Capitolo 4

«Allora?» Domandò il Dottore, distogliendo lo sguardo dal finestrino e posandolo sulla compagna di viaggio. «Dove andiamo?»

«Non lo so. Te l'ho già detto» gli ricordò seccamente.

«Oh, lo so. Lo so. Ma non avevi nessuna idea? Che so... qualcosa di classico? Tipo la Torre Eifell? Non credo di esserci mai salito» ammise, grattandosi la barba sovrappensiero. «Faccio confusione con i miei 800 anni... comunque, con la storia del Primo Ministro possiamo scroccare una salita. Che ne dici?»

Isabelle impallidì all'istante e abbassò lo sguardo sulle sue scarpe e sugli anfibi sporchi del Dottore.

Come facesse poi a passare da Primo Ministro, conciato così...

«Tutto bene?» Domandò, non ricevendo risposta. Forse non avrebbe dovuto accennare alla sua vera età.

«Soffro di vertigini.» spiegò invece la ragazza, con un sorriso dispiaciuto «So che è stupido. Non sono mai salita e non ci salirò mai, ma posso aspettarti a terra se vuoi!»

Lui scrollò la testa come se avesse appena sentito la più grande stupidaggine della sua lunga vita.

«No! Che senso avrebbe? O tutti o nessuno, no? Ci faremo venire in mente qualcosa.» la rassicurò, sorridendo. «Comunque, sai, tutti hanno almeno una paura.»

«Anche tu?»

«Ovvio!» rispose, tornando a guardare oltre al vetro.

«E di cosa hai paura?» domandò Isabelle, semplicemente curiosa.

«Certe paure non possono essere dette ad alta voce.» concluse, con un sospiro. Continuava a passare nervosamente le dita di una mano sulla banda di pelle che gli attraversava il petto, mentre l'altra sorreggeva la testa.

La ragazza si ritrovava, per l'ennesima volta in poco tempo, a chiedersi seriamente da dove fosse mai uscito quel tipo e se fosse davvero poeticamente profondo o semplicemente ubriaco da fare schifo.

Se solo Isabelle avesse potuto passare più tempo con lui, avrebbe facilmente scoperto che la maggior parte delle volte il Dottore poteva essere entrambi.

Persa in ben altri pensieri, cominciò a riconoscere le strade percorse dal tram.

«So dove possiamo andare.» disse, sorridendo.

Il Dottore la guardò incuriosito, anche se un po' sospettoso sulla loro meta.

Si sarebbe rivelato un covo di alieni? Di solito le sue scampagnate finivano sempre così.

Isabelle non aspettò che il tram si fermasse e si alzò, sporgendosi dall'uscita del tram.

«Che diavolo...»

Balzò a terra e incespicò un po' sui propri piedi, ma restò in equilibrio.

Rivolse un sorriso enorme al Dottore, che si allontanava sul tram con un'espressione attonita.

«Dai! Sbrigati!»

Il Dottore la imitò, finendo però subito a gambe all'aria.

Si rialzò immediatamente, constatando di non essersi rotto nulla, se non quella poca dignità che gli restava.

«Puoi smetterla?» Sbottò, pulendosi compulsivamente la giacca di pelle, mentre la ragazza non riusciva a smettere di ridere.

«Scusa... scusa.» rispose, calmandosi.

«Allora? Questo posto?»

Altre strade, altri dannati sampietrini e infine la Senna. Da una parte, in lontananza, il Louvre, dall'altra un palazzo vagamente simile.

Il Dottore si stupì di trovare le grate ai lati del ponte perfettamente pulite; si ricordò che mancava ancora qualche decennio alla strana usanza dei "lucchetti dell'amore".

«Perché qui?» chiese, mentre lei si appoggiava con la schiena alla ringhiera.

«Non lo so.» ammise, abbassando lo sguardo «Sarà che questo ponte sembra immerso nell'arte... vengo qui a scrivere...»

