimetri di distanza. Ballavamo senza mai staccarci gli occhi di dosso, perdendoci nella musica e nei nostri sguardi. Tutto intono a noi sembrò essersi disperso nell'aria, come intrappolati in un loop temporale; non percepivo più nessun frastuono tamburellarmi i timpani, più nessun corpo scontrarsi con il mio, solo la nostra essenza mescolarsi.
Non seppi quantificare quanto fosse passato da quando avevo messo piede in mezzo alla folla ma d'un tratto sentii la necessita di uscire da quell'ammasso di gente a prendere una boccata d'aria. Feci un cenno con la testa ad Andrea in direzione della porta d'ingresso, chiedendogli indirettamente di seguirmi, il quale mi rispose agguantando il pacchetto di sigaretta dalla tasca dei pantaloni ed estraendone una portandosela alle labbra.
Raggiunsi il guardaroba sgomitando tra le persone con l'intento di afferrare il mio cappotto e, dopo minuti di ricerca, lo trovati sotterrato da altre innumerevoli giacche, buttate malamente sui vare appendiabiti disponibili.
A passo svelto giunsi nel patio interno dell'immobile, sedendomi su un muretto di pietra a poca distanza dall'ingresso. Rabbrividii quando le mie gambe nude sfiorarono la fredda superficie del muriccio.
Andrea, con la sigaretta ancora penzolante tra le sue labbra rosee, prese posizione di fronte alla mia figura, poggiandosi di schiena contro la parete. Con disinteresse estrasse un accendino dalla tasca del giubbotto e, con la mano libera posta a conca per ripararsi dal vento, accese la stecca di tabacco.
In silenzio osservavo la figura di Andrea assaggiare l'acre sapore della nicotina. Percepivo come se la avessi fumata io la sensazione di stordimento che comportava. Inspirava il fumo con tiri profondi, trattenendolo profondamente nei polmoni per qualche istante, per poi lasciarlo risalire in una densa nube grigiastra.
L'odore pungente che emanava mi invase le narici, provocandomi una smorfia di disgusto.
Mi chiesi come fosse possibile che avesse preso una piega così assurda quella serata, come fosse possibile che mi trovassi li fuori con lui, da soli.
«Ti senti bene?» Mi chiesi con voce roca tra un tiro e l'altro, ridestandomi dai miei pensieri.
Io annuii con il capo non staccandogli gli occhi di dosso.
«Nulla di grave, credo di aver semplicemente bevuto un bicchiere di troppo. Nulla che una buona dormita non possa risolvere» ironizzai, abbozzando un sorriso sfacciato.
Lui fece un semplice cenno del capo, come per assecondare ciò che avevo detto, e riprese a concentrarsi sulla sua sigaretta.
L'aria fredda delle notti d'inverno, che inalata mi aiutò a riprendermi dai miei giramenti di testa, mi causò brividi di freddo lungo il corpo, facendomi reagire con piccoli spasmi.
«Che cosa studi?» Il silenzio che aleggiava fra di noi mi metteva in imbarazzo, così cercai di intavolare un discorso.
Lui finalmente mi degnò della sua attenzione riponendo in tasca il telefono che aveva iniziato ad utilizzare nel lasso ti tempo passato in silenzio. Mi guardò dall'alto del suo metro e ottanta di altezza con fare disinteressato, ma decise di rispondermi lo stesso.
«Frequento l'ultimo anno di legge» mi ripose schietto, indifferente al mio tentativo di stemperare quel silenzio imbarazzante.
«E come conosci Luca, se posso chiedere» tentennai per un attimo prima di porgergli la domanda, ma tentai nuovamente sperando in un coinvolgimento maggiore da parte sua.
Lui riflette un attimo prima di rispondermi, osservandomi guardingo.
«È mio fratello minore» rispose in un sussurro buttando fuori l'ennesima nuvoletta di fumo «non te lo aspettavi suppongo, guardando la tua espressione» esordì con un sorrisetto insolente in viso.
Rimasi in silenzio per qualche secondo non sapendo bene come rispondergli. Non avrei mai immaginato fosse questo il loro legame, erano completamente agli antipodi; Luca era solare, dolce ed espansivo. Lui invece era riservato, distaccato e gli aleggiava attorno un'aria ombrosa.
«Io... no ammetto che non me lo aspettavo. Però adesso che me lo dici noto qualche somiglianza» risposi giocando nervosamente con le mani.
Sentivo i suoi occhi pungermi addosso mentre, con fare brusco, schiacciò la sigaretta in un posacenere poco distante da noi. Con poche falcate raggiunse il muretto, torreggiando sulla mia figura. Percepii il mio cuore accelerare, così tanto da sentire i battiti risuonarmi nella testa.
