Capitolo 1
Viaggiare nel tempo è come visitare Parigi: non puoi leggere solo la guida, ti ci devi tuffare; mangiare il cibo; usare i verbi sbagliati; pagare il doppio e baciare delle perfette sconosciute... o lo faccio solo io?
«Dottore? Dottore, ci riceve?»
L'uomo gironzolò attorno alla console di comando prima di rispondere.
«Dottore? Dottore!»
«La proverbiale pazienza di Gallifrey!» commentò, passandosi il dorso della mano sulla fronte sudata.
Si sistemò il cacciavite nella bandoliera che portava a tracolla e preparò il suo miglior sorriso, poi rispose.
Accesa la videocamera del sistema di comunicazioni del Tardis, sullo schermo sottostante apparve l'uomo che continuava a chiamare il Dottore a gran voce.
Indossava una pomposa casacca rossa decorata da dettagli dorati e un copricapo circolare, che assomigliava a un'aureola.
«Sono qui, sono qui!» Rispose il Dottore. «Datemi il tempo di rispondere!»
L'uomo sullo schermo corruggò la fronte e questo trasformò il sorriso di facciata dell'altro in una risata sincera.
«Se continua con questo umorismo, potremmo decidere di degradarla!»
«Come no!» Esclamò, continuando a ridere. «Rassilon non lo permetterebbe.»
«Non ne sarei tanto sicuro.» ribattè, alzando il mento. «Dopo quello successo con il Maestro...»
«Non sono la balia di nessuno, tanto meno del Maestro!» concluse seccamente, con un gesto nervoso della mano. «Piuttosto, cosa sta succedendo? Perché chiamarmi?»
«Il Consiglio di Guerra.» spiegò l'uomo, con un disgustoso che il Dottore non fece fatica a giustificare.
Chissà quanti castelli in aria si era fatto, di essere al posto suo, al posto di quel vecchio girovago.
Per un momento il Dottore pensò se non si meritasse nulla di quello che gli era rimasto.
Poi quello stesso uomo lo riportò alla realtà.
«Il Consiglio di Guerra, signore. Stiamo aspettando solo lei.»
«È uno scherzo?» Chiese il Dottore, scuotendo la testa. «Potete arrangiarvi benissimo da soli. Non sono tagliato per queste cose. Decidete, poi vedremo!»
«Dottore, Rassilon in persona ha richiesto la sua presenza.» insistette l'uomo, con un sospiro. «E sa che è in grado di aspettare la fine del Tempo.»
Il Dottore fissò in silenzio quel pover'uomo, che nulla aveva da invidiare a un povero impiegato terrestre.
«D'accordo, non c'è tempo da perdere. Ma fatemelo trovare ancora calmo. Non lo sopporto quando ha i nervi a fior di pelle.»
«Signore, spesso è colpa sua se il presidente è stressato...»
«A presto!»
Il Dottore spense seccamente ogni tipo di comunicazione e nel Tardis tornò il silenzio, interrotto solo dal respiro regolare della macchina.
«Non voglio andare.» ammise, appoggiandosi con i gomiti alla console. «Non voglio decidere. È già difficile agire come sto agendo, non voglio esserne persino responsabile»
Scosse la testa. Il respiro si fece improvvisamente veloce, affannato, difficile, ma non aveva poi corso così tanto.
«Non è colpa mia, non deve essere colpa mia.»
Come se dirlo ad alta voce, ripeterlo, persino urlarlo potesse cambiare qualcosa.
Lui era il Guerriero prima di essere il Dottore, responsabilità o meno.
«Possiamo tornare indietro, Sexy?» chiese, abbassando il tono della voce, strizzando gli occhi prima che iniziassero a bruciare. «Torniamo indietro, per favore, voglio rivedere quei sorrisi, sentire le risate...» si passò una mano, tremante, sulla barba ispida. «Riportami le mie vecchie facce... Sexy, per favore...»
I motori iniziarono a muoversi a tutta forza, senza che lui ci avesse neppure pensato.
«Fermati! No! Non riportarmi alla Cittadella, non da loro! Lasciami almeno dormire un paio di ore! Anche con gli incubi, devo riposarmi, prima di discutere di morti e assassini!»