Il Dottore si sistemò accanto a lei, a braccia incrociate. Dietro di loro il sole spariva all'orizzonte e davanti il cielo cominciava a farsi scuro, così blu, così...

«Non mi è mai piaciuta Parigi.» ammise, voltandosi verso di lei. «Però sai... oggi è stato bello.»

«Sì. È stato fantastico!» Annuì lei, ancora con quel grande sorriso.

Erano anni che il Dottore vedeva solo sguardi furiosi e bocche serrate dall'odio e dalla paura; gli serviva proprio quella giornata.

Mentre pensava a questo e a cento altre cose insieme, come suo solito, non si accorse che Isabelle si era fatta più vicina, molto vicina, decisamente troppo vicina.

Si era ripromesso di metterci una croce sopra, un divieto, dopo Grace.

Ed era anche andato tutto liscio, con la guerra non poteva certo permettersi di perdere tempo.

Si sarebbe dovuto lamentare, dopotutto si lamentava spesso, in quella rigenerazione.

Si lamentava delle armi, delle munizioni, degli equipaggiamenti, dei soldati, delle strategie, degli ufficiali.

Eppure, in quel momento, non poteva lamentarsi di un bacio.

Isabelle allungò una mano sulla guancia spinosa del Dottore e lui la strinse un po' a sé, appena realizzò cosa stesse succedendo, passando una mano tra i suoi capelli castani.

«Mi dispiace.» si scusò subito la ragazza, scostandosi dopo poco.

«Anche a me.» rispose il Dottore con un sorriso terribile.

«Non ero seria quando dicevo che eri vecchio.» aggiunse Isabelle, con un sorriso bellissimo.

«Lo so.»

«E neanche quando dicevo che eri strano.»

«Lo so.»

Silenzio. Un silenzio pesante come quelli tra un'esplosione e l'altra, durante una ronda notturna.

«Ora tornerai a casa, vero?»

«Sì.»

«In Irlanda.»

«Che non è Parigi.» commentò lui, facendola ridere.

«Andrai in stazione?» gli chiese, rimanendo accanto a lui, ancora in difficoltà, e si limitò a sfiorargli la mano.

Non aveva motivo di preoccuparsi. Non stava andando in guerra, sarebbe tornato a Parigi quando avrebbe voluto. Eppure sentiva dentro di sé, nell'istinto, che quello era il loro ultimo momento insieme.

«Già.» mentì lui, afferrandole la mano senza troppa esitazione.

«Ti perderai. Vuoi che ti accompagni?»

«Pensi sia una buona idea?"

Silenzio, ancora. Il Dottore odiava quando non riusciva a riempirlo con qualche frase idiota.

«È stato bello conoscerti, Isabelle.» concluse lui, cercando di migliorare il suo sorriso.

«Mi mancherai, Dottore»

La baciò sulla fronte e le lasciò la mano.

Ripercorse a piedi mezza città, perdendosi due o tre volte.

Una volta riconosciuta in lontananza la sagoma bluastra della sua cabina, non poté trattenersi dal correre a per di fiato e rifugiarsi all'interno, neppure fosse inseguito da due eserciti di Dalek.

Si chiuse furiosamente la porta dietro di sé e cominciò a inserire le coordinate per Gallifrey.

«Dovevi ascoltarlo, Sexy.» disse a alta voce, dopo un lungo silenzio, con la voce ancora tremante «Sono il Guerriero, devo combattere. Devo correre solo per i campi di battaglia. Non mi merito più un sorriso come quello. Devo occuparmi di armi, non di avventure di una giornata. Devo...»

Il Tardis atterrò, precisamente in mezzo al Consiglio di guerra. Qualcuno mormorò, altri risero, e altri ancora, infine, erano furibondi.

«Dottore!»

L'uomo si sistemò la giacca, controllò i capelli e si passò le dita sulle labbra per un solo istante.

«Arrivo, arrivo!»

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