Lentamente si piegò sulle ginocchia, portando così i nostri visi alla stessa altezza. Poggiò le mani ai lati del mio corpo, intrappolandomi in uno spazio esiguo. Sentivo il suo respiro scontrarsi contro le mie labbra inducendomi a schiuderle lievemente. Il suo sguarda alternava le mie iridi color nocciola alle mie labbra. Percepii il so volto scostarsi di qualche centimetri per spingersi poi più in avanti. Io rimasi immobile, totalmente incapace di compiere qualunque gesto.
Le emozioni che stavo provando dentro di me erano talmente contrastanti da creare uno uragano dentro di me.
Sentivo il suo fiato caldo sfiorarmi il collo, come una carezza leggera per paura di potermi infrangere da un momento all'altro.
«Ci si vede in giro, TU» mi salutò, posando le labbra carnose sulla guancia color porpora.
Trattenni il respiro, sentendomi il cuore il gola, fino a quando non vidi la sua figura imponente sparire tra le mille persone presenti a quella festa. Con le dita tremanti sfiorai il punto dove, qualche istante prima, si trovavano le sue labbra morbide.
«Ciao TU» sussurrai tra me e me, ancora incredula di quello che fosse appena successo.
La vibrazione del mio telefono mi riportò con i piedi per terra dai mille castelli mentali che stavo costruendo.
Cristina: Ei Bi, dove sei? Io e Filippo stiamo andando in guardaroba a prendere le nostre giacche. Ci troviamo qua fuori tra cinque minuti.
Le risposi subito dicendole che stavo arrivando, avviandomi verso la sala principale. Attraversai, la stanza, sgomitando tra la gente ammassata, raggiungendo l'ingresso principale. Ogni tanto scrutavo i volti delle persone presenti sperando di incontrare due iridi smeraldo, ma di Andrea non ne vidi neanche l'ombra.
«Eccoti qui, ti avevo persa prima. Grazie per avermi lasciata sola con Fede» mi salutò con il suo solito tono di voce squillante Cristina, prendendomi a braccetto.
Davanti alla sua auto Filippo e Federico ci aspettavano dialogando tra loro. La mia amica attirò la loro attenzione urlando i loro nomi.
Mi staccai dalle grinfie della mia amica e raggiunsi il ragazzo dagli occhi color nocciola per lasciare un attimo di intimità alla coppia affiatata.
Venti minuti dopo circa arrivammo sotto casa mia
Eravamo in macchina, fermi davanti al portone del condominio.
«Quindi ci stai dicendo che quel gran figo di Andrea, il fratello di Luca, ha ballato con te e che ti stava per baciare?» urlò nell'abitacolo la mia amica agitando le mani in aria.
La guardai divertita per qualche secondo, godendomi lo spettacolo da attrice provetta quale era. Filippo invece se ne stava addormentato sui sedili posteriori dell'auto.
«Si, cioè no. Lui non so cosa volesse fare, mi ha dato un bacio "casto" e mi ha detto Ci si vede in giro TU» spiegai.
Lei aggrottò la fronte pensierosa, grattandosi con l'indice l'incavo del collo.
«Non so Bea, cerca di non farti troppi viaggi. Vivi la tau vita nella normalità, e se mai dovesse succedere qualcos'altro vedremo che fare. Ricordati comunque le voci che girano su di loro»
Annuì alla mia amica, schioccandole un bacio sulla guancia prima di salutarla, ringraziarla per il passaggio e dirigermi verso l'adito, salutandola nuovamente con un cenno della mano.
Entrai in ascensore e premetti il pulsante numero 10 aspettando che lo porte si chiudessero per portarmi al piano. La testa era affollata da pensieri, così tanto imponenti da non lasciarmi pace.
Fissai la figura sfocata impressa nello specchio del montacarichi, trasandata con il trucco vagamente colato, fino a quando le porte non si aprirono dietro di me. Con cautela mi avvicinai alla porta di casa e con ancora più delicatezza infili le chiavi nella toppa.
Mi addentrai con cautela nell'appartamento e mi incamminai con passo felpato nella mia stanza sperando di non emettere alcun rumore.
Giunta in camera, mi chiusi la porta alle spalle, poggiai disordinatamente i miei tacchi e abiti nella cabina armadio, dirigendomi poi in bagno. Mi diedi una rapida rinfrescata, dopo essermi struccata e lavata i denti, indossando successivamente il pigiama - una maglietta lunga e un paio di pantaloni della tuta -. Con le ultime forza rimaste, trascinai il mio corpo fino al materasso, lasciandomici scivolare sopra a peso moro, cadendo subito in un sonno profondo.
Pzzz-pzzz
Mi svegliai di soprassalto sentendo il telefono vibrare sotto il cuscino. Lo afferrai svogliatamente, guardando scocciata l'orario riprodotto sullo schermo. Cinque del mattino.
Irritata, mi alzai per poggiare il cellulare sul comodino affianco al letto quando vidi una notifica apparirmi sul display.
Incuriosita decisi di controllare e sullo schermo apparì una scritta "A.M. ha chiesto di seguirti".
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