Nulla da fare.
Il Dottore rigirò per la console, muovendo e spostando quello che poteva, senza nessun risultato.
Preso dalla frustrazione di essere in balia di una macchina capricciosa, come da lì a secoli prima, picchiò i pugni chiusi sulla console e per un secondo pensò persino di prenderla a testate, ma quella atterrò prima di poter mettere in pratica quel pensiero.
«Non puoi costringermi ad uscire.» urlò a gran voce. «Neppure se siamo nel bel mezzo del Consiglio! Voglio dormire!»
Le porte si spalancarono, invitandolo tacitamente a portare quei vecchi stivali polverosi fuori di lì.
«Mi odi così tanto?» Urlò ancora, questa volta con la voce rotta. «Mi stai cacciando, vero? Ti ho deluso, lo so.»
«Va tutto bene?»
Una voce dall'esterno.
Non era Rassilon e di certo non era quel disgraziato di poco prima. Il Dottore si costrinse a uscire di lì, con la faccia di un cane bastonato. Poi, oltre la soglia, la sua espressione cambiò, improvvisamente stupita.
Non erano al Consiglio e certamente non era Gallifrey. A giudicare dall'atmosfera e dalla pavimentazione (asfalto, quale obbrobrio!) doveva trovarsi sulla Terra.
Approssimandosi all'abbigliamento della ragazza che si era avvicinata alla cabina blu, doveva essere il ventesimo secolo, più o meno.
«Buongiorno.» salutò, chiudendosi la porta dietro di sé.
La ragazza lo guardò confusa: «Ti senti bene? Ho sentito urlare.»
«Certo certo. Ero io.» batté qualche pacca sulla porta di legno. «Questa vecchia bestia mi fa impazzire tutto il tempo.»
La ragazza lo guardò ancora più confusa, allontanandosi di un passo.
«Sei ubriaco.»
«E astemio da una vita, o forse tre.» concluse, sorridendo. «Senti, sapresti dirmi dove mi trovo? Ho un pessimo senso dell'orientamento.»
Lei si guardò intorno. Erano soli in quella strada, ma sentiva la città in piena attività: poteva essere sicura che se avesse urlato, qualcuno l'avrebbe sentita.
«Parigi.» rispose, seccamente. «Ora, dovrei and...»
«Sicuro!» Esclamò il Dottore, facendo per rientrare nel Tardis. «Una bella idea. Una vacanza! Devo avere il fascicolo della Guida Galattica su Parigi in biblioteca...»
La ragazza scoppiò a ridere e quasi il basco le cadde dalla testa.
«Scusami?» Il Dottore decise di non entrare, perché a quanto sembrava neppure lei aveva tutte le rotelle a posto.
«Vuoi davvero visitare Parigi con una guida?»
Lo stava prendendo in giro, gli stava palesemente dando dell'idiota.
Con lo sguardo, con il sorriso beffardo e i pugni puntati sui fianchi.
Lo credeva un idiota ubriaco che non sapeva proprio come girasse il mondo.
«Non puoi. Parigi va vissuta, ti ci devi tuffare o tanto vale che andavi a Londra o a Roma, vecchio!»
«Vecchio?»
Era cosciente di non essere più un ragazzino, ma credeva che quell'incarnazione non fosse più anziana di tante altre che l'avevano preceduta.
Forse si sbagliava, tutto qui.
«Sarà la barba.» concluse la ragazza.
Forse era stato proprio quello lo sbaglio.
«Quindi?» Domandò il Dottore, allontanandosi definitivamente dalla cabina.
«Cosa?»
«Hai detto che avevi da fare, eppure eccoti qui.»
La ragazza abbassò lo sguardo imbarazzata e il Dottore non era sicuro che fosse colpa sua anche questa volta.
«Io...»
«Posso chiederti di accompagnare questo vecchio ubriaco a visitare la tua città?»
«Veramente...»
Il Dottore congiunse le mani e inclinò la testa di lato: «Per favore.» la supplicò, sul punto di pregarla davvero. «Magari scopri che sono pure simpatico.»
La ragazza rise ancora e alzò le spalle: «D'accordo, mio caro ubriaco, sarò gentile»